Obiettivo Libertà Storia della “I” Julia Brigata Partigiana dell’ Alta Val Taro A.L.P.I. Associazione Liberi Partigiani – Parma da pag. 335 a pag. 378 7° parte

Parte Terza

– memorie autobiografiche, profili di caduti, poesie e racconti partigiani

  • – elenchi dei Caduti partigiani e civili,
  • – quadri comando della 1^ Brigata Julia
  • – organici di brigata

INTERROGATORIO AII’ UFFICIO POLITICO DELLA MILIZIA

( MASSIMILIANO LODI )

“ITALO”

Firenze, pomeriggio del  2 dicembre 1943.

Nella sede dell’Ufficio Politico della 92 Legione camicie  nere della M.V.S.N., dove sono stato convocato con un laconico perentorio invito, si nota animazione e intenso viavai di gerarchi e gregari. Dal momento dell’armistizio dell’8 settembre e della nuova presa di potere di Mussolini dopo la sua brusca estromissione del precedente 25 luglio, gli uomini delle superstiti forze del regime sono attivamente mobilitate nell’a­zione di restaurazione fascista e di rapido recupero del controllo politico-militare della parte del nostro Paese caduta in loro mano. È evidente che le ragioni della mia odierna convocazione si ricollegano ai miei precedenti politici risalenti a un fatto del periodo anteriore al 25 luglio scorso, quando, essendo alle dipendenze del  comune  di  Firenze, avevo dichiarato di non essere iscritto e di  non volermi iscrivere al Partito Nazionale  Fascista in una lettera diretta al Podestà (e per questo ero stato licenziato sui due piedi; Vi informo che ho disposto da oggi stesso il vostro licenziamento per non essere voi iscritto al Partito Nazionale  Fascista.

Nel mio Ufficio il Capo del servizio da cui dipendevo, adunati  i miei  colleghi ( come uno  di loro mi racconterà più tardi), aveva aspramente stimmatizzato il mio  gesto, definendomi «il ribelle». «Ha sputato nel piatto in cui mangiava e voi, se mai vi capitasse  d’incontrarlo da qualche parte, sputatagli in faccia. Il piatto in cui mangiavo era, semmai, quello dell’Amministrazione co­munale di Firenze e non quello del Partito Fascista. Ma quest’ultimo, avendo ormai ingoiato lo Stato e ogni sua struttura, era divenuto padrone dispotico di tutto e di tutti. Ed io, del resto, sapevo già  a priori che il mio licenziamento inevitabile, dato che per i dipendenti di qualsiasi Ente pubblico l’obbligo di iscrizione ai Fascio era stabilito per legge.

Aspettavo da tempo che si avvedessero che ero sfornito di  quella  tessera e cosi nascesse la grana che avrebbe offerto il destro a un mio esplicito rifiuto al momento in cui fossi stato invitato a provvedermene. Ma si  vede che  l’iscrizione al P.N.F. di  ciascun dipendente la  consideravano così  scontata che  nessuno si dava la pena di dava la pena di perdere tempo per verificarla. Così, alla fine , avevo preso io stesso l’iniziativa di quella  << autodenuncia >>, volendo di  proposito creare il caso, mettere, per quanto esile, la mia  zeppa individuale negl’ingranaggi del  sistema, nonostante le  conseguenze imponderabili ma sicuramente non lievi cui andavo incontro.

E  questo  perché non mi sentivo di  seguire il  riprovevole andazzo di  conformismo,  servilismo e codardia collettiva che  consentiva la perpetuazione della  dittatura, sotto la  quale, standosene come pecora fra le pecore e belando con le  altre, ciascuno s’adattava a incasellarsi e vivere o sopravvivere senza rischi fastidi nel vessatorio  sistema, sottraendosi alla propria parte di  responsabilità e al  dovere d’intervenire a mettere fine a quell’insopportabile stato  di  cose. D’altronde la dittatura disponeva ormai da tempo, da troppo  tempo,  di  strutture di repressione, pressione  e ricatto tali da spiegare, se non sempre giustificare, la sua accettazione passiva da  parte  della massa dei  cittadini, molti, moltissimi dei  quali  se ne legnavano, ma in privato, sottovoce, senza  osare di uscire allo scoperto in prima  persona.

E devo aggiungere che  anch’io,  ad esempio, se invece d’essere, solo avessi  avuto famiglia, avrei dovuto pensarci  due  volte prima di  coinvolgerla nella problematica situazione in cui mi stavo mettendo. ( E anche  in questo  senso  ho parlato più sopra di ricatto del  regime  dittatoriale ). Ma  per mia ventura questo ulteriore problema  era risparmiato, mentre il mio gesto di aperto e formale  rifiuto della prepotenza  fascista era  e voleva essere espressione del  dovere morale di  chiunque di  rivendicare il  diritto alla  libertà, a un proprio spazio di libertà.

Esistono soprusi intollerabili dinanzi a cui la fronte non può, non deve inchinarsi. Dopo il licenziamento la mia pratica era passata  alla Questura e al  Partito, dove mi avevano schedato secondo  la  prassi d’uso. Poi erano venute le  chiamate presso  la  Commissione di  disciplina  del  P.N.F.( riteneva nel  senso  del  diritto  e nella logica  del  fascismo che  tale  organismo, avente specifiche competenze sugl’iscritti all’organizzazione, inquisisse anche  sugli  iscritti).

Dapprima il Relatore della  Commissione Federale di  Disciplina, Conte Francesco De Lardarel, poi l’Avvocato Alberto  Coppini, i quali, << nel mio interesse >> e perché non mi rovinassi il  futuro, visto  che  ero giovane, volevano vedermi recedere dal  mio  rifiuto e  soprattutto cercavano di  capire se la  mia  era stata una presa di posizione autonoma o nascondesse l’appartenenza a qualche gruppo d’oppositori politici del  regime. Anche  i  carabinieri  mi avevano interrogato, per la  verità senza eccessivo zelo, per sapere tra l’altro se  avevo parenti in Paesi nemici come l’Inghilterra e l’America, se ricevevo rimesse di  denaro dall’estero oppure di  cosa vivevo.

Di  che  cosa vivevo  mi sarebbe stato  difficile spiegarlo non solo a loro ma persino a me  stesso, visti  tutti  i  salti  mortali  che  dovevo  fare  per tirare avanti campando  alla giornata. Meno male che  ero solo: i miei genitori  e fratelli erano sfollati presso parenti  nella  campagna   cremonese, dove la  pensione  del  babbo bastava loro  a malapena a far trenta e trentuno. Per mia  fortuna, non molto dopo i miei  problemi e i  minacciosi sviluppi del mio caso svanivano rapidamente come  neve  al  sole, al  sole del  luglio che  voleva finalmente la  caduta  del  dittatore, ed io potevo  rientrare al  mio posto  in Comune. Ma ora il fascismo è  ritornato, imposto dalla forza militare  della  Germania e da  una minoranza virulenta di  nostalgici illusi e io,  a quanto  sembra, sono  chiamato  a fare  i  conti  con  loro.

E non è senza un vivo senso di preoccupazione e timore che  mi accingo a  varcare la  soglia  dell’<<U.P.I. >>. Perché recarmi a un  simile  appuntamento col fermo proposito di  ribaltare la  mia avversione al  fascismo in  questo 2 dicembre 1943, quando  soltanto ieri a Firenze è stato  << giustiziato>>  dalla resistenza il  Comandante  del  Distretto Militare, Col  Gobbi, che  arruolava uomini per l’esercito  di  Graziani,  e  si  sono subito annunciate gravi  rappresaglie ( cinque ostaggi antifascisti verranno infatti passati per le  armi), non mi sembra  che scevra da  oscuri pericoli.

