Tratto da Antifascismo e Guerra di Liberazione a Parma Primo Savani


Comando Unico Eccidio di Bosco di Corniglio PR 17-10-1944
Pablo Giacomo di Crollalanza
L’esigenza. di una maggiore collaborazione delle brigate, in ispecie dal punto di vista militare, era ormai condivisa da tutti i comandi, oltre che da larghi settori dei partigiani. In questo senso erano anche le sollecitazioni del C.L.N. provinciale. Nella seconda metà dell’agosto 1944 il comandante della 31ª brigata Garibaldi: «Pablo» (Giacomo di Crollalanza); della 12ª Garibaldi: «Dario» (il dott. Giuseppe Marchini); il commissario Mario (avv. Druso Parisi); della lª Julia: l’avv. Giorgio Mazzadi, « Libero» (Primo Brindani) e Dragotte (Giuseppe Delnevo), furono convocati da « Bellini» (Giovanni Vignali) e da « Ferrarini » (avv. Enzo Costa) del Comando nord Emilia, a Pian del Monte, per addivenire alla costituzione del Comando unico provinciale.
Vennero eletti: comandante: «Pablo »; commissario politico: «Mauri» (Primo Savani); capo di stato maggiore: «Ottavio» (Fernando Cipriani; ten. colonnello del genio); vicecomandante: « Libero », vicecommissario: «Poe»(prof. Achille Pelizzari). Al convegno non intervennero la Beretta e la 2ª Julia; la 47ª Garibaldi e la Giustizia e libertà erano dislocate nella zona est. « Libero» ebbe incarico di ottenere, come ottenne, la adesione degli assenti.
Pian del Monte è una località a 850 m. sul livello del mare, o meglio un gruppo di povere case, sopra Lavachielli di Tiedoli, tra boschi e dirupi. Poco distante, in direzione del Barigazzo e della Val Mozzola, vi è il passo della Tagliata (m. 1231). Verso mezzogiorno la famiglia di contadini che abitava a Pian del Monte portò della polenta e della pattona dove era in corso la riunione. La prima sede provvisoria del c. v. fu Caneto sul Barigazzo. Presenti: «Pablo», « Mauri » e « Ottavio », ospiti del distaccamento della 12a Garibaldi comandato da Virginio Barbieri.
Vennero eletti: comandante: «Pablo »; commissario politico: «Mauri» (Primo Savani); capo di stato maggiore: «Ottavio» (Fernando Cipriani; ten. colonnello del genio); vicecomandante: « Libero », vicecommissario: «Poe»(prof. Achille Pelizzari). Al convegno non intervennero la Beretta e la 2ª Julia; la 47ª Garibaldi e la Giustizia e libertà erano dislocate nella zona est. « Libero» ebbe incarico di ottenere, come ottenne, la adesione degli assenti.
A mezzanotte una colonna tedesca forte di 150 uomini, proveniente da Fornovo, mosse da Berceto con l’obbiettivo di piombare di sorpresa, alle prime luci dell’alba, sul comando partigiano. Un carbonaio, che i nazisti avevano prelevato a Berceto e costretto a fare da guida, fingendo di avere smarrito il cammino, riuscì, attraverso lunghi giri viziosi, a fare compiere ai nemici un percorso più che doppio di quèllo necessario, sperando che nel frattempo qualcuno mettesse sull’avviso i partigiani. Infatti un quarto d’ora prima che i tedeschi arrivassero, una staffetta raggiunse la sede del comando e concitatamente riferì che la sera prima alcuni ufficiali nazisti avevano cercato una guida per il passo del Cirone in prossimità di Bosco. Purtroppo era ormai troppo tardi ed i patrioti non riuscirono ad allontanarsi. G. Menconi era in procinto di ripartire per la città e stava predisponendo le carte nella sua busta a doppio fondo.
Savani e «Ottavio », stavano ascoltando radio Londra. Gli altri membri del c.v. erano nei pressi del comando o nell’albergo Ghirardini. « Pablo » il comandante del c.v., dispose l’invio di una pattuglia al comando di Primo Brindani in perlustrazione. Piovigginava e c’era una fitta nebbia. Verso le 10 circa del 17 ottobre, una raffica di arma automatica colpì la porta del Comando unico, al primo piano della ex sede della milizia forestale. I tedeschi erano giunti sul posto, avevano circondato l’albergo e la sede del comando. Menconi e Savani si avviarono sul pianerottolo d’accesso al comando per vedere che cosa stava accadendo. Quivi un’altra raffica colpì Menconi al fianco sinistro. Retrocedette barcollando: «Sono colpito, aiutami ». Savani lo trascinò all’interno. Mentre continuavano le raffiche contro la porta d’ingresso, altre investirono le finestre. Un attimo dopo Menconi cadde sul pavimento ordinando: «Salvati ».
