

Mi chiamo Adelio .Bernardi e sono nato a Borgotaro il 25 maggio 1925 attualmente impiegato.
IL mio nome di battaglia era “Punteria” sono entrato a far parte della resistenza subito dopo l’8 settembre 1943 e delleformazioni partigiane in montagna il 5.1.1944all’età di 18 anni.
A quell’epoca ero di leva e da pochi mesi avevo conseguito il diploma di abilitazione magistrale.
Al 25 aprile 1945 ricoprivo il grado di Comandante di Compagnia della 1° Brigata “Berretta”. Non so se riuscirò a rispondere a tutte le domande del questionario in maniera esauriente ed ordinata, ma cercherò ugualmente di affidare alla penna i miei ricordi “partigiani” e di citare fatti, nomi e date con la speranza che altri amici, attraverso le loro testimonianze, riescano a completare le lacune dei mièi ricordi.
Inizierò con una domanda che spesso ho rivolto onestamente a me stesso: i motivi che rai hanno indotto ad affrontare la vita partigiana e quali sono stati?
Antifascismo? Spirito d’avventura? Esuberanza di carattere?
Montagne più vicine a casa mi che non la città e la pianura?
Intima ribellione alla dittatura fascista, perchè sono un insofferente alle imposizioni?
Ricordo, ricordo un fatto che forse ha determinato in me una decisione.
Dopo l’8 settembre e dopo una riunione antifascista in casa Angella mentre mi trovavo
nel Viale della Stazione di Borgotaro immerso nei miei pensieri ed intento
a raggiungere casa mia, ebbi l’occasione di incontrare una compagnia di soldati tedeschi
che al canto di un inno (non so quale) e con passo cadenzato calcavano spavaldi,
sicuri, de dominatori stranieri il suolo del mio Paese.
Non la curiosità di vedere lo spettacolo militare (piace spesso ai giovani) mi entusiasmò e mi incuriosì,
non la distaccata con condiscendenza passò per l’animo mio; ma rabbia fatta d’impotenza, di avversione
s’impadronì di me e ricordo che mi sgorgarono lacrime amare e ribelli. –
Non potevo intimamente accettare lo spettacolo e l’idea che quei militari così freddi,
staccati, disciplinati fossero i miei, i nostrialleati.
Inconsciamente forse, ma intimamente, da allora io divenni anti fascista, anti nazista,
anti militarista. Mi scuso se ho divagato a distanza di vent’ anni non ho ancora dimenticato
quel mio intimo smarrimento e quella mia ribellione contro le forza opprimente e l’imposizione.
Ecco la mia risposta ella domanda postami!
Sono andato in montagna per tutti questi motivi, per uno stato d’animo che di riflesso si era venuto a creare in me
- giovane studente — ma amico di uomini esperti come Armando Angella, Giusepe e Eugenio Solari, Carlo Grezzi,
l’Avv.Sìlva ed altri ancora. Questo mio privilegiato inserimento e rapporto di sincera, leale amicizia,
è servito indubbiamente a formarmi, a plasmare i miei concetti, la mia gioventù attraverso gli insegnamenti che avevano,
come hanno, un largo fecondo respiro di libertà individuale e collettiva.
Ringrazierò sempre e per tutta la vita questi miei amici e tutti gli altri che mi hanno aiutato a dar corpo ordinato allamia esuberanza,
al mio entusiasmo, ella coscienza del sacrificio ed ella domanda: rifaresti la guerra di liberazione?
Io rispondo sì con tutta la mia forza, con tutto il mio nuovo bagaglio di umana esperienze, con tutta la mia volontà,
con tutto il mio entusiasmo per contribuire al perfezionamento delle situazioni ancora insolute.
Questo finora da me scritto ritengo possa dare lo spunto di una discussione obiettiva per stabilire
e rafforzare maggiormente l’importanza, l’indispensabilità degli atteggiamenti assunti dai primi resistenti,
promotori del movimento di insurrezione popolare contro la dittatura fascista, contro il sopruso,
contro il regime che per venti anni ha negato al popolo italiano la possibilità di assumere
un atteggiamento dignitoso nel consenso delle libere nazioni.
Su disposizione del locale Comitato di Liberazione, essendo io di leva,
mi presentai nel novembre 43 Distretto Militare per stendere l’ordine di fuggire in montagne.
Fu un’ attese spasmodica, insofferente, tale de fermi decidere, dopo un mese,
di disertare le file repubblichine anche se mi ospitavano solo per sottrarmi
alle condanne amorte in qualità di disertore.
Fu inutile, pensai solo a fuggire e così feci verso il 20 gennaio assieme ad Eugenio Solari (Aldo)
ed a Signorini Antonio (Fanfulla), il primo ricercato dai fascisti a Borgotaro ed il secondo con me al Distretto Militare.
Accompagnati de Bonini, autista, vestiti io e Fanfulla da alpini, armati di un mitra con pochi colpi
e di una vecchia pistola del nonno di Fanfulla, ci dirigemmo a Bedonia
e quindi verso Tomba, un paesino della Val di Ceno ai piedi del Monte Penna per dare vita,
assieme Beccarelli Angelo (Rata), (Mino) ad uno dei primissimi nuclei partigiani in attesa di dare consistente numerica al movimento.
Durante le mia permanenza nelle file della Resistenza ho partecipato a numerosissime azioni,
ma citerò i seguenti fatti d’arme fra i più importanti perché, ripeto, non ricordo più perfettamente i nomi e le date di tante altre azioni.