Ma in questo momento  se mi devo  rimproverarmi è  di  non essermi a suo tempo collegato con  gli embrionali movimenti politici venuti  alla luce nei 45 giorni  del  Governo  Badoglio. Quello sarebbe stato per me il momento di entrare  in contatto con  gli alti esponenti di partito  che  inviavano i loro  brevi messaggi e  comunicati alla stampa,  di  associarmi alla corrente liberale di  cui condividevo  i principi,  di  far comunella con i gruppi che  in precedenza avevano clandestinamente operato  contro il regime. Ma io, lungi  dall’immaginare glia attuali sviluppi della situazione e poco interessato alla politica attiva e  ai  suoi autolesionismi ( oltreché   prigioniero d’un temperamento schivo  e introverso ), avevo trascurato di interessarmene. E ora pago le  conseguenze della mia imprevidenza, perché a questo punto l’organizzazione antifascista è nuovamente  clandestina  e, in una  grossa città  come  Firenze, anonima e inavvicinabile per chi, come  me, conta su scarse conoscenze.

Proprio la frustrazione per questo stato  d’isolamento è la  mola è la  mola che  mi spinge ad affrontare la  prova  presso l’<<U.P.I.>>, in  cui  vedevo l’occasione da non perdere è per nella sede più  idonea  una professione d’antifascismo, per rischiosa che  sia. Dunque  entro  in quell’Ufficio. E li ho la  sorpresa d’una accoglienza cortese, quasi  calorosa. Gli sguardi dei  due  addetti sembravano fissarsi su  di me  con benevola attenzione.

<<Uomini come voi>> mi fa il responsabile << al  tempo del  Partito Nazionale  Fascista ce ne sarebbero  voluti molti. Gente  con il coraggio delle  proprie  idee, capace di  dire  di  no, avrebbe potuto far  suonare un campanello d’allarme nelle  strutture interne del  regime, impedire che  divenissero un’accolta di opportunisti e di  leccapiedi, che  poi abbiam visto dove han finito per portarci. Ma il fascismo repubblicano ha  fatto un ripulirsi e un rinnovamento radicale, è una  cosa ben  diversa (ecc. ecc. )e nessuno meglio di un cittadino come  voi potrà trovarcisi a proprio  agio nel  combattere la  sua battaglia, se  veramente avete a cuore le  sorti  d’Italia (ecc. ecc. )>>.

Così, aspettandomi un accoglienza aggressiva e intimidatoria, mi trovavo davanti a  un tentativo di  recupero  morbido. Anche se, conoscendo dalle  carte i miei  precedenti, questi  << camerati >> probabilmente non contano troppo sulla mia  duttilità. Essi aspettano ora la  mia  risposta. Ed io rispondo andando diritto alle mie  conclusioni, cioè  chiarendo e ribadendo che  la mia opposizione al  fascismo è una  opposizione di  principio e quindi vale per il Partito Repubblicano come valeva per il partito Nazionale Fascista.

Espressione e tono degl’inquirenti si mutano  radicalmente. Ora i loro  sguardi sono ostili, minacciosi e minaccioso il loro linguaggio. << Guardate che  mettiamo  a verbale!>>. Ed io: << mettete a verbale, nessuno può impedirmi  di pensare con la mia  testa!>> . Allora, senza più far motto e con ira malamente  repressa, in rapida sequenza, buttano giù  stringatamente il verbale, me lo fanno sottoscrivere e mi mettono bruscamente  alla porta. Ritrovandomi all’aperto, mentre  sento  subito allentarsi la  forte tensione che  prima  mi opprimeva, respiro a pieni polmoni e ho l’animo sollevato come  quello di  un reduce da uno scampato pericolo.

Per fortuna qui hanno pensato di  fare l’operazione in due tempi: il primo tempo riservato al tentativo del mio recupero o alla verbalizzazione – nero  sul bianco – del mio reato>>; il  secondo tempo destinato al  conseguente intervento punitivo .. verbale  alla mano. Ma ormai, compiuto il mio atto dimostrativo, il mio gesto di  sfida, anche a prescindere dalla remota  ipotesi di trovare in questo momento la  via di  qualche  banda  partigiana, e  chiaro che  devo darmi alla macchia, devo  sparire  da  Firenze senza  por  tempo in mezzo, ( infatti, come  a guerra  finita potrò rilevare dai  documenti, i<< camerati >> dell’Ufficio Politico  della Milizia si  stavano apprestando a trasmettere in gran fretta il mio verbale << per provvedimenti che  il caso richiede >>, non solo al  Podestà di  Firenze, ma  anche  al Capo  della Provincia, al  Comando  Generale della Guardia Nazionale Repubblicana, alla  Federazione Provinciale  del  Partito e all’Ispettorato di  zona delle  Camicie  Nere.

E per il Podestà << i provvedimenti che  il  caso  richiede >> si  limitavano a un mio nuovo licenziamento, per  gli altri destinatari della comunicazione … )

MASSIMILIANO LODI << Italo >>

Milizia Volontaria Per La  Sicurezza Nazionale

Comando della 92 Legione cc.nn (C. di M.)                                                           Prot. N. 632/B/2

Firenze 3 dicembre 1943

ALL’ECCELLENZA IL CAPO DELLA PROVINCIA DI  FIRENZE

AL PODESTÀ DEL  COMUNE  DI  FIRENZE

E p.c:

AL  COMANDO GENERALE GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA

ALLA FEDERAZIONE PROVINCIALE DEL P.F.R. DI  FIRENZE

ALL’ISPETORATO VIIˆ ZONA CC.NN. FIRENZE

OGGETTO: LODI MASSIMILIANO di Valentino e di  Signorelli Gina, nato  a Borgotaro ( Parma )

Il  28 ottobre 1921 e residente  a Firenze in Via Fabbroni 46.

A carico del nominato in oggetto, dipendente dell’Ufficio Informazioni del  Comune  di Firenze, è  prevenuta una  segnalazione nella  quale è precisato che il Lodi, invitato prima dell 25 luglio c.a. ad iscriversi avrebbe  preferito lasciare l’impiego.

Effettuate le  opportune indagini è stata accertata la veridicità della segnalazione.

Interrogato in proposito, il Lodi ha confermato quanto era stato segnalato a  questo U.P.I. ed ha sottoscritto il relativo verbale di  cui  una coppia si unisce  alla presente.

Per quanto sopra si  segnala il nominativo in oggetto per i provvedimenti che il caso richiede.

IL CAPO DELL’ U.P.I.

Console Fabio Pastorini.

Copia  conforme del  documento  originale esistente agli atti del  Comune di  Firenze

Comando  92ˆ Legione CC.NN.

U.P.I.

VERBALE DI  INTERROGATORIO

L’anno Millenovecentoquarantatrè addì  due  del mese di  dicembre nei locali del Comando  92ˆ Legione cc.nn.- Ufficio Politico- è comparso davanti a  noi 1° Csq. CORSI  GIUSEPPE E Cns. MERENDONI ROBERTO il nominato LODI  MASSIMILIANO di  Valentino  e di  Signorelli Gina  nato  a Borgotaro ( Parma ) il  28  ottobre 1921 e residente a Firenze in Via Fabbroni  48, sottosuolo,  di  professione dipendente dell’Ufficio Informazioni  del  Comune  di Firenze, il  quale opportunamente  interrogato, risponde:

A D/R : – non mi sono mai  iscritto al  P.N.F. perché  contrario di  idee; altrettanto ho fatto  col Partito  Fascista Repubblicano, perché non corrisponde ai  miei sentimenti.

A D/R : Occupo un posto alle  dipendenze del  Governo  Repubblicano ma lo occupo unicamente perché  mi è necessario lavorare e non sento in me nessuna adesione per l’attuale Governo  di  fatto.

A D/R:- Sono disposto a lasciare e senz’altro il posto che  occupo piuttosto che  iscrivermi al Partito Fascista Repubblicano.

A D/R: Non  ho altro  da aggiungere.

