Poesie Resistenza

Partigiani

Non  chiamateci  eroi.

fummo solo uomini liberi.

tenera e spietata

la  nostra  vicenda.

paziente avventura

nel  fluire quotidiano

della paura e della morte.

Ebbra età  di  saggezza,

la nostra:

quando  giocavamo

la  vita

per nulla e per tutto,

lungo  i  sentieri

vergini  di  neve.

1975

ENRICO LODI

A CESARE BASSANI  << SAM >>

Non  ceppo né croce

sull’ara  del sacrificio

non squilli di  trombe

non salve  di batterie

né un chinar di bandiere:

è il mio testamento.

Qui presso  scorre lenta

l’acqua del torrente

come  un giorno

e il cielo risplende come allora …

ma tu non pensare al fato

che rifuggendo ogni legge umana

portò la morte  fra questi massi …

era il più giovane

e per questo pagò

per l’intera umanità cui appartieni

ma eh! non piangere per me

che  valgo per le ombre

e assiedo sulle  cime dei  ghiacciai

e ascolto le canzoni  alpine

quando  salgano

 dalle valli al  cielo.

cav. Camillo Delmaestro

ALLE FRONDE  DEI SALICI

E come  noi potevamo cantare

con il piede straniero

sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di  ghiaccio,

al lamento d’agnello dei  fanciulli,

all’urlo nero  della madre

che andava incontro al  figlio crocefisso

sul palo del telegrafo?

Alle fronde   dei salici,

per voto, anche le nostre cetre erano  appese,

oscillavano lievi al triste  vento.

Salvatore Quasimodo

ATTESA ( MAGGIO 1945 )

Vi abbiamo aspettato

Quaggiù,

per strade  deserte

nel  Borgo.

Vi  abbiamo seguito

Con occhi gelosi,

con cieca fiducia

con ansia  amorosa,

con mani materne.

Vi abbiamo seguito

Nel sonno

Pesante

Sul vostro giaciglio

Di foglie seccate,

di  spine,

di un letto

di  foglie autunnali,

di un tetto

di travi tarlati

e ineguali.

In notti stellate

abbiamo sentito

le vostre canzoni

nel cuore

nell’ora dei  sogni.

Lontani eravate!

Mistero nascosto

la vostra dimora;

speranza differita

la vostra venuta.

 Vi abbiamo aspettato!

Un pianto  d’attesa

nei  vuoti  viali,

paesaggi serali

deserti

di vita, per noi!

Linari

Fra nebbie

La luna fra i rami

Odore  di vento:

un’ebbrezza

di luce

di sole

lassù:

di gloria. Per voi!

Per noi, un’ eco

soltanto

un’ombra la sera

la nostra persona

per strade deserte

del  Borgo.

L’attesa soltanto!:

E siete venuti

Cantando

E avete sorriso

Barbuti.

E abbiamo tremato

di  gioia,

noi, piccole  donne

che tanto  aspettammo

abbiamo tremato.

Ed ebbre

di luce

anche  noi

abbiamo sentito

la forza del vostro sorriso!

La morte,

la vita,

negli occhi avevate .

Sofferto!

Perduto!

La neve, l’inverno,

l’insidia nascosta,

nel vostro sorriso

avevate:

la  gloria!

Ed ora

per voi vuoti  viali

la gioia  è tornata

con voi,

la pace

la vita.

Campane serali

chiudete

la bella giornata:

<< Sia pace!

Sia pace, mortali

fra voi!

La vita sia amore

fraterno,

la patria

sorriso di madre!

Sia luce d’amore

la morte! >>.

Rosetta  Solari

DICONO I MORTI

Un  giorno lontano partimmo

remava nei cuori l’amor di mamma

vibrava nei  cuori una fede, una fiamma

avversa ai tiranni.

Cantammo nei  boschi la  nostra passione

nei  boschi spuntavano le prime  viole

sui nostri  fucili spuntavan  due  fiori

<< Giustizia  e Libertà >>

e contro il nemico ergemmo il fucile

in pochi, con poche  cartucce;

e il pane  era scarso talvolta

e il letto era secco, di  foglie;

dai muri filtrava la luna col freddo.