S.Maria del Taro
S.Stefano d’Aveto
Monte Vaccà (o battaglia di Pelosa)
Pontolo (attacco alle corriera)
Valmozzola
Grifola
Ponte della Manubiola –
Pontremoli (attacco all’Istituto Magistrale, ai Cappuccini)
Bratto
Ponte di Migneno
Attacco i caselli ferroviari (Pontremoli—Guinadi)
Borgotaro (azioni isolate e in piccoli gruppi)
Respiccio di Fornovo
Passaggio del fronte
3 Rastrellamenti (maggio – luglio 44 e gennaio 45), stazione di Borgotaro ecc., ecc., ecc.
Mi scuso se non seguirò cronologicamente un ordine di descrizione e se non citerò
i nomi dei feriti e dei morti italiani civili e partigiani e se in qualche descrizione
di azione di guerra si parlerà solo del presunto numero dei morii, feriti e prigionieri tedeschi.
Ciò faccio perchè non voglio dimenticare nessuno dei nostri gloriosi caduti e delle nostre vittime e mi affido agli elenchi in possesso dei Comandanti di Brigata — per avere la certezza che nessuno sia dimenticato e nessuno possa correre il rischio di non essere ricordato.
Santa Maria Febbraio 1944
Io, Eugenio Solari (Aldo), Signorini Antonio (Fanfulla), Cosimo, Rata, Nino, Pino dopo uno sosta a Tomba,
decidiamo di attaccare il presidio di S.Maria per rifornirci di armi e munizioniper poter allargare così la sfera
delle nostra azione e magari scendere al piano. Dopo una faticosissima marcia in montagna,
con la neve molto alta, con l’assoluta necessità di spostarci sui crinali delle montagne per non farci scorgere
e dopo aver predisposto il taglio del filo telefonico per una eventuale ritirata, arrivati a Santa Maria del Taro,
predisponiamo il piano d’attacco.
Io so di essere stato assegnato a coprire le spalle ai compagni da ogni eventuale attacco improvviso.
Fanfulla, vestito da alpino, avrebbe dovuto far vidimare la licenza e quindi presentarsi alla porta del la caserma.
Il piano funziono, la porta venne aperta e quindi richiusa prontamente da un altro milite occorrente,
la sparatoria incomincia e forse fu la primo sparatoria organizzata che vedeva di fronte,
nelle nostre montagne, partigiani (i ribelli) ed repubblichini.
Cosimo venne ferito ad una gamba e la ritirata attraverso il percorso già praticato diventavo impossibile e si decise quindi
(facendo assegnazione sull’isolamento telefonico) di percorrere tutta la strada provinciale,
dandoci il cambio nell’aiutare il povero Cosimo a porsi in salvo assieme a noi.
Avevamo ancora le armi ma forse conservavamo, fra tutti, una decina di pallottole.
Arrivati alla “Gelana”’ ci fermammo a dormire in una cascina ai piedi del monte Segarino
senza sapere naturalmente che di noi (dei ribelli) era corsa la voce in tutta la Valtaro dell’attacco a S. Maria,
dello stragrande numero dì morti e di feriti da ambo le parti.
Era corsa lo voce che la resistenza Valtarese muoveva i suoi primi passi e per noi ribelli
affamati ed esausti era un invito a continuare lo giusta guerra.
Santo Stefano D’Aveto marzo 1944
Dopo S Maria altri partigiani vennero in montagna con noi e grazie ai collegamenti si parlava di un lancio di armi,
viveri e vesti ti da par te degli alleati. Tutte le sere ascoltavamo la radio clandestina
(ricordo ancora la chiese. di Chiesuola vicino all’Anzola che ere nostra meta preferite per ascoltare dalla radio i messaggi speciali”).
Ricordo i due messaggi speciali “Il corriere di Lione”; voleva informarci di preparare i segnali per il lancio e dovevamo però stare in attesa
del messaggio speciale ‘I promessi sposi” per accendere i fuochi ed attendere gli aerei.
Attese snervanti entusiasmo, rammarico, animi depressi e non so quali altri stati d’animo negativi e positivi siano stati oggetto quelle
notti di speranza e di fiducia.
Finalmente il primo lancio, i primi “ sten” il primo “plastico” la prima possibilità di darci un assetto militare,
con questo la certezza che eravamo ora dei veri leoni imbattibili e avremmo voluto scendere al piano e debellare tutti i fascisti.
Intanto attraverso mille peripezie erano penetrati nella zona del Mon te Penna i sabotatori inviatici del Comando Alleato
con incarichi ben precisi. Il loro apparire in concomitanza con il lancio apriva altre prospettive alla nostra guerriglia.
Fummo istruiti sul maneggio delle armi americane e sull’esplosivo. Così in una ventina di uomini ci spingemmo
sino a S.Stefano d’Aveto.
Fra questi uomini ricordo ‘Caramatti Cosimo, Pino, Nino.
Attaccammo S. Stefano d’Aveto, bloccammo le entrate, cingemmo d’assedio la caserma dei fascisti che indubbiamente
sottovalutarono il nostro potenziale bellico in quanto all’intimazione di resa risposero con un fuoco rabbioso — a mò di sfida.
Gli stessi sembravano tante mitragliatrici.
Le battaglia durò qualche ora ed il plastico pose fine lo scontro a fuoco facendo saltare la caserma.
I prigionieri furono subito rilasciati perchè avessero modo di portare la notizia in tutte le vallate che i “ribelli” non temevano più nessuno.
Baldanza giovanile, coscienza di lottare per una giusta causa, entusiasmo erano le basi fondamentali insite nel cuore e nella mente di
ognuno di noi, dei ribelli del Monte. Penna.