Fatto. Letto, confermato e sottoscritto nel  giorno e luogo di  cui  sopra.

f.to  Lodi  Massimiliano

f. to 1° Csq. Corsi Giuseppe

f.to Cns. Merendoni Roberto

p.cc.

Il Dirigente  dell’U.P.I.

Seniore Caridi Andrea

Copia  conforme del  documento  originale esistente agli atti del  Comune di  Firenze

MOSCA  A CIECA  CON  I NAZIFASCISTI

Il  vecchio  biglietto  di viaggio  emesso  dalla stazione  ferroviaria  di  Parma per l’andata a Valmozzola ( andata che  per  me  rappresenta  un  ritorno: ero sceso da lassù qualche  giorno prima cavalcando  una sconquassata bicicletta )  reca  un bollo a secco con impresso  il Fascio littorio ( immancabile  simbolo e marchio  del  regime )e un  timbro con  la  data  del  6  gennaio 1945. data ormai lontana ma  rimasta  nitidissima nella mia memoria, dove  si  associa a un singolare ricordo  di  guerra: nel  giro  di 24 ore ero  stato  catturato dai militi  fascisti,  ero  riuscito  a farmi rilasciare,  ero  poi finito  in mano agli << Alpenjaeger >>tedeschi.

Come  dire dalla padella  nelle  bragie.

Ecco perché  ho conservo questo foglietto ormai  ingiallito dagli anni fra le  mie  carte, dove  di tanto in tanto lo ritrovo e con lui ritrovo la memoria di  quei  due  episodi, ma  anche e soprattutto  la memoria d’un tempo traboccante d’entusiasmo patriottico e di  speranze.

A vent’anni capita d’essere un po’ matti.

Ed è precisamente ciò che, il giorno avanti di prendere quel treno per Valmozzola , mi sento  dire  da un membro del  Comitato di Liberazione Nazionale di Parma, quando, avendomi chiesto  dove  ero  alloggiato lì in città, gli indico un albergo del  centralissimo Borgo  Salina ( c’è anche  oggi: il  Button ), lo steso  che  ospita un  grosso reparto  di << Brigate Nere >>.

<< Ma è matto? >> esclama  incredulo l’amico.

E io a spiegargli che  mentre  i  fascisti stanno passando al  setaccio  la  Città alla  caccia di noi <<fuori legge>> tenendo  sotto tiro alberghi, locande, pensioni e pensioncine, nei loro  covi si sentono certamente sicuri da non curarsi nemmeno di chi hanno dintorno  ( in albergo, come avevo  osservato, essi trascorrevano le loro pause di  riposo e distinzione bevendo, fumando  cantando, correndo  dietro alle gonnelle, senza curarsi della  faccia degli altri clienti e avventori). Tutto  stava  a comportarsi con apparente indifferenza ed evitare di  dare nell’occhio. Ma la mia un po’ audace teoria non è  punto  condivisa dall’allarmato interlocutore, che  non sembra disposto  a scommettere un soldo bucato sulla mia pelle.

Sta  di  fatto che nelle  due  giornata di permanenza a contatto di  gomito con le Brigate nere sono andato e venuto passando tranquillamente ( si  fa  per  dire ) in mezzo a loro senza  che  mi degnassero d’uno sguardo, mentre la mattina del  terzo  giorno sono stato  bloccato e fermato come sospetto dai militi fascisti nel bel mezzo d’una strada. Per spostarmi nei punti della  città dove  dovevo  svolgere la mia missione per conto del  comando  usavo la  bicicletta. In un certo momento si mette a nevicare intensamente e io, pedalando a testa  bassa per  evitare i  fiocchi di neve  vado a finire pari pari in braccio a un posto  di  controllo volante della << Guardia Nazionale  Repubblicana >>.

Alla  richiesta  di  documenti personali ne  esibisco uno << fatto  in casa >>. Si tratta  d’un lasciapassare bilingue, cioè compilato  anche  in tedesco, che, complice la ( giovanissima e bellissima ) dottoressa Vanda Alzapiedi la  quale  conosce tale lingua e s’era prestata come traduttrice, avevo fatto io  stesso stampare e adottare dai  Comuni controllati dal  nostro Comando partigiano, perché ne munissero quanti  ne avevano la necessità di  spostarsi in altre zone. Il Comune provvedeva  a compilarlo e vidimarlo e, salvo complicazioni,  a farlo  vistare dal locale presidio tedesco.

Mio scopo era stato anche  quello di  escogitare un documento che, apparentemente rilasciato ai  soli civili, potesse essere intestato al  bisogno pure a noi partigiani per poterlo utilizzare quando dovevamo battere territori nemici. I  controlli fascisti quando vedevano il visto e timbro  del Comando tedesco con tanto  di  svastica, in genere davano il via libera senza approfondire le loro verifiche. Ma la prima sperimentazione personale di  questo pseudo  documento da parte del suo ideatore va male: al posto  di  controllo in cui mi sono imbattuto la mia posizione  appare subito sospetta e i militi mi  fermano e mi conducano per accertamenti nella loro caserma ( la Caserma Angelo Mazza , se la memoria  non mi inganna):

Qui ci  sono in attesa anche altri fermati; e, fortunatamente, lungo un corridoio c’è un apparecchio telefonico normalmente utilizzato dai militi per le loro conversazioni private. Così  con la scusa  di informare << il capo  ufficio >> del mio ritardo, ottengo  di fare una telefonata e avverto del mio infortunio un membro  del Comitato  di  Liberazione perché veda se può adoperarsi a mio favore, 8 qualche dirigente  fascista, vista la piega che  stanno prendendo gli eventi, fa il doppio gioco e, in contatto con membri  del C.L.N. per interposta persona,  si presta a volte a risolvere simili casi  ).

E  che  la  telefonata  sia  stata provvidenziale lo posso  constatare di li  a poco, allorché  chiamato tra i primi nel  Comando della  caserma per l’esame della mia posizione, vengo  senza subire domande o inquisizioni rilasciato. Verso  sera, concluse rapidamente le mie  faccende e lasciata la  bicicletta in un deposito, mi  avvio in stazione per prendere il treno, che partirà soltanto nelle  ore dell’oscurità per sfuggire al pericolo delle frequenti  incursioni aeree diurne.

È  un convoglio misto con in testa i vagoni riservati  ai passeggeri, al  centro la  locomotiva,  e in coda i vagoni ad uso militare e loro armamenti. Così i partigiani sanno che, in caso  sia  minata la linea ferroviaria, i primi  a saltare saranno  i  civili. Il treno tarda  a partire; nella sala d’aspetto e nei  vagoni privi  di  riscaldamento il  freddo  notturno si fa sempre più intenso. Finalmente  si  ode un flebile  fischio della  locomotiva e, fra cigolii e stridori acutissimi di materiale rotabile e binari malamente sopravvissuti all’offesa dei  bombardamenti aerei, ci  si mette faticosamente in moto.

I  viaggiatori sono pochi, muti coi  visi tesi, spauriti. Qualcuno di  loro sorveglia con uno  sguardo geloso pacchi e borse di preziosi viveri racimolati in pianura. Intorno alle tre di notte scendo  alla stazione  di Valmozzola. Fra i rari presenti un amico  mi avverte che  nella zona sono in corso imponenti movimenti di truppe nemiche. Andando in  su verso Mormorola ( 9  chilometri ) avrei inciampato probabilmente in uno sbarramento.

Mi metto in cammino confidando, nonostante  tutto, nel mio documento  bilingue con tanto  di  svastica ed aquila tedesca. Nella scarsa luce notturna lamia  sagoma era scura che  avanza, passo passo, sulla strada bianca di neve, potrebbe destare allarme in un posto di  vigilanza nemico ed essere magari  scambiata come avanguardia d’una pattuglia d’attacco avversaria. E in  simili circostanze, in cui si è piuttosto nervosi e sbrigativi, capita che  prima si  spari sul bersaglio e poi, con comodo, si intimi l’alto – là.