La sorpresa non permise agli assediati di organizzare una resistenza efficace. I due componenti la missione « Roschester »: Piero Boni e l’operatore della radio « Sergio », reso inservibile l’apparecchio della radio e distrutti i cifrari, riuscirono, insieme con Savani, Ferrari, Pelizzari, Cipriani, Parisi, Domenico Zammarchi ed altri, a salvarsi miracolosamente gettandosi dalle finestre, tra il sibilo delle raffiche di mitra che imperversavano ovunque. Delle 15 persone che si trovavano sparse nei diversi locali, od in prossimità del comando, sei perirono nell’impari combattimento. Giacomo di Crollalanza, Gino Menconi, il conte Giuseppe Picedi-Benettini (Penola) ufficiale di collegamento, e tre partigiani di guardia: Enzo Gandolfi, Domenico Gervasi e Settimo Manenti.
Nel timore della reazione partigiana, il nemico razziò in gran fretta quanto si trovava negli uffici del comando, poi incendiati i locali e quattro case del villaggio, batté in ritirata, portando con sé alcuni prigionieri. Subito dopo sopraggiunse un distaccamento di partigiani che, con alla testa Giacomo Ferrari, inseguì i tedeschi in direzione del passo del Cirone, con l’obiettivo di prenderli alle spalle. Sopravvenne la sera, calò la nebbia e malgrado i razzi che squarciavano la foschia, i tedeschi riuscirono a dileguarsi; impossibile contare le loro perdite.
Durante la notte i sopravvissuti del comando raggiunsero Castello di Graiana e si procedé al tragico bilancio. In una stanza dell’albergo su una rete metallica giaceva il cadavere di Menconi. Era stato trasportato dai tedeschi all’albergo, ferito mortalmente e la stanza era stata cosparsa di materia infiammabile e incendiata. Morì tra le fiamme ed i vicini udirono i suoi urli strazianti. Sul pavimento di un’altra stanza dell’albergo giaceva il corpo carbonizzato di Picedi. Il nostro «Penola», reduce da una lunga camminata notturna, quando irruppero i tedeschi, impugnò il mitra e sparò fino all’ultimo colpo. I tedeschi appiccarono il fuoco anche alla sua stanza, dopo averlo colpito. Si rovesciò prono sul pavimento.
I cadaveri di Renzi e Penola erano irriconoscibili, così deformati e consunti dalle fiamme. Coloro che si erano salvati, raccontavano avventure raccapriccianti. Il prof. Franco Franchini, che era in albergo, aveva indossato … una camicia nera, che i tedeschi avevano riesumato rovistando un armadio in cerca di rapina. Venne fatto prigioniero. Quando nel pomeriggio i tedeschi furono attaccati, il prof. Franchini ne approfittò per fuggire. Fu il primo a tornare a Bosco ed ebbe la tragica visione dei nostri caduti nei vari posti di combattimento.
Alla centrale di Bosco i tedeschi avevano sorpreso un camioncino condotto dalla partigiana Tedeschi Argia (<< Bruna »), (che sposò poi il dott. Bruno Casa dirigente dell’infermeria). Stava dirigendosi al c.v. per ritirare del materiale sanitario. Sul camioncino erano saliti un partigiano ed il brigadiere dei carabinieri Ugo Ugolotti che si recava a Bosco per mettersi a disposizione del c. u. I tedeschi. uccisero il partigiano ed arrestarono l’Ugolotti e la Bruna. Vennero trasportati a Neviano dei Rossi. L’Ugolotti venne rilasciato qualche giorno dopo. La Bruna venne liberata dopo un mese in occasione di un cambio dei prigionieri.
Soltanto in epoca successiva si venne a sapere che il carteggio asportato dai tedeschi era stato affidato per il trasporto al sottufficiale dei carabinieri Ugolotti. Costui nell’attraversare il torrente Baganza in piena, … volontariamente scivolò; abbandonando alla deriva le carte, scomparse così nei flutti della corrente. Le salme furono allineate in una stanza al pianterreno dell’albergo. Vennero accesi dei ceri. Quivi i superstiti sostarono in religioso raccoglimento. Non si fecero discorsi. Pelizzari disse: «Sono morti per la nostra idea », e Mauri: «Vi vendicheremo».