Monte Vaccà Pasqua 1944
Dopo una puntata (ricordo Ja.ck) in quel di Bedonia per dare forse una dimostrazione di forza e di coraggio, ricordo la Pasqua
di sangue del 1944 con lo scontro di Monte Vaccà.
Allo sparuto nucleo del Penna, ai primissimi partigiani di Tomba, si erano aggiunte altre formazioni che in diverse vallate davano inizio
alla resistenza dell’Appennino parmense in forme organica ed agguerrite. Per i tedeschi ed i fascisti anche se venivano chi amati “banditi”
costituivamo una forza militare di disturbo quotidiano, non più noi eravamo gli ospiti indesiderati, ma loro erano i banditi, i criminali.
Cominciavano cos i primi scontri aperti, in forza erano venuti a presidiare i paesi Principali della nostra montagna e Monte Vaccà ne è lo esempio.
Eravamo informati che uno nutrita colonne di fascisti e tedeschi avrebbero voluto, una volta per tutte, porre fine ella resistenza armata.
L’imboscata era prevista sul passo di Monte Vaccà.
Ricordo che assieme a Libero (Primo Brindani) avrei dovuto sganciare la prima bomba a mano sulle strada per bloccare la colonna
e quindi da un versante e dall’altro del passo, avremo dovuto inchiodare il nemico e distruggerlo.
Si racconta che una spia abbia indicato al nemico, giunto nel frattempo, quasi alla sommità del passo, le nostre posizioni.
La colonna così si arrestò prima di cadere nell’imboscata ed il nemico ci aggirò alle spalle.
In pochi minuti ci attestammo sulla sommità della collina sovrastante il passo per cercare di arrestare il nemico0.
Scontro a fuoco, disorientamento, morti e feriti furono il primo risultato.
Il nemico credendo di avere in pugno la situazione tallonava i ribelli finché grazie ad un altro gruppo —.Fanfulla, Aldo (Eugenio Solari) Bil ed altri—
l’avanzata venne eroicamente arrestata ed il nemico nazifascista incassava uno dei colpi più umilianti.
Fu Una giornata eroica e non sarà mai dimenticata perchè ha lasciato in tutti noi il ricordo di quelle fatidiche giornate di lutto.
Rastrellamento del maggio 44
La rabbia nazi—fascistasi scatenò furente contro le nostre forze e la coraggiosa popolazione
della montagna (meriterebbe quella popolazione un capitolo a parte)..
Io ricordo quelle giornate come le può ricordare un uomo braccato da un villaggio all’altro, da un dirupo ad un altro
in cerca di sottrarsi assieme a tutti gli altri (in piccoli gruppi) alla morte certa.
Fame, stenti, insonnia furono assieme ella morte, al pericolo, l’aspetto fondamentale di quelle angosciose giornate.
La resistenza dopo il rastrellamento non scomparve ma si trasformò e dilagò in altre vallate per ricomporsi, per ritrovarsi,
per ricostruirsi collaudata dalle nuove terribili prove di morte e di sacrifici, più forte di prima.
Passai così nel versante borgotarese e precisamente ai Linari alle falde del monte Molinatico.
Linari – maggio—giugno 1944 –
Ai Linari mi ritrovai con vecchi amici, Giuseppe Solari, Rosetta Solari, Carlo Ghezzi, Alberto Zanrè, Dante Beccarelli
e sia il gruppo Zanrè che la 1° Brigata Julia ripresero la lotta armata nel Borgotarese.
Ricordo gli attacchi in piccole formazioni due, tre partigiani contro pattuglie tedesche e fasciste
(io e Jack fummo spesso assieme durante questa fase della guerriglia).
Ricordo l’attacco alla corriera di brigate nere distrutta da noi fra Pontolo e Baselica, ricordo i prelievi fatti da me
e da altri al casello ferroviario vicino alla galleria del Borgallo là dove dovevano discendere i passeggeri dei treni per il trasbordo.
Era tattica pericolosa che poteva ottenere risultati positivi solo adoperando il freddo coraggio di chi si trova,
in pochissimi, ad agire in silenzio in mezzo al nemico.
Eravamo sempre presenti, sempre pronti ad accettare il pericolo, sempre disposto a morire
pur di assottigliare le file nemiche, pur di creare il panico fra i nazi—fascisti.
Ricordo di quell’epoca il colpo alla stazione ferroviaria di Borgotaro compiuto da me, .Dante Beccarelli, Aliù e dalla formidabile
Rosetta Solari coraggiosa quanto il migliore e più coraggioso dei partigiani.
Ricordo il prelievo di parecchie unità di militari della S. Marco prelevati con l’ausilio dell’allora parrocodi S. Vincenzo
in località “Frasso”; ricordo lo scontro a fuoco (protagonisti io, Jack e Lupo (Aldo Pelizzoni) sotto il ponte di ferro della ferrovia
di Borgotaro e ricordo la formidabile, sanguinosa battaglia de ponte della Manubiola.
Battaglia del Manubiola — Giugno 44
Vennero, neri nella divisa e nei pensieri, armatissimi, militarmene molto disciplinati. Spietati come cani arrabbiati, vennero in cerca di sangue innocente.
Spararono, uccisero, ferirono. Mozzarono la testa ad un patriota servendosi di une zappa.
Cruenti giornate di lotta. Presero degli ostaggi. Uomini, donne, bambini. Si incamminarono per non accettare battaglia e vollero rientrare
forse già soddisfatti del bottino umano, dei lutti creati in direzione di Parma.