Ma Libertà, Libertà,  ci  riscaldava,

essa fuggita dalle  nostre case

dalle città, dai borghi,

visse con noi. Noi fummo i  suoi soldati.

Visse con noi tra i fiori  e le  nevi

visse con noi ai canti  di mitraglia

visse con noi nei cimiteri  sparsi

della montagna.

Ed oggi siam scesi con  essa

e noi che  morimmo viviamo.

Consolati o madre: un giorno morimmo

per vivere nei  cieli del mondo.

O madre consolati.

Se i nostri compagni son vivi  nel  sole,

pur noi siam vivi, nel sole e  nei cuori.

Portammo sui monti  una fiamma

Per essa morimmo;

per essa viviamo.

Consolati  o mamma!

Giuseppe  Delnevo  << Dragotte >>, 1945

ESTATE 1944 – ALTA VAL TARO

Una  pioggia

di calcinacci e vetri

al rombo

di camion tedeschi

che mordono la strada

fiamme sacrileghe

alte

nella valle:

donne, bambini

vecchi

con fagotti

gementi

umiliati

ne sudore

ne fumo

senza rivolta

distruzione e cenere

della violenza

contro prati

e antiche  case

della mia gente

sola,

povera.

Flamio  Musa << Marco >>

IL NATALE  DI  OSACCA 1943

Le donne

col filo della rocca

fra  alberi nudi

profumi di torte,

a carponi  i fascisti da Brugnola

sparano ai ribelli

nel Natale di Gloria.

Gli uomini

Ai campi devoti

Con l’unghie nel fango

S’univano al  fuoco

Dei liberi  esaltati

Dalla  vittoria.

Col buio, pensosi

le scarpe  fumanti al  fuoco

della cucina

seguivano le  fiamme.

Una uscì dai fratelli e  correndo

da Osacca al piano

si levò nel  cielo

cometa

ai credenti

nella libertà senza stelle

Osacca

Un presepe

Flamio Musa << Marco >>

( dal volume << Così il Figlio  divenne Padre >>, La Pilotta – Parma

LUGLIO 1944

– << A Pelosa

i tedeschi non passano >>

L’eco portato dal vento

freme  nella sera

sulla Valle  del  Taro,

ultimo spiraglio

della Repubblica libera

– compressa nel morso téutone –

– appena nata –

– << A Pelosa si  resiste ad oltranza >>

perché un pugno di  audaci

spara disperatamente:

sei giorni di  feroci  scontri

nella  gola  ventosa

battuta dai Brénn

<< A Pelosa si  combatte  ancora >>

e i cadaveri  sparsi

sul letto  bianco  della strada

si contano  a cento

sottratti nella notte

pietosamente alle  stelle.

<< A Pelosa si  muore >>

perché i carri  blindati

e le  venti millimetri

battono  i cespugli

e tacciono  i mitra

spezzati  dai proiettili.

– << A Pelosa è cessato il fuoco >>

e la  speranza.

Cav. Camillo Delmaestro

OSACCA

Osacca, salve

e gloria a te

Gloria ai tuoi neri e intatti casolari

alla tua gente

di  stirpe contadina

che un di lontano

spezzò il pane

sudato

con altre gente

forestiera

Gloria  alle tue donne

che un gran ceppo

accesero

a riscaldare  gli uomini

sconosciuti

giù scivolati

da sentieri fangosi

con un fucile prezioso

e le saccocce  gonfie di  cartucce

Uomini sconosciuti,

ma  nessuno

chiese il nome;

era uguale

al nome dell’altro

e questo  nome

era per tutti  uno

<< LIBERTÀ >>

Verdi sono oggi  i tuoi boschi,                                 

Osacca

E, fronzuti – e pieni di  vita

ma allora erano spogli

e muti

e innevate le cime

in quel Dicembre.

E il fischio si sentiva

del  Santa Donna

dentro  i camini.

E vennero  i neri

e un crepito di  fucilate

risuonò nella valle

E stupirono  i monti

e sussultarono le nebbie

e i piccoli animali

in letargo.

E rimbalzò il rumore

di balza in balza

e scese al fiume

e le borgate seppero

e imparò un nome

a noi tutti

OSACCA!