Mi metto quindi a cantare a mezza voce per segnalare a distanza e in forma pacifica la mia presenza. Tutt’al più mi scambieranno per un ubriaco deambulante alla ricerca del proprio focolare domestico. E nella notte  gelida e silente mi tocca cantare per circa sette  chilometri di strada, per giunta in salita, prima che una secca intimazione di << alt !>> arresti il mio cammino.

Fa ancora  buio. Nondimeno riesco a distinguere le mostrine dei militari e constatare che  si tratta di  alpini della Divisione Monterosa della R.S.I. Il  Capoposto, un tenente, non ha nemmeno un fanale con  cui  farsi luce. Accende una serie  di  fiammiferi per  leggere (o fingere di leggere ) il mio <<lasciapassare>> che  gli allungo con  gesto  sicuro e  che egli,  sia  pur  titubante, mi restituisce lasciandomi proseguire per la mia strada. Alle prime luci  del  giorno giungo nella mia  sede di  Mormorola, dove mi suggeriscono di proseguire senza indugi verso l’alto. Ma sono troppo stanco ed esaurito  da tante ore di  tensione e non posso fare  a meno di  abbandonarmi a un pesante  sonno ristoratore.

Trascorse un paia d’ore mi svegliano di  soprassalto . C’è anche << Faust >> il carissimo amico Tonino Laurenti che, pur  facendo parte della 2ˆ Brigata Julia, s’è trasferito momentaneamente fra i miei  uomini e mi offre la sua preziosa collaborazione. Quanto  al  suo nome  di  battaglia, esso non deve trarre in inganno chi si  aspetta che  atterrisca e sgomenti i tedeschi quasi  avessero a che  fare con il demonio. Semmai, animo mite e riflessivo, << Faust >>li potrebbe un po’ ammansire con il suo modo d’essere ragionevole e disarmante. Egli mi avverte che  sta per  sopraggiungendo una pattuglia  della << Monterosa >> proprio dalla zona in  cui dinanzi  ero  stato  fermato e che  sappiamo popolata  da spie fasciste.

Prese le  nostre  armi,  ci  sganciamo rapidamente  verso Mariano. Altri  chilometri, altra salita. Ma l’allenamento non manca e alla nostra età questo  non ci pesa. Anche a mariano i pochi civili rimasti, per lo più  donne e anziani ( oltre ai  bambini ) sono in allarme per i movimenti nemici e non  ci  sanno indicare la dislocazione dei  nostri che, essendovi un massiccio rastrellamento  in corso,  si  sono spostati e probabilmente occultati  in altra zona. In compenso le  Signorine Occhi, le  due mature cortesissime sorelle che  hanno ospitato lungamente nella loro  villa i nostri comandi facendo  anche allestire sotto il fienile un rifugio che  ritengono  sicuro, insistono perché noi  ne approfittiamo.

In realtà nessuno può giurare che  quel  rifugio sia tale ma sicuramente  è comodo e spazioso e, cosa rara in  simili frangenti, garantito di  << servizio  mensa >> dall’ineguagliabile impegno filo – partigiano di  queste  benemerite sostenitrici del  nostro Movimento, così animate da spirito patriottico. Il rifugio è a suo modo confortevole e la situazione non offre alternative. E allora cos’è che, dopo un paio  di  ore di permanenza sotto la sua  botola,  ci  spinge  ad uscirne,  ritornare  all’aperto?.

È la tensione  nervosa?.

È un insopportabile senso  di  claustrofobia dopo tutti  quei mesi trascorsi peregrinando in lungo  e in largo all’aria libera su  queste montagne? È una certa confidenza con il fattore rischio, che  finisce per farcelo prendere sottogamba quando  diviene una specie  di pane  quotidiano? ( mi viene in mente a questo proposito che  recentemente ero stato individuato e  catturato  a Borgotaro insieme a Umberto Cappella << Tris >> dagli alpini della Monterosa, il cui Comandante, Maggiore Faccioli, sembrava deciso  a fucilarci. Il  rischio di  finire al muro  era stato per noi reale e ce l’eravamo vista brutta.

Poi, dopo due  giorni di  alterno tiro alla  fune con il  nostro Comando, il Maggiore aveva pensato bene  di fare marcia in dietro a addirittura rilasciarci. E anche  allora, nonostante tutto, eravamo  riusciti  a cavarcela). Usciti  dal  rifugio, abbiamo  appena il tempo di raggiungere le prime  case del paese e nascondere le nostre armi dietro le  fascine accatastate in una  rimessa, ed ecco che: << compt, compt ! >> ci troviamo improvvisamente davanti, le  armi spianate, una  squadra di << Apenjaeger >> in tute mimetiche bianche velocemente sopraggiunta sugli sci, che  precede una grossa colonna  tedesca.

Sono ancora le Signorine Occhi, per ammansire in qualche  modo i tedeschi ad invitare con molte effusioni la squadra nemica nel caldo della loro casa unitamente a Faust e a me, per una tavolata in cui servono un’abbondante colazione  a tutti. Così  diventiamo prigionieri dei tedeschi, che  ci  caricano d’uno zaino e ci tengono come  ostaggi: se nelle prossime  operazioni nessuno di loro verrà ucciso saremo liberati; altrimenti << caput >>. Meno male che  non siamo incappati nelle << S.S.>> e che l’inattesa accoglienza ricevuta a Mariano ha  ammorbidito un po’ questi uomini nei nostri confronti.

Ci  chiamano << zivilisti >> per  farci intendere di non considerarci << partesani >> ed evitiamo con noi i modi eccessivamente  bruschi. Peccato che ora essi abbiano incontrato e  aggregato come  ostaggio un  sempliciotto di origini napoletane sfollato  a Valmozzola il  quale,  oltre a non stare mai a bocca chiusa, continua  a rivolgermi la parola chiamandomi << comissà>>. Nella sua mente semplice non immagina che  se  quelli si  accorgono di  avere per in mano un commissario partigiano siamo fritti. Per fortuna  che essi  non riescono ad afferrare la  parola dialettale e di  fronte  alla sua  inarrestabile profulvie di parole si limitano di tanto in tanto ad apostrofarlo scherzosamente << makaroni>>.

Così seguiamo la  colonna, che durante il suo lungo percorso cerca a destra e a  manca i partigiani. Vediamo  i tedeschi consultare dettagliatissime carte militari della zona stampate nella loro lingua, in  cui appaiano anche i casolari più dispersi. La pattuglia sciatori va e viene, ma dei partigiani nessuna traccia. A un certo momento un ricognitore inglese, forse richiesto dal nostro Comando Unico attraverso la trasmittente della Missione Alleata, sorvola ripetutamente la zona, al che la colonna si attesta immobile dietro ad un muro.

Verso l’imbrunire raggiungiamo Tosca.

Nell’approssimarsi a questa località << Faust>> ed io ci  scambiamo un cenno  d’intesa incominciando  a rallentare il passo per rimanere alla  retroguardia della  colonna. Entrando in paese c’indugiamo ulteriormente, preparandoci  a scantonare velocemente al  primo angolo, quando  un coro  di  richiami e ( meno male ) di  risate dei tedeschi  che  hanno mangiato la foglia,  ci  costringe  a rientrare nei  ranghi. D’altronde con tutta la  neve che in terra impaccia i movimenti un tentativo di  fuga sarebbe stato piuttosto velleitario.

A Tosca i tedeschi, senza tante  cerimonie, sloggiano da varie case gli  abitanti predisponendosi a occuparne anche i letti. << Faust >> ed io andiamo a finire, guardati  a vista, nell’ampia cucina di una  delle case più in vista  del paese, dove  si  installa  il  Comando.