La resistenza scattò fulminea, il distaccamento di Poppai era apostato nei pressi della Manubiola in agguato.
Ci servimmo del mezzo di trasporto di Delmaestro per raggiungere la orda barbarica, per. fermarla e salvare gli ostaggi.
Io ricordo la lotta che ingaggiammo prima contro il tempo per raggiungere il nemico entro la zona montana, comunque prima del Poggio
di Berceto o meglio prima del ponte della Manubiola, al fine di aprire il fuoco allo scoperto ma in posizione strategicamente a noi Vantaggiosa.
Arrivammo a Lossola, ci portammo verso la Manubiola, ci appostammo in posizioni frontali rispetto alla strada Giare di Berceto—Ponte
Manubiola. Popai ed i suoi uomini. erano già in posizione.
Arrivammo in tempo, il nemico fu agganciato prima del ponte ed il primo automezzo incendiato dal fuoco concentrico impedì ai
tedeschi di sganciarsi e li costrinse ad accettare battaglia.
Il nemico si faceva schermo degli ostaggi e lo scontro fu veramente micidiale e sanguinoso. Dopo qualche ora il nemico si arrese
lasciando sul terreno molti morti; gli ostaggi vennero salvati anche se qualcuno uscì dalla mischia ferito. Anche da parte nostra dovemmo
lamentare morti e feriti.
Ricordo in ouell’attacco Dragotte, Bruno Leoni, Carlo Ghezzi, Fanfulla, Poppai ed altri ancora, tutti eroici, tutti valorosi.
I prigionieri tedeschi che ammontarono a parecchie decine vennero trasportati a Borgotaro e quindi avviati al Castello di Compiano.
La popolazione di Borgotaro che nell’attesa fremeva per il risultato dello scontro ci ricevette al ritorno abbracciandoci e gettando fiori al nostro passaggio.
Fu una giornata. di sangue e di gloria che difficilmente sarà dimenticata da chi ha vissuto quelle ore.
E così venne il giugno 1944 e con giugno la occupazione di Borgotaro.
Fu una giornata di tripudio, di profondo sentimento nazionale, di incontri patetici, di ideali vivificanti, di speranze alla soglia della certezza.
E tutto l’insieme di queste speranze, di queste gioie, purtroppo, Vennero funestate da un avvenimento che ci riportò alla spietata realtà della nostra guerra.
Tre macchine tedesche, filtrate entro le nostre linee, forse per un rallentamento della nostra vigilanza, penetrarono nel bel mezzo del raduno della folla anonima e dei patrioti, sparando all’impazzata per crearsi un varco e per sfuggire al nostro attacco invero indisciplinato e obbligato ad essere tale per il subitaneo
nuovoelemento portatore di confusione e di morte.
Il nemico venne annientato, ma anche da parte nostra dovemmo subire una vittima.
Borgotaro divenne una libera repubblica, gli uffici comunali l’annonaria vennero da noi occupati, un giornale libero contribuiva ad
informare l’opinione pubblica. I partigiani, la popolazione liberamente vivevano la loro esistenza circondati da ogni parte però dal
nemico nazifascista che non avrebbe subito supinamente la realtà del momento, in quanto la guerra era in pieno svolgimento
e sul fronte italiano alterne erano le vicende.
E così fu. Dopo un mese si scatenò sulle nostre montagne la furia nemica; si parlava di 20.000 uomini armati a tutto punto e pronti ad
ogni azione per riportare la situazione in loro mano.
E si ricominciò la battaglia e si rividero lunghe file di umanità formate di vecchi, donne e bambini che tentavano di porsi in salvo
nei villaggi delle nostre gloriose montagne alla ricerca un tozzo di pane per sfamarsi e di un giaciglio di foglie per riposare.
Il terribile rastrellamento durò molti giorni ed io ricordo che sino all’ultima possibilità di resistenza, assieme ad altri, rimasi
a proteggere l’esodo della popolazione per cercare di fermare, sino all’ultima speranza, la furia dei nazifascisti.
E poi incominciò la lunga, guardinga, faticosa schermaglia con le asperità del terreno, i macchioni, i cespugli,
la presenza del nemico, per sottrarmi alla morte ed alla resa che per noi significava morte certa.
E le notizie si incrociavano e tutti chiedevano e le nostre famiglie tribolate, in cerca di salvezza, senza conoscere
la nostra sorte, vagavano con nello sguardo la stessa nostra luce di speranza e di fede, di ideali antifascisti,
antinazisti alla ricerca della salvezza, di sottrarsi alla morte per ricominciare la guerriglia, la lotta che ve deva i contadini,
gli operai, gli studenti,i professionisti uniti nello stesso sforzo e nelle stesse idee.
E così la resistenza, quella resistenza vissuta un anno prima da pochissimi, era diventata popolare, non più dei primi del Monte Penna.,
di Tomba, ma della nostra intera popolazione, di tutti i ceti sociali della nostra vallata che, fatte poche eccezioni, soffriva, lottava,
moriva per un sublime ideale di pace, di dignità, di libertà.
Guai a noi e non fossimo riusciti a creare questi slanci di spontanea solidarietà; in talune circostanze sarebbe bastate la delazione
per mandare a sicura morte centinaia di giovani, di patrioti di simpatizzanti.
La furia nemica non ottenne il risultato sperato e la guerriglia ricominciò più forte e più organizzata di prima collaudata dalla morte
e dal sovrumano sacrificio.
Settembre—Ottobre 1944
Dopo l’attacco al casello ferroviario della “Maccagnana’ (ricordò Rosetta Solari, “Rosolino” ed altri) che fruttò una decina i prigionieri
tedeschi, mi riportai in località S.Pietro di Borgotaro .