L’attacco al Comando unico fu reso possibile dalla delazione di uno sciagurato, Mario « lo Slavo », che pagò poi con la vita, come si vedrà in appendice al presente capitolo. Mario «lo Slavo» non solo diede indicazioni precise ai tedeschi sulla località nella quale in quel momento il Comando si trovava e sulla inesistenza nelle immediate prossimità di brigate, ma addirittura condusse i tedeschi sul posto
Dopo la liberazione il prof. Pelizzari dettò per i Caduti la seguente epigrafe, impressa sul marmo murato nella facciata dell’albergo Ghirardini:
17 OTTOBRE 1944
TRADIMENTO MERCENARIO E AGGUATO TEDESCO
EBBERO IN QUESTE CASE RAGIONE
DEL COMANDO UNICO PARTIGIANO PARMENSE
PABLO (G DI CROLLALANZA)
RENZI (GINO MENCONI)
PENOLA (GIUSEPPE PICEDI)
ENZO (ENZO GANDOLFI)
BOERI (DOMENICO GERVASI)
SETTIMIO (S. MANENTI)
COL SUPREMO SACRIFICIO ATTESTARONO LA SANTITÀ DELLA FEDE.
I SUPERSTITI
TRADUSSERO IL FIERO AMMONIMENTO NELLA VITTORIA
CHE FRA IL 7 E IL 24 APRILE
REDENSE QUESTA TERRA DALL’ONTA INDEGNA E STRANIERA
LA RICONSACRÒ LIBERA E CIVILE.
Secondo Pietro Secchia e Filippo Frassati (Storia della Resistenza, Editori Riuniti, 1965, pago 817), l’attacco al Comando unico parmense fa parte della seconda offensiva generale contro i partigiani ordinata dal maresciallo Kesserling il l° ottobre 1944:
Giacomo di Crollalanza «Pablo»


In un baleno sei caduti, sopraffatti da una valanga di fuoco. Tra essi il comandante della Piazza di Parma e il comandante dei partigiani della provincia. Ad uno dei carabinieri di guardia alla sede del Comando, colpito al termine della scala, sul pianerottolo della quale venne colpito Menconi, con un pugnale fu messo a nudo il cuore, mentre una belva, in divisa nazista, ma che parlava bene !’italiano, diceva al gruppo di contadini che erano stati catturati e messi al muro contro l’albergo con mani in alto: «Ecco cosa ne facciamo noi dei partigiani ». Il giovane Giuseppe Picedi Benettini, di una vecchia famiglia della Lunigiana, aveva la nobiltà nel cuore: bello, leale, modesto, pronto al sacrificio, chiedeva solo di ubbidire.
Il dr. Gino Menconi, comandante della Piazza di Parma, vecchio militante comunista, già condannato a 17 anni di carcere dal Tribunale speciale, venne poi confinato a Ventotene sino all’agosto 1943. Dopo l’armistizio era stato uno dei primi organizzatori della Resistenza a Firenze, e si era poi trasferito in Emilia. La perdita che più preoccupava, ai fini della continuità della guerriglia, era quella di Pablo, il prestigioso comandante del Comando unico. L’8 settembre, al momento dello sfacelo dell’esercito regio era a Parma tenente dei granatieri, lontano dalla famiglia, senza mezzi e conoscenze. Per istinto rifiutò di aderire al nuovo ordine. Ebbe occasione di conoscere Giuseppe Guatelli, commesso viaggiatore, vecchio militante dell’antifascismo che aveva conosciuto il carcere e il confino. Non vi era altra via d’uscita per vivere. Giacomo di Crolla Lanza venne assunto come agente produttore, e andò in giro per le città dell’Emilia, con una pesante valigia di minuterie metalliche e coltellerie di ogni genere.
Cadde ben presto nella rete spionistica e venne incarcerato. Gli fu offerta la libertà a condizione che accettasse di assumere servizio nell’esercito nazi-fascista. Nell’occasione fu percosso a sangue. Il suo desiderio era quello di uscire per cominciare « sul serio », come diceva lui, la lotta contro i nemici della Patria. L’evasione tanto sospirata fu favorita da un’incursione aerea che nel giugno 1944 danneggiò il carcere di S. Francesco. Rimase a Parma qualche giorno per riordinare le sue poche cose, consegnò la divisa da ufficiale ad una famiglia di conoscenti, e munito di una rivoltella, prima di recarsi in montagna, salutò gli intimi: « Da oggi se verranno a prendermi dovranno fare i conti con questa ».
Tratto da Antifascismo e guerra di Liberazione a Parma -Guanda-




