Ma per noi, naturalmente  niente  letto e nemmeno un cuscino o una coperta qualsiasi da  buttarsi  addosso per tentare  di  dormire un po’ riparati  dal  freddo. Né del  resto la  tensione accumulata ci  consentirebbe di prendere sonno. Per cercare  d’ingannare il tempo e allentare un po’ i nervi mi metto a  canticchiare sottovoce << Firenze sogna >>, al  che un caporale i cui modi insolitamente urbani aveva già notato, mi domanda: << Tu  Firenze!>> e la mia risposta affermativa: << Io afere due fidanzaten quando Firenze!>>.

Poi aggiunge: << Tomani io parlare capitano per foi rilasciara >>. Così il mattino  dopo veniamo introdotti dal Capitano. << faust >> mi dà  di  gomito accennando a  un fiasco vuoto che  troneggia vicino  un bicchiere e a un mozzicone di candela sul tavolo dell’ufficiale. Se il capitano è  anche semplicemente disposto a dare udienza ai prigionieri ciò fa  pensare bene dell’iniziativa del  caporal maggiore ( che  avevamo visto abbottonarsi e aggiustarsi attentamente la divisa  prima di  entrare nella stanza del  superiore ).

E soprattutto fa  pensare  che  i tedeschi non sono più  quegli uomini così  estremamente sprezzanti e violenti che  avevamo conosciuto nella primavera ed estate scorsa: adesso, sentendo prossima l’ora della resa dei  conti, incominciamo a moderare i toni e  modi di comportamento. ( E questo anche se nei  riferimenti alla prepotenza tedesca non  si  deve far  d’ogni erba  un fascio, cioè non  si  devono dimenticare le  lodevoli eccezioni personali, come  dimostra l’atteggiamento di  spontanea cortesia e sensibilità d’animo del  nostro  caporal maggiore).

Tuttavia  il capitano  che  s’esprime piuttosto  bene in Italiano non  si  sbilancia  gran  che. Domandando  al  << Faust >> cosa  ci  facesse  a Mariano, alla sua  risposta che  si  era recato  a trovare  le zie  ribatte in tono incredulo << Le zie eh?>>. Poi  ci conferma che siamo ostaggi suoi ostaggi e non può al momento prevedere il nostro futuro.

Poco  dopo riprende la marcia della colonna attraverso i  sentieri abbondantemente innevati. I nostri pantaloni a furia di  strofinarsi nella neve alta oltre il ginocchio, data la  temperatura abbondantemente sotto lo zero,  si  sono ricoperti d’uno strato  di  ghiacciato che  crocchia ad ogni alterno movimento delle gambe, le mie scarpe basse ( sono  quelle  che  indossavo  a Parma  e mi  ero nuovamente e precipitosamente rimesso  ai piedi dopo il breve riposo  di Mormorola ) imbarcano neve che  tendono a ghiacciarsi. << Tue  scarpe nik bone montagna!>> mi dice  un militare in colonna.

Si  percorrono lunghi itinerari senza incappare in nuclei partigiani nei piccoli centri e  nelle singole cascine visitate, fino a che  nel tardo pomeriggio la  colonna raggiunge il suo punto  di  concentramento  a Borgotaro. Prima  ancora di toccare il paese, nella zona  del campo sportivo, essa si congiunge con un altro gruppo  di  << Alpenjaeger >> reduce da un  da un diverso itinerario, e dai  gridi ed alte esclamazioni di  gioia che  si levano  dagli uomini delle due parti dopo un primo  scambio  di  notizie gridate  a distanza, << Faust >>ed io intuiamo che  fra loro  non ci  sono state  perdite.

A  questo punto ci  dicono che  nessuno di loro  <<caput>> e quindi  siamo liberi. Mentre facciamo dietro  front per ritornare a Valmozzola << faust>> mi dice  << Attenzione, sono  tedeschi,  ci lasciano allontanare di venti metri poi  ci prendono  a raffiche!>>. Andiamo avanti venti, trenta, quaranta metri, ma  non  accade nulla.

Allora  ci  voltiamo indietro: i tedeschi, tutti presi a  conversare animamene fra di loro, non  ci  stanno neanche  osservando.

La sorte ci è stata amica, la rischiosa avventura è a lieto  fine!

MASSIMO LODI << ITALO >>

Diario

Rastrellamento  Gennaio 1945

“Libero”

Primo  Brindani

(  5  Gennaio  1945: inizia nell’alto parmense il massiccio rastrellamento che  costringerà molte formazioni partigiane all’occultamento e lo stesso  Nostro Comando  Unico a estenuanti peregrinazioni per sottrarsi alla ricerca  nemica, mettendo in crisi  il nostro sistema  di  collegamenti informativi nell’intera Provincia e spesso isolando gli stessi uomini del << C.U.>>. << Libero >> Ispettore del  << C.U.>>, viene  allora  incaricato di battere la montagna accompagnato  da alcuni portaordini per tenere i contatti con  i  capi delle  varie formazioni,cui  fornire direttive e indicazioni e per  raccogliere e  far  conoscere  al << C.U.>>  informazioni sulla situazione e sull’andamento dell’operazione  nemica.  Ecco il  suo diario di  quei  giorni: brevi  notazioni buttate  giù alla svelta, dove  le  notizie sono talora sfumate, appena  accennate o  sottaciute. Ma già così il  diario costituisce un documento  compromettente da portare con  sé,  e l’averlo tenuto una  cosa un po’ azzardata ).

– 5.1.1945

Ore  15,20 parto  da Bardi e sono  a Pione alle 19 circa.

– 6.1.1945

Ore 9,30, visto che  non cessa di  nevicare, lascio  Pione per  recarmi al  Acquanera ove giungo alle 12’45 dopo  aver incontrato D’Artagnan prima di Cremadasco ed aver sostato un poco a Panigale. La marcia è stata durissima perché mi sono dovuto  fare la  rotta colla neve che  arrivava fino  al  ginocchio.

– 7.1.1945

Ore 4,30 giungono n. 2 staffette che  annunciano lo spostamento  del Btg. Turco: infatti  dopo mezz’ora giunge Rolando ed Aldo con il detto btg. Quasi  subito  il Btg. riparte  per Frassineto. Alle 7.30 circa parte anche  Rolando ed Aldo per detta località. Io invece con  Franco scendo  a Pione ove giungo  alle  9. Alle 10,30 faccio partire la staffetta per il  C.U. che  ritorna  alle 13.

… la lettera dice di  aver incontrato  un patriota che  l’ha  fatto ritornare indietro perché più oltre ha sentito e  visto dei nemici che  scendevano  con  gli sci verso Vischetto. Mi riferisce che  poco prima ha sentito pure lui degli spari ed altri  dicono di  aver  sentito sparare  verso  Gravago.

Si mangia ed alle  15,30 telefono ed ho  conferma dell’occupazione  di Bardi.

– 8.1.1945

Alle 6,30 si  riparte ed alle  7,30 siamo  a S. Giustina. Si parte più tardi ed  alle  8,45 siamo  a Roncole.

Alle  9,30 vediamo  una colonna frazionata che  scendeva verso S. Giustina  di  circa  60 uomini. C’è un primo allarme ma ci  viene  confermato che sono civili  che  scappano.

Verso le  13,30 giungono  notizie che  sono  a Pione e Cornolo; Illica e Masanti le dicono  sgombre.

Alle 16.30 ci muoviamo per Roncole nella  speranza di  raggiungere Illica:

Due  ci precedono in paese e ritornano riferendoci che  ci  sono  gli  alpini.

Ritorniamo. La  discesa a precipizio viene  fatta quasi tutta strisciando a terra col  sedere. Siamo nuovamente alle capanne ove pernottiamo.

Fa un freddo  cane e… a dormire pochissimo.