Da questa località, al comando di un distaccamento forte di circa. 50 partigiani fra i quali ricordo Mario Gasparini (Fioretto),
Ninetto Cofrini, Piscina Antonio, Delnevo Athos, Enzo Mussi, “Befana” “ Zena” Mariani Mario “Stufa”, “Rospo”, “Caldaia”, “Orso”, “ Napoli”’
Mario Feci ‘Birillo”, Anselmo Nuti, Piero Bocci, Bozzia Pellegrino, Zolli, Ruggeri Mari o “Ciacco”, “Leporino”, “Leone”, “Zeffiro” ed altri ancora,
decisi di andare verso la pianura e prendemmo stanze nel Castello di Corniglio nel versante di Solignano
.
Dopo un attacco per rifornirci di viveri presso Vianino, ci recammo io e il Moretto al Comando Unico per informarlo della nostra dislocazione
e quindi, rientro a Corniglio, ripartii con tutto il distaccamento per Valmozzola.
Ricordo. che ci fermammo presso le scuole di Valmozzola e da quella località stabilimmo il piano d’attacco contro il presidio
nazifascita della stazione ferroviarie di Valmozzola.
Una pattuglia avrebbe dovuto con un fucile mitragliatore difenderci a eventuali attacchi provenienti da Berceto
appostandosi sulla galleria, un’altra squadra, avrebbe dovuto assestarsi versò il ponte sovrastante il torrente
Mozzola ed infine, assicurata la coperture, il rimanente delle forze avrebbe dovuto attaccare direttamente la stazione ed il casello ferroviario.
Sembrava tutto predisposto e l’attacco cominciò. In coincidenza o quasi dell’azione , aerei alleati attaccarono la stazione
mettendo così in guardia i il nemico che si trincerò nelle cantine.
Ci fu di valido aiuto l’operato della squadre di sabotatori composta fra gli altri da “Napoli” e da Calzolari “Dado”.
Dopo un cruento, rabbioso attacco anche a bombe a mano i nazifascisti si arresero.
Non ricordo più quanti morti il nemico lasciò sul terreno ma so che i prigionieri fatti assommarono ad una decina.
Da parte nostra a fine combattimento, in seguito all’ attacco dei tedeschi provenienti da Berceto,
mentre ci ritiravamo nella nostra zona, fu ferito Athos .Delnevo e l’Avv. Scaffardi che si era unito e noi.
Rastrellamento Inverno 1944_45
Dopo la battaglia di Valmozola (ottobre 44) non ricordo piùcon precisione i fatti d’arme da me vissuti.
Sta certo un fatto che in dicembre 44 e gennaio 45 mi trovavo in Val di Ceno e lo ricordo come se fossero passati
pochi mesi in quanto i fatti accaduti resteranno scolpiti a lungo nella mia memoria e nel mio cuore.
Forse quel periodo per chi l’abbia vissuto e sofferto è il periodo più doloroso di tutte la resistenza del nostro Appennino.
Mi riferisco al sanguinoso rastrellamento invernale.
Ricordo di essere stato vicino, di aver sperato, lottato e sofferto assieme a quel magnifico partigiano Borgotarese che
porta il nome di Primo Brindani (Libero) allora, in quel periodo , Ispettore del Comando Unico.
Ci incontrammo non so come ed assieme ad altri partigiani, grazie a Libero, alle sue esperienze di uomo e di combattente,
vivemmo giornate di tensione tale da rabbrividire ancora.
La neve era alta, il freddo cocente, la fame terribile, la morte in agguato dietro le curve delle strade di montagna, i dirupi, le case.
Migliaia di tedeschi e fascisti avevano invaso le nostre montagne, i villaggi e noi senza viveri, con poche munizioni,
ricchi solo di coraggio, di fede e lasciatemelo dire, di pidocchi, ci spingevamo quale selvaggina inseguita da vicino
dal cacciatore, da un canalone all’altro, entro i torrenti ghiacciati, sui crinali dei monti, in mezzo alla neve alta certi punti anche qualche metro.
Inverno che ha visto impazzire letteralmente dei partigiani, che presentava al nostro sguardo allibito partigiani uccisi e gettati nei dirupi
(ricordo a Cornero una visione del genere). Braccati, vaganti, senza;meta, ci facemmo protagonisti di ogni tentativo per sfuggire alla cattura..
Ricordo i paesi di Masante, di Acquenegra, Pione, Pertuso o meglio dei paesi citati ricordo i dintorni perchè dovevamo stare
alla larga dagli abitati, dovevamo riposare qualche ora nelle capanne dei carbonai e poi cercare di rimediare un pò di cibo da
quella meravigliosa gente della montagna. E quindi approfittando delle tenebre dovevamo sganciarci, cambiare rifugio,
sfondare il cerchio di ferro e di fuoco che attorno ai partigiani si era venuto stringendo di giorno in giorno, di ora in ora.
Era necessario non perdere il sangue freddo, non demoralizzarci e quindi essere pronti a reagire ed a vendere cara la pelle.
E le neve cadeva la fame ed il freddo aumentavano e forse, io compreso, dobbiamo ancora ringraziare i nostri vecchi consunti
scarponi che lasciavano scorrere l’acqua grazie ai calore dei piedi che aveva la proprietà di sciogliere la neve entro le scarpe
ed evitare così il congelamento.
“Soffia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar ……” era la nostra realtà, era il verso del poeta che
senz’altro aveva vissuto le nostre terribili ore di angoscia e di lotta per la vita contro la morte.