Dove nel gelo

fra rami spogli

e zolle indurite

un fiore era sbocciato

in quel Dicembre,

il primo fiore della

RESISTENZA.

Delnevo Giuseppe << Dragotte >>, 1970

RESISTENZA IN VAL TARO

Lunghi silenzi…

Montagne fredde.

Laggiù nella pianura

respirò il Mostro.

Noi, le mani

sul brunito Sten,

Respiriamo la libertà.

L’anima  nostra

E nella canna del  fucile.

Non c’è tregua: La Tigre  cammina

<< Got mit uns – Dio  è con noi >>

É la  bestemmia  che  sale

dal buio dell’orrore

<< Got mit uns – Dio  è con noi >>

 …. e fumano i camini  di  Mathausen

O Monte Vacà!

O primo crepito  di Sten!

O primi gridi  di libertà!

Primo caduto partigiano :

Ruggeri  da Porcigatone.

E i verdi  boschi del Molinatico

Nel Maggio odoroso

E i teneri prati di Linari

Da dove un giorno partiva

Mario Piscina

Per ritornarvi

ricoperto di  rododendri.

O calda  giornata del 30 giugno!

Il bosco è verde

E il grano biondeggia

Maturo.

O Manubiola – sulle  tue  balze

ci  siamo tutti: Brigata Julia

Brigata Beretta.

Su le  tue  rive scoscese

il nemico  è inchiodato;

e s’incrociano i proiettili

feroci – veloci

vicini – lontani

più in alto- più in basso.

E tu non c’eri,

alberto  Zanrè,

quando scendemmo alla pianura

nell’Aprile caldo e luminoso

della nostra giovinezza.

Eri  rimasto  lassù

e il tuo respiro l’ultimo!

Era caldo  e generoso,

e la  terra

traboccava di  frutti

e tu morivi, artigliato dal piombo,

stringendo una zolla

della tua  terra

ove era il seme della Libertà!

Nella notte illune

Salviamo, Alberto,

ricordo,

col piccolo quadrupede

sul primo sentiero

della Guerriglia

al gelido  Gennaio.

Sopra  di  noi

Lontanissime stelle

Luminose – immote

Punteggiavano il cielo.

Fruscio di  foglie secche

nei nostri Alberghi

e un palpitare  di  cuori

nei  boschi spogli

e un accendersi di lumi

nei  casolari sparsi.

Salivamo – ricordo,

Alberto,

e in ogni valle

saliva  con noi

l’Italia

e in ogni bosco

s’accendevano i lumi

della Speranza

Giuseppe  Delnevo << Dragotte >> 1968

<< SETTE PER LA LIBERTÀ >>

( Monte Santa Donna – 6 Gennaio 1945 )

O quante croci,

o mille croci,

sulle nostre montagne

e i Morti piantati – nella terra –

come  salde radici

di tronchi

che a primavera si rivestono

e muovono

le foglie al vento.

Oggi in me sento

lacerante lo sgranare

di mitraglia

che arrossava la neve

in sette rivoli

di giovinezza,

o Gherri,

o Voi del  Santa Donna

ventoso,

in quel mattino di  Gennaio.

E il piombo e il ferro

venivan di  lontano:

croci uncinate, Nibelunghi

scagliati in un’ira di potenza

sovra  di  noi

agitavan   le  catene e teschi.

… Ma,o Libertà

mille sono le  tue radici

e i tuoi germogli

E infiniti nel vento

i tuoi semi a fecondare

la tenera zolla

a penetrare nel duro sasso

a sciogliere i ghiacci e le nevi.

…La neve

leggera scendeva

sul Santa Donna;

leggera posava i suoi petali

bianchi – fiori di  cielo –

a ricoprire

I  Sette per la Libertà

Giuseppe  Delnevo << Dragotte >>

STRELA 1944

Morti

illividiti

depredati

insepolti  al sole

senza muro

di  cimitero:

immobili

vanghe e breviari

guardano

un cielo

senza sten,

in polvere.

Flamio Musa << Marco  >>

( dal vol. citato )

SUL PASSO  DEL SANTA  DONNA

 

Passeggero  non sostare

che  ricordare è triste:

il nostro spirito

alleggia  ancora

in cerca del nemico

fra nebbie e la tormenta.