– 9.1.1945

Mi  alzo alle 7,30 e poco  dopo, sempre in torno al nostro misero focherello, faccio colazione di pane  e formaggio. Alle  12 solito minestrone. Più tardi due uomini scendono in paese per raccogliere notizie e far  scorta di pane. Il nostro messaggero fa ritorno verso  le  17 e poco  dopo unitamente a lui scendiamo nuovamente  a Roncole… provvediamo subito  all’occultamento delle armi, mentre l’impareggiabile  Tom si  cura di  farci trovare pronto un  buon minestrone. Un fienile  per la notte. Due parole di  cronaca su  questa critica  giornata sento che  bisogna  pur  dirle. La notte trascorsa quasi  insonne ha  aggravato la  mestizia di  questa  dura  giornata.

Le  notizie varie e incerte, il silenzio di tomba che tutt’intorno, il candido manto che ricopre ogni cosa e paralizza ogni movimento creano uno stato psicologico veramente  deprimente e quanto mai  oscuro. Il nemico è  tutt’intorno ( Pione- Masanti – Illica – Ponteceno – Cornolo – Pertuso – Ferriere ) e, come  un incubo,  si teme, che i nazi –  fascisti convergeranno concordi  verso il centro e difficile  sarà poterne  uscire. Voci … voci.., voci in  un  susseguirsi di mille congetture, ma purtroppo il morale è  depresso ed ogni decisione, pur  ponderata, non  sembra buona.

Bisognerebbe sì uscire dal  cerchio ma la  mancanza di  notizie  sicure su località sgombre induce ad attendere. Solo il  ritorno in paese ( a Roncole )ci toglie un po’ di  quella malinconia che le mille supposizioni dei più timorosi aveva  fatto.. anche  su  di noi. Alla notizia della  cattura di  circa un centinaio di nostri Patrioti mentre scendevano verso Pertuso,  si  contrappone quella che  Cornolo è stata  sgomberata.

– 10.1.1945

Appena giorno mi alzo dato che non sono riuscito a chiudere occhio per tutta la notte causa  il gran  freddo ai piedi. Intanto  si  sa che  un civile è andato  a Cornolo ed infatti  ci porterà poi  l’assicurazione  che da Cornolo sono partiti; notizia convalidata più tardi  da uno dei nostri che  da Frassineto si è spinto fino  a colà per far rifornimento di  viveri. Intanto la giornata trascorre alquanto gioiosa e non manca il canto e il gioco  delle  carte. Io ne approfitto per farmi fare sempre da Tom la  barba con un rasoio che  fa solamente luccicare gli occhi. Per questa sera ho l’alloggio sopra una panca in cucina.

– 11.1.1945

Pomeriggio lasciamo Roncole e giungiamo la sera stessa ad Angola ove pernottiamo.

– 12.1.1945

Tomba.

– 13.1.1945

Caneso.

– 14.1.1945

Lascio, sempre unitamente a Franco  di  B.Taro, Caneso e da Carniglia si  raggiunge Pione di  Carniglia ove passiamo il Taro su  una piccola  passerella dato  che il ponte è  stato  fatto  saltare. Il passaggio, per quanto accerchiato, tanto  più che  bisogna percorrere circa  500 mt, sulla  carrozzabile, viene  effettuato senza alcun allarme.

Alle  9  siamo  a Tornolo.

Raggiungiamo  la  strada delle << Cento  Croci >>che lasciamo dopo averne percorso un lungo tratto scendendo  verso S. Quirico.

Alle 14,45 sono  a casa al  Castello.

Mi rifocillo con una buona pasta asciutta e un piatto  di carne. Subito  dopo un bagno… più ristoratore mi rimette totalmente  in sesto. Di  buon’ora la  sera ci  corichiamo.

– 15.1.1945

Saranno  le  7 circa quando alcune  raffiche di  mitragliatrice ci  svegliano di  soprassalto. Il tempo di  vestirmi in fretta e prendere la  strada di M.  Groppo. Di là si prosegue per la << Cappelletta >> ove giungiamo  alle 12. Indi scendiamo verso  Caranza e dopo un breve sosta  ci portiamo a Varese Ligure. Qui alla sera verso le  20 veniamo  a conoscenza che  le  truppe nemiche hanno lasciato  Albareto verso le  18.

– 16.1.1945

Siamo  a M. Groppo unitamente a Ballerino, Scarpenti ed altri.

Prima di  sera sono nuovamente  a casa.

– 17.1.1945 – 18.1.1945

Al mattino allarme  alle 3 ( poi  alle  4,30 un altro ), in  seguito  scendo ad Albareto dal  barbiere e mentre  mi  sta facendo la  barba viene riferito che  i tedeschi stanno venendo  su  dal  bivio. Si  da poco  credito  alla notizia, sennonché mezz’ora dopo devo  andarmene dato  che  i tedeschi  sono già  al  Cimitero visti da miei  amici.

Nuovamente prendo la via di  M  Groppo e mi aggrego  per strada anche  a Cecchino. Dormo alla meglio ai  Sabini e al mattino dopo  alle  5 si prende  la strada di  Delamo ove giungiamo  alle 9,30.

– 22.1.1945

Mi si sveglia alle  8,45 dicendomi che  i tedeschi vengono  giù  da Montegroppo. Falso  allarme. Sono  i patrioti delle  varie brigate di  Spezia che  si  sono << sganciati >> dalla zona di Boschetto e M Groppo. Scendo ad Albareto  e vedo <<Richetto>>. Telefono  a Compiano ed ho conferma che  né il Prof. << Poe >> ne  suo  figlio si trovano  a casa. Alle  14,30 lascio il Castello e  da Gotra – Ponte Scodellino – Monticelli raggiungo verso le  18  Brunelli.. Mangio e pernotto  a casa di << Dragotte >>. Vengo  a conoscenza dell’arresto di  << Rosetta >>.

– 23.1.1945

Alle ore 8,30 mi reco  da Corrado: si parla un po’ della situazione e  dei  combattimenti svoltosi ed in particolare della  Crisi sia del Comandante che  del  Commissario. Alle 13,15 unitamente  a << Lupo >> prendo la  via  di Mariano ( sede del  comando  Unico ). Breve  sosta  a Caffaraccia ove incontro  << Oreste >>. Alle  15,30 lasciamo quest’ultima località ed alle  16,30 siamo alla << Maestà >>. Si prosegue e proprio sul monte perdiamo traccia della pista, totalmente  coperta di neve. Si  cerca inutilmente e mentre io  ero  già propenso per il ritorno,  si  decide di  scendere a valle  calando giù per i ruscelli.

Fatica indescrivibile: la  neve arriva fin’oltre il  ginocchio, in certi punti vi  si  sprofonda fin oltre la cintola, ci  si sprofonda  dentro e riesce oltremodo difficile uscirne anche  con l’aiuto delle mani; la  situazione,  col procedere della  marcia si fa quanto mai  precaria; a turno ci  apriamo la strada; un bel momento metto  un piede nell’acqua; cammino ancora  nell’acqua sembra  si congeli nelle  scarpe; più oltre scivolo giù da una scarpata e mi trovo con un piede ( sempre il  solito destro ) nell’acqua e con  ambedue le  mani; la situazione si  fa  terribile; << Lupo >> mi segue  a distanza rotto dalla fatica ed io  non ne  posso più causa il congelamento che  mi sembra  in atto; sono costretto  a fermarmi togliere la  scarpa e farne  uscire l’acqua;  mi friziono  il piede con la  neve tenendolo sulla borsa,  mi asciugo poi con un  asciugatoio e mi cambio  le  calze;  mi riprendo, ma  tanto  si pensa già  di  accendere un piccolo  fuocherello; proseguiamo con ulteriore faticoso  sforzo di  volontà;  finalmente vediamo  una striscia di  bianco che  fa  supporre sia  una  strada; non c’è  rotta ma  comunque ci  si convince  sempre  di  più che  sia  una  strada;  più oltre infatti si trova l’altra  strada  che scende dalla  << Tagliata >> con la  pista fatta; è indescrivibile la nostra contentezza, ormai la  strada è  certa e nulla più ci preoccupa.