Diminuito il cerchio del rastrellarnento a piccoli gruppi prendemmo direzioni diverse per porci in salvo.
Io ricordo di essermi portato assieme a “Libero” nella zona di Albareto dopo altro mille peripezie.
La famiglia di Brindani (Libero) ci accolse come si possono accogliere dei redivivi, de figli creduti scomparsi e riabbracciati
dalla madre al loro improvviso ritorno in famiglia.
Partii dopo qualche giorno da Albareto per raggiungere la mia famiglia sfollata a San Vincenzo, provato dalla dura prova ma ancora vivo
e pronto a riprendere la lotta armata
Gennaio 1945
E così finito il rastrellamento invernale la resistenza si ricompose, si ritrovò con gli tessi ideali ed il rinnovato ricordo del sacrificio
dei nostri gloriosi caduti per sferrare altri attacchi, per infierire al nemico altre sconfitte, sul piano morale e materiale
La divisione “Beretta” ricomposta aveva fissato il proprio comando a Rovinaglia ed io ebbi dai valorosi intrepidi fratelli Cacchioni “ Beretta”
l’invito ad assumere il comando di una compagnia della 1° Brigata comandata dal caro valoroso “Fanfulla” già. mio compagno
di tanti fatti d’arme e di tante azioni di guerriglia.
Al comando della prima Compagnia presi stanza in quel di Rovinaglia e continuai con i miei uomini la resistenza armata, la lotta,
sfruttando la mia esperienza ed il mio spirito combattivo, forgiato de tante prove.
Molti furono gli attacchi cui partecipai, ma cercherò di raccontare i fatti principali ed inizierò a parlare delle azioni che mi videro protagonista
assiemead altri partigiani nel territorio di Pontremoli
Il fronte stagnava in Apuania, ma crescenti erano i sintomi di una ripresa che forse avrebbe consentito alle forze democratiche di sferrare
Il colpo decisivo al nazismo ed al fascismo.
Con un gruppo di partigiani mi spostai verso Pontremoli per studiare la reazione del nemico e da un promontorio sovrastante il fiume Magraaprimmoil fuoco contro un automezzo nemico; rientrammo alla base dopo aver catturato un paio di tedeschi sulla strada della Cisa.
Attaccammo in seguito l’istituto magistrale e facemmo qualche prigioniero (in questo attacco ricordo il “vecio” Delmaestro Giovanni ed il
povero Raimondo Brigati.
Mi spostai sovente nella zona di Pontremoli e della Cisa e fui assieme alla squadra volante della III Berretta protagonista di un coraggioso
attacco presso i Cappuccini di Pontremoli che costò al nemico una diecina di morti (ricordo Tic—Tic)
E Poi venne operato da me e da una trentina di miei uomini un attaccodi Sorpresa a Borgotaro con un vivace scontro a fuoco e l’intervento
che si rese necessario in seguito del Monsignore perché rilasciassimo il prigioniero tedesco fatto, onde evitare l’incendio del paese.
Mi è cero ricordare a tale proposito la figura del povero, buon Guglielmo Cacchioli, comandante della Divisione “Beretta”.
Io in verità non resistendo più al pensiero che i tedeschi passeggiavano da padroni per Borgotaro, mio paese, senza nulla
chiedere ero partito ella volta della cittadina per affermare con la forza che i partigiani soli potevano liberamente essere
considerati i veri abitanti del mio paese e che i tedeschi avrebbero dovuto saperlo con le buone o con le cattive.
Quello che successe è stato da me già riferito (prigioniero, scontro a fuoco, rappresaglie, ecc. ecc, e conseguente rilascio
del prigionieri per salvare il paese) e correva voce, dopo il fatto, che Guglielmo avrebbe preso provvedimenti contro di me.
I provvedimenti vennero presi da quel caro, mai dimenticato comandante. Mi interpellò, si rese conto del motivo morale e considerato il fatto
che per molti aspetti deponeva a mio favore, mi regalò una stecca di cioccolato,
Guglielmo mi amava troppo e le considerazione della mia attività fece senz’altro apprezzare il fatto a lui uomo deciso e
comprensivo delle ragioni sincere ed intime che poteva suscitare la presenza del nemico snelle nostre contrade.
E quindi ancora oggi io ricordo i particolari di quell’avvenimento ed assieme ricorderò per sempre il valoroso
Guglielmo mio comandante e mio sincero paterno amico.
PONTE DI MIGNEGNO — Marzo1945
Il comando alleato aveva predisposto di far saltare il ponte di Mignegnosulla statale della Cisa onde impedire che i nazisti,
ritirandosi dal fronte tirrenico, riuscissero a raggiungere la Val Padana, o meglio, onde frapporre ostacoli naturali alla ritirata
Entro le colonne del ponte in argomento, i tedeschi avevano già predisposto i fornelli al fine di minare e far esplodere
l’opera dopo esser svincolati e sottratti al nemico
Occorreva far saltare prima della ritirata il ponte ed impedire la fuga al nemico facendo quello che non erano riusciti ad ottenere gli aerei alleati.
Incaricato del compito, allestìì una quarantina di uomini e chiesi aiuto alla squadra sabotatori al comando di Luigi Pedrini
Fra quegli uomini ricordo Zucconi Domenico (volpe) del maestro Giovanni (Vecio), Gasperini Giuseppe (Dario), Mantegari (Zio)
C’è da aggiungere che una diecina di mongoli facevano buona guardia di notte e di giorno al nostro obiettivo.