Segui la via sicura

verso  Valle

ma  alza lo sguardo al  cielo

per chi non ha potuto

fra il cupo rumore della guerra.

Di alla santa donna

di  non piangere

noi l’attendiamo ancora

e la calda  carezza

e la sua voce cara.

Cav. Camillo Delmaestro

VOCI SUL SANTA  DONNA

Perché nonna, lassù sopra  quel monte

Ch’è nodo  come monte  Calvario

Ogni  notte s’accendon per incanto

Quelle fiamme lucenti come  stelle?

Son’i Morti risponde lui la  nonna

Sono gl’eroi del tremendo  Santa Donna.

Parla piano, piccino  non turbare

Il momento sacrato a quegl’eroi

Senti tutto d’intorno com’è pace

Com’è sacro  il silenzio di  quest’ora?

Son i Morti sussurra lui la  nonna

Son i Grandi  del Monte Santa Donna.

Or’ascolta… non senti su quel Monte

Ch’è Calvario di  sette  giovinezze,

un bisbiglio, un parlar di  voci  foche,

che, piccino, tu forse puoi capire?

son’ i Morti sussurra la nonna

son’i Santi del Monte  Santa Donna.

O bambino, bambino ch’alla Vita

ti dischiudi sereno come  un fiore

ti sovvenga di noi, che l’infinita

carità della Patria e che l’amore

alla terra che c’ebbe  generati,

ci spinge ad immolar la nostra vita.

Era al dì della Santa  Epifania

ed al  Borgo sonavan campane;

di tant’in tanto fioco pervenia,

eco di care voci a noi lontane

annunciante il trionfo del Messia,

il suono sacro delle pie  campane.

Un senso d’accorata nostalgia

ci prese delle cose a noi più care.

Ci pareva vedere nell’ora pia

la madre nostra innanzi al sant’altare

pregar Gesù, perché nel gran periglio

proteggesse la  via di  suo figlio.

Ma d’un tratto sentiamo la  mitraglia

Scrosciar tremenda con rabbioso  suono;

il nemico cercava  la battaglia

anche nel giorno santo del  Perdono;

quel nemico che pur su questa terra.

E  battaglia noi demmo disperata;

eravam sette, sembrava cento

una forza gagliarda, sconfinata

ci spinge ad affrontar  il gran cimento;

ci  sorreggeva la  gran fiamma;

il pensier della casa e della mamma.

Tra raffiche  di  fuoco e di  tormenta

cademmo tutti e sette. Ad uno ad uno

ci numerò la morte, e la violenza

rabbia  nemica usò per ciascheduno

il piombo che  per noi fu  regalato

da un regime violento  e depravato.

Così morimmo! Nel momento  estremo

pervenne a noi con note  già lontane

dal nostro Borgo, che più non vedremo

l’ultimo tocco de le  pie  campane;

e fu per noi negl’ultimi momenti

l’estremo addio del mondo  dei viventi.

Su  questo monte ormai, due  volte  santo,

su  questo nostro  altare insanguinato

ogni notte in questa ora d’incanto

ci ridestiam per volontà  del  Fato,

a ragionar  di  gloria e di martirio

e degli eroi che come  noi moriron.

Dalla martire  Strela al grande Penna,

dalla Cisa contesa al Manubiola,

dalla chiostra dè monti che d’intorno

incoronano l’ombra il nostro Borgo,

in quest’ora ch’ormai  rivela il giorno

ci perviene il saluto  degli  Eroi

che la vita donaron  come noi.

Ti sovvenga di  noi piccolo amico,

ti  sovvenga di  rutti  i tuoi fratelli

che nell’ora tremenda della prova

risposero << Presente >> al  gran  ricchiamo

e noi ti seguiremo da vicino,

vegliando  su  di  te, sul  tuo cammino

Giuseppe . Castagnoli

Le strofe dell’inno della 1ˆJulia, che lui aveva scritto, si aprono con un grido di battaglia:

<< Sugli aspri monti ci siam fatti lupi

 il nostro grido è libertà o morte

al piano scenderem per la battaglia

 per la vittoria >>

“Fra vette, boschi e valli ci battiamo

 perché si possa ancora con orgoglio

gridare come il tuono e ancor più forte

viva l’Italia!’>

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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