Ancora un’ora di  strada  e siamo  a mariano. Arriviamo con  gli abiti tutti  congelati. Provvediamo a cambiarci e  fare asciugare abiti  e corpo. Un’ora  dopo ci  riprendiamo e subito ci  corichiamo.

– 24.1.1945

Ho  dormito con Lupo e ci  si alzava verso le 9,30 ormai quasi  completamente ristabiliti dalla cattiva avventura del  giorno prima. A Mariano ho  trovato  Arta, Poe, Apino, Umberto, Don Guido, Severino, Poppay, ecc.

– 25.1.1945

È indetta per le 10 una riunione dei  vari  capi delle Brigate partigiane. Si  effettua invece nel pomeriggio e  sono presenti: Dario, Falco, Giorgio oltre agli altri già presenti. Verso le  15 Lupo parte via Tiedoli. Poco dopo giunge anche  Piero recando denaro.

– 26.1.1945

Al mattino si  tiene una piccola seduta  fra noi del  Comando  unico ed al pomeriggio alle 14,30 lascio l’ospitale casa delle  Signore. O… per  raggiungere Brunelli – via  Tiedoli. Parto  con  Giorgio, Severino e Oreste. Durante la  notte ha  nevicato nuovamente continuando anche alcune ore  del mattino trasformandosi  in pioggia. In queste condizioni la  marcia  è buona fino  alla Cappelletta prima  di  Pian  del Monte, mentre diventa  faticosissima e  brutta causa il disgelo dell’altro versante. Arrivo  a Tiedoli inzuppato d’acqua fino  al  ginocchio e i piedi quasi  congelati. Decidiamo di pernottare in detta località: io  rimango con Severino e ceniamo in casa dell’Ing. Gandolfi e  dormiamo a Trecosta presso un’altra sua  parente.

– 27.1.1945

Veniamo  a conoscenza che  i tedeschi sembra  siano  a Brunelli. Si  decide ugualmente di partire alle 10,30 siamo  in marcia per S. Pietro ove si  giunge verso mezzogiorno. Qui siamo  in allarme perché hanno visto  i tedeschi sopra  Barbuia e li danno  sicuri  anche a Caffaraccia. Dalla  lunga osservazione con  cannocchiali non sembrerebbe, comunque alle  14 si parte ed a Trasogna si  viene  a conoscenza che  il nemico  ha lasciato in mattinata B. taro e Brunelli ed in parte ha seguito il crinale del monte sopra  Brunelli.

Alle  17 siamo  a Brunelli.

– 28.1.1945

Mi  alzo tardi e nel pomeriggio teniamo una riunione a casa di  Pirein presenti Corrado, Lino, Oreste, Cavur, Pirein, Battista, Barsi, ecc. e tutti  hanno da biasimare sull’operato della  congrega che  è  al  Borgo. Si  vorrebbe pure  che  nel  Comitato vi  fossero persone  anziane anche  se non rappresentative di partito per  provvedere ai problemi dell’alimentazione del paese.

– 29.1.1945

Nel pomeriggio teniamo  una seduta all’Albergo Appennino presente tutta la polizia più  Bob e Tris e i rappresentanti del  C.L.N.. Più tardi viene  anche  Dragotte. Vengono  esposte  le  critiche  che  si  fanno agli elementi  che sono al  Borgo e fra l’altro viene  marcato il fatto  del  rastrellamento.

Per quest’ultima cosa viene posto  in evidenza  a discolpa che  il  giorno 4.1.1945 era stato  avvertito il  Com. Dragotte di un rastrellamento  immediato da effettuarsi con  2 divisioni 8  notizia riferita subito  da un tedesco alla  stazione ) e che  inoltre era stato avvertito immediatamente il Comando del fatto che il  giorno  5, piccoli nuclei di tedeschi si  erano posti a Monticelli e S. Martino. Sarebbe mancato l’avviso di  quando le  colonne si  sono mosse  dal  Borgo. Per altre questioni si  rimane  d’accordo per una  verifica della contabilità.

– 30.1.1945

Sempre al  Borgo mi  incontro con << Macaggi>>

– 31.1.1945

Al pomeriggio nella  saletta al primo piano della  trattoria Pellacini trovo << Bob >> ( Cap. < Bob > Capo della Missione alleata ) che  con altri  gioca a poker. Si  voleva fare il controllo dei  registri, ma  non è possibile perché mancavano Vennein e Gek.

Sono io con  Giorgio più Bob . tris – Poppay. Bob ha  fatto intervenire anche Timo – Saga – Ludria perché, a sua  detta, vedano anche  loro che  le  accuse sono false e possono dire agli altri che  è tutto  fatto in regola.

– 1.2.1945

Riunione dei rappresentati delle varie  brigate con  gli esponenti  del C.L.N. Vengono  ben  chiariti i  rispettivi compiti e si da mandato al C.L.N. circa l’assaggio .. alle  varie .. brigate che  giungono  a Borgotaro. Si approva l’affissione di un manifesto tendente a  dar maggiore autorità alle disposizioni emanate dagli Organi Comunali.

– 2.2.1945

Prima di  mezzogiorno sono  a Caffaraccia. Riunione nel pomeriggio del  Comando di  Btg. e dei  Comandanti, V. Comandanti e Commissari di  distaccamento. Dopo lunga e accalorata discussione si è d’accordo sul fatto che per il  buon nome  della  Brigata e del nostro Paese e  per non formare oggetto di  critica da parte di tutto il popolo è necessario che  la  Brigata rimanga  unita.

<<LIBERO>> ( PRIMO  BRINDANI

29 SETTEMBRE 1944 DA MARIANO  ALLA STAZIONE DI  VALMOZZOLA E RITORNO  CON  ALLEGRIA

 

Sfrecciavano le  rondini quel  giorno, nere, nel  cielo terso, azzurro, dal monte  Barigazzo al  passo della Cisa, con voli rapidi ed ali tese, ebbre di  spazio, saettanti, con  virate improvvise tuffi, e risate. E la  natura era  ancora una << carezza >> di tepore,  di  erbe, di rami,  di  nidi,  e il  taro scorreva tranquillo e pulito. Sfrecciavano le  rondini in cielo e il cinguettio era acuto, gioioso. Silenziosi ed indifferenti allo spettacolo erano invece quei  giovani, barbe incolte, armi assortite, i nervi  un po’ tesi,  che  scendevano  da mariano, ove era il comando  di  Brigata,  a passi saltellanti su sentieri su  sentieri  conosciuti e coperti dal  fogliame amico del  castagno e della quercia.

Altri uomini alla stessa ora, muovevano da Boie di  Solignano,  al  comando di  << Taras >> con appuntamento prefissato con  << Dragotte >> sui dossi sovrastanti la stazione  di  Valmozzola. Era questo edificio appunto l’obbiettivo principale dell’azione  dove alloggiava un  forte presidio nazi – fascista e altri  due caselli laterali alla stazione. Alle ore16 come  convenuto, dopo che  gli uomini erano  già  schierati, parte la  prima  raffica di  mitragliatrice che  doveva  dare inizio l’attacco.  E allora la  musica si  fa assordante: mitra, Sten,  fucili mod.91 mitragliatori – sono circa 80 << strumenti >> che  piazzano le  loro note metalliche, come se fosse un rullio di tamburi che  dà  la carica alla  cavalleria napoleonica, ognuno  col  suo  ritmo, …. Uno schioppettio quasi  allegro come  un gran finale  di  fuochi artificiali nelle sagre  di paese.

Ma all’improvviso le  rondini ora  non danzano più nell’infinito, non caprioleggiano più. Fuggono invece e sfrecciano con volti  rapidi, saettanti in direzione  di  Berceto e della Cisa. …. Due  sole, stranamente, rimangono alte nel  cielo; ma queste ora  non  fuggono, anzi  con  ali  ferme ondeggiano e ruotano nell’aria come  falchi…. E in un attimo sono  sopra  di  noi.