Con circa 2 quintali di esplosivo partimmo verso Mignegno approfittando dell’oscurità della notte dopo aver predisposto il piano d’azione
e le rispettive posizioni.
Il ponte è ai piedi dei torrenti della Cisa nel versante Pontremolese; la caserma dei mongoli dei si trovava e pochi metri dall’obbiettivo;
2 sentinelle facevano continue guardie al ponte stesso. Il piano era il seguente; Pedrini ed una diecina di sabotatori dovevano
portarsi sotto il ponte e collocare l’esplosivo e le micce (l’esplosivo sino ad un’ certa distanza del ponte doveva essere trasportato a dorso di
mulo) e quindi nell’ultimo tratto portato a spalle dai sabotatori.
Quanto sopra detto era quindi compito della I squadra.
La II squadra (15 uomini) doveva circondare la caserma dei mongoli;
La III squadra (15 uomini dovevo guardarci il fianco verso lo Cisa ed impedire che fossimo sorpresi nell’azione dal continuo passaggio
di autocolonne militari nazifasciste provenienti dalla Cisa.
Io e Montegari (zio) dovevamo salire sul ponte ed armati di mitragliatori “Sten” muniti di silenziatore tenere a bada i 2 rnongoli di guardia ed alle
prime sensazione di allarme ucciderli e trascinarli nello spazio esistente sul ponte per i salvagente.
Accese le micce Pedrini ci avrebbe avvisati di sganciarci sparando una raffica di mitra.
Tutto procedeva alla perfezione, i partigiani erano appostati, io e lo”zio”eravamo sul ponte ed i sabotatori sotto il ponte nel torrente
intenti a minare l’obbiettivo. –
Un fatto è certo: i mongoli di guardie non reagirono e tutto sembravo ormai prossimo al risultato. –
Ma il nostro udito teso sino allo spasimo avvertì ad un tratto dei rumori. Sì, rumore di motori in marcia, rumore che si avvicinava al ponte.
Era uno questione di vita o di morte. Non potevamo nemmeno permetterci il lusso di fuggire perché avremmo attirato la tensione dei mongoli
della caserma e la sparatoria avrebbe-posto in allarme l’autocolonna ed il ponte sarebbe rimasto in piedi.
Non so cosa avremmo pensato, specialmente noi due sul ponte, Certo è che la nostra situazione non era delle più rosee!
Mongoli a destra, nessun riparo, autocolonna che sarebbe entrata in collisione con la II squadra, sabotatori sotto il ponte.
Questa la nostra situazione. E mentre l’autocolonna stava per sopraggiungere ecco, frammista alla sparatoria della II squadra che aveva attaccato i tedeschi,
la miracolosa liberatrice raffica di mitra di Pedrini.
La miccia era accesa e noi ci impegnammo a coprire il centinaio di metri di percorso ad una velocità che certo si può immaginare.
Ciò nonostante però non riuscimmo a guadagnare la scarpata ove erano appostati i nostri e, tagliati fuori, trovammo rifugio in mezzo agli alberi sottostanti
la strada della Cisa e potemmo ammirare il risultato della esplosione.
I due tronconi spezzati dalla carica di esplosivo si innalzarono e ricaddero frantumati nel torrente.
Il ponte non esisteva più, il nemico era stato ancora una volta sconfitto dal coraggio, dal nostro sangue freddo.
Si racconta inoltre che i tedeschi fucilarono i mongoli che erano di presidio. Io e lo “zio” fummo dati dispersi e dopo qualche giorno
e mille altri accorgimenti per attraversare la strada della Cisa, occupata da potenti forze nazifasciste, rientrammo alla base accolti
con l’entusiasmo che si riserva ai redivivi. Avemmo, noi due, anche la soddisfazione di scorgere un ricognitore alleato che sen’ altro prendeva
nota del sabotaggio compiuto dai patrioti italiani.
E venne la Pasqua del 1945 e con la primavera nuove speranze per volgere a nostro favore la guerra. Erano veramente terminati i periodi tragici?
Era veramente l’ultimo balzo, l’ultimo attacco e poi la fine del le ostilità? Sembrava, ma non era assolutamente vero.
Infatti gli ulti mi mesi della guerra partigiana devono essere ricordati fra i più impegnativi, fra i più delicati e pi drammatici perchè lo smacco
subito dai nazifascisti aveva anche il potere di rendere ancora più crudele la loro reazione.
E così vennero in forza anche nel paesino di Bratto e fecero man bassa ed accerchiato e messo a ferro e fuoco il paese presero ostaggi fra la inerte popolazione.
Ed io ed una trentina di altri, informati, partimmo da Rovinaglia e dopo circa 3 ore di sparatoria, mettemmo in fuga il nemico
e liberammo gli ostaggi. Non so quale fu il numero dei morti e dei feriti sofferti dal nemico. Certamente la lezione impartita fu molto dura.
Caselli ferroviari(Pontremoli—Guinardi)
Era giunto il momento di occupare la ferrovia e di salvare la galleria del Borgallo (Km 8 circa) prima che venisse sabotata del nemico
e la I brigata “Beretta” si mosse al completo.
Vennero espugnati dopo qualche ora di fuoco i primi 2 caselli ferroviari, mentre il casello n. 70 vicino alla mia posizione resisteva strenuamente.
Pasato il comando della compagnia, mi spinsi nella zona di attacco ed incontrai subito gli uomini di Fanfulla e Falco.Per avvicinarci all’obbiettivo era necessario superare un campo minato, confidando che i cartelli fossero stati messi a bella posta dei tedeschi
il formidabile “Fanfulla”, io,Falco e qualche attaccammo decisiad espugnare il casello, mentre gli uomini rimasti in posizione sovrastante
avrebbero avuto il compito di proteggerci.
Così venne fatto, il bzouka, le bombe a mano, distrussero in parte il casello e coni mitra, giunti sulle macerie, ponemmo fine
Alla resistenza nemica. Ci furono morti e prigionieri.
Proseguimmo per dare man forte e Gino Caccchioli (vice comandante della Divisione “Beretta”, ma non ce ne fu bisogno perché Gino,
uomo di un coraggio non comune, pur essendo stato ferito di striscio alla testa, aveva già provveduto e porre fine alle resistenza tedesca
e così raggiunto l’ultimo vicino a Guinadi salvammo anche la galleria del Borgallo ove, come riferisce il Battaglia nelle sue “Storia della resistenza
italiana” venne fatto il seguente bottino:
– 2 treni carichi di munizioni;
– 900 quintali di esplosivo
– 3200 mine, ecc. ecc.
Borgotro intanto veniva definitivamente liberato e così cadeva in nostre mani uno dei presidi pii forti dei nazifasciti dell’Appennino Parmense –
La Divisione “ Beretta” al completo si spostò alla Cervara quindi sulle montagne che circondano Pontremoli.
Io con la compagnia ed assieme al comando di Divisione mi spostai al paese di Vignola pronti ad attaccare e ad occupare Pontremoli.
I carri armati nemici ed un forte gruppo tedesco ci impediva però lo slancio definitivo ed occorreva, per entrare in azione, l’artiglieria
alleata, attestata verso Villafranca ad una ventina di chilometri dal— la nostra posizione.
Così io, Angelini (Mazzini), Vinci, fummo scelti per attraversare il fronte e portare agli alleati l’esatta indicazione delle forze nemiche e delle nostre Brigate.
Angelini parlava l’inglese e sarebbe stato in grado di indicare così agli alleati le diverse posizioni strategiche.
La lunga, forse ultima marcia ci attendeva. I pericoli vennero da noi brillantemente superati e dopo ore di faticoso cammino, di guardinghe attenzioni,
prendemmo contatto con gli alleati ricevuti dal comandante come i portatori della vittoria ormai immediata. -.
Nel frattempo le nostre forze approffitando dello sbandamento del nemico erano entrate in Pontremoli e noi 3 al fianco del comandante americano
fieri e gioiosi facemmo la nostra entrata in Pontremoli accolti dall’entusiasmo della popolazione e da mille abbracci.
Per noi la lotta armata era terminata e si era conclusa con il totale sfacelo dei nazifascìsti in precipitosa fuga verso la pianure pedana con l’epilogo a tutti conosciuto.
E così terminata la mia relazione e con questa la mia carente,disordinata descrizione dei fatti d’arme e degli avvenimenti,
ma e non solo per rispondere alle domande del questionario vorrei tacere l’ultimo punto con l’imbarazzo di chi forse non saprà trovare gli argomenti idonei a rendere chiaro il proprio pensiero.
Mi riferisco alla domanda posta per le ricompense ai valor militare e civile. Si mi è stato riferito che mi è stata. fetta la proposte d medaglia d’argento
al valor militare; ma io non merito alcuna ricompensa in quanto la mia grande ricompensa mi è stata fetta: la vita.
E quindi non parliamo di me o di quelli che hanno avuto la stessa ricompensa, ma lasciatemi esprimere il mio pensiero su di un altro aspetto che merita
tutto il nostro pensiero ed il nostro raccoglimento. Parlo dei nostri cari caduti, delle privazioni sofferte da tutte la popolazione delle nostre montagne,
parlo dei sacrifici, dei feriti le tribolazioni, dell’eroismo, della capacità di sopportazione dimostrati dall’ intera nostra popolazione che schive di atteggiamenti di
forma pronte a tutto osare per mantenere la libertà così duramente avuta merita, merita una ricompensa per tutte le vallate, in nome di
tutti gli eroismi silenziosi e taciuti dai nostri patrioti, dei contadini, degli operai, dei professionisti, delle madri e dei padri.
Perchè non fare nulla? Perchè non prendere iniziative alcune? Perché non dare una ricompensa al valore a tutta la vallata.
Infine vorrei trovarvi tutti d’accordo per continuare l’azione intrapresa de me, Angella, Carletto, il Sindaco, il Professore don Cavalli,
l’On. Buzzi al fine di ottenere per i disoccupati, gli operai, li impiegati, nuova possibilità di lavoro sollecitando il Governo ad aprire nelle nostre vallate stabilimenti,
attività industriali e commerciali, per poter dare il pane chi ne è sprovvisto e richiamare i figli della nostra montagna in Patria.
Qualcuno mi dirà: è solo teoria, è solo poesia! No! Tutti noi abbiamo dimostrato l’unione nel sacrificio, nella lotta, nella pratica.
Perchè non dimostrare la stessa unione e la stessa forza raggiungere risultati concreti anche in pace e non solo in guerra?
Perchè non tacitare con la prova di umana solidarietà la voce che delle tombe dei nostri caduti ci arriva a monito ad agire per il bene della collettività?
Occorre farlo e poi magari con l’animo sereno, con la soddisfazione del dovere compiuto, volgere lo sguardo alle gloriose montagne ed essere
veramente d’accordo con la bella,significativa canzone dei tempi del guerriglia:
“.Quando al figlio tuo racconterai quello che avvenne lassù, nelle tue vene sentirai tutta la tua gioventù”.
Adelio Bernardi “Punteria”