Eccoli, purtroppo  non sono rondini e non  sono falchi: sono due  caccia  bombardieri della aviazione Inglese. Qualcuno di  noi certamente  sorpreso, accenna ad un incerto  saluto di  amicizia,  come dire: – bravi Inglesi, siamo qui anche per voi. Ma  loro evidentemente non sanno nemmeno che  esistono  i partigiani nella valle  del  taro, niente  hanno capito di quello che  sta  succedendo. Molti  di  noi – è vero – portano chi un copricapo, chi una  giacca dell’esercito tedesco, altri sahariane fasciste, alcuni  di noi sono anche  armati  di Machine – pistole ( il mitra  tedesco ).

Fatto  sta che il nostro saluto-  forse scambiato  per uno  sberleffo – sganciano su  di noi e  sulla linea  ferroviaria quasi  con allegria il loro  carico di  bombe (  quattro ) legate  a due  a due. Lo scompiglio e la  rabbia in noi  sono  inevitabili anche  se i feriti sono solo due. Ci  resta nelle  orecchie lo sferragliare delle  carene che  legavano  le  bombe in caduta… e mentre decido di interrompere l’azione,  ecco  << Erok>> vice comandante, valoroso compagno  di tante battaglie, arriva  di  slancio  sui  binari e a voce alta mi urla. Il casello  si è  arreso…proseguiamo.

Il  combattimento infatti viene ripreso con rabbia,  e ora  anche l’altro  casello  si  è arreso agli uomini  di  << Taras >>. Il nucleo più grosso però ancora asserragliato nella stazione del piano superiore. Ma ora non ha  più scampo, intimiamo la resa che  viene rifiutata. Allora la decisione ultima: tre << sabotatori >> escono  alo scoperto protetti da un fuoco accelerato di  sbarramento ed entrano nel  << salone di attesa >> dove una scala in muratura porta al piano di  sopra.

Hanno  con loro un cartoccio di  esplosivo al plastico già innescato col detonatore e relativa miccia. Pochi secondi  dopo << Gi, ><, << Aquila >>, << Monti >>,  sono già  fuori. Altri  secondi scorrono …. E poi il  botto  della bomba. << Punteria >> è  tra i primi a scattare al  grido  << Libertà >>seguito da una  decina di noi, tutti pensano che  fosse  crollato anche  il soffitto del  salone .. invece appena  entrati ecco la  sorpresa. La  scala – è vero –  si  è  sbriciolata, ma  nel  soffitto intatto c’è  solo  il buco da dove partiva  la  scala.

Restiamo  qualche  istante col naso in aria finché dal  buco qualcuno lancia una bomba a mano che,  fortunatamente scoppia tra i detriti della scala senza ferire nessuno  di  noi. Ci precipitiamo  fuori e riprendiamo a sparare dentro le  finestre , da dove finalmente  esce un drappo bianco  della  resa. Troviamo in fretta una scala  da  fienile che  viene  appoggiata sotto  ad una finestra. Su  quella sale << Leone >> e altri  due  coraggiosi,  e subito  scendono  a terra i soldati  Tedeschi e militi  fascisti con le mani  alzate. Uno di  questi, ferito, grida: –  sono nato sotto  Mussolini e voglio morire sotto Mussolini.

Qualcuno  vorrebbe  accontentarlo, ma il tempo incalza, dobbiamo  recuperare il pingue bottino  di  armi e coperte e  certamente i presidi  di  Ghiare e Solignano avranno  già  preso qualche  decisione per intervenire. Siamo già tutti in  fila: un tedesco, un fascista, un partigiano … un tedesco, un fascista, un partigiano e  così  via. Dovremmo  compiere una  cinquantina di metri per defilarci e metterci al  sicuro dietro il  crostone che  sovrasta la stazione …….. Invece quel  giorno, decisamente, doveva  essere  il  giorno delle tante sorprese.

Infatti, mentre muoviamo i primi passi, una mitragliatrice di una pattuglia tedesca, accorsa nel frattempo da  Ghiare  di Berceto, incomincia a sparare rabbiosamente  su  di noi, ma  per fortuna ancora troppo da lontano. E cosi siamo costretti a risalire il costone pancia a terra, strisciando tutti  in fila, come un  grosso rettile, partigiani e prigionieri, tutti concordi anche loro a far presto, perché le pallottole che  ti  arrivano  a dosso, anche con la croce uncinata sono sempre << brutte pallottole >>.

Riprendiamo finalmente la marcia, al  di là del  costone svelti, svelti, verso Mariano. Il  bottino è pingue: armi e prigionieri tedeschi, merce preziosa soprattutto quest’ultima che  ci  serviranno con lo scambio,  a salvare la vita ai nostri compagni già  condannati a morte nelle  galere naziste. Il sole sta calando ormai  dietro le  colline, le  rondini sono tornate e, in alto stanno dando gli ultimi  guizzi .. un canto  gioioso si leva nell’aria .. <<  sugli aspri monti … >>, il nostro grido  è:

<< LIBERTÀ O MORTE >>

DELNEVO GIUSEPPE  << DRAGOTTE  >>

MORTE  DI UN PARTIGIANO

( 16 LUGLIO 1944 )

<<TAROLLI>>

(Alberto Zanrè)

Dai  costoni dell’Ozzola, dai prati  del  Molinatico, dal  Bratello insanguinato .. scendevano   ormai a valle Compagnie Germaniche,  a rastrello – obiettivo BORGOTARO  – fra un crepito  di  mitraglia che l’eco  rimbalzava e moltiplicava, tra  fumate di  razzi di  segnalazione e fumi di  casolari incendiati. Il grosso della << Brigata >> si  era  ormai sottratto  alla <<  Trappola >>, passando al  di là del Taro, mentre il  Drago, Erok, il Plezzo, il Ciccio e pochi  altri, là verso il  groppo di  San  Giovanni rallentavano la marcia, con una azione di“retroguardia”, della  grossa Colonna Tedesca, proveniente  dalla Manubiola.

… e laggiù,  sotto di loro, sulla Provinciale le pattuglie  tedesche esploranti, avanzavano caute,  sobbalzavano allo schiocco improvviso delle  fucilate,  si  disperdevano “zigzagando”,  si  riparavano  nei  fossati,  dietro i muretti, come  piccoli topi .. e le  pallottole erano “unghiate”….

… e a loro  volta quindi  il Drago, Erok, il Plezzo, il  Ciccio, il “ Volpe” e gli altri … diventavano topi … si  disperdevano,  si  rintanavano, decisi a sopravvivere, sotto le  “unghiate” di  altre pattuglie tedesche che  avanzavano  dai costoni più alti, con folate rabbiose di proiettili….

… E Borgotaro era ormai  deserta, e il popolo ondeggiava su  verso  brunelli, e, come  sospinto da un vento, risaliva  i pendii del  Vona del  Varacola .. e i borghi di San Pietro,  di  Tiedoli, di San martino,  di  Caffaraccia,  DI Porcigatone risuonavano di  voci,  di  muggiti,  di  richiami, d’implorazioni … e la paura era nei volti e nei  boschi attorno…

E intanto …

Laggiù sul “fondovalle”, oltre il ponte  di “Scodellino” a cavallo di una  rombante B.M.V., preda  bellica, gli occhi  azzurri…. I  baffi  spioventi ai lati,  cinesizzanti, pizzo  alla “moschettiera”, mitra  a tracolla, ventenni  di  Giovinezza,  si  avvia al  suo destino di morte e  di  gloria il partigiano “ Tarolli”. Il “Ventaglio” Tedesco si  era aperto dal  passo  della Cisa, al  Monte Gottero ..  e qualche  pattuglia aveva raggiunto ormai la strada  di  Bedonia. Eccoli …! I Mitra puntati, dopo la  “svolta  della DIGA” , piantati  in mezzo  alla  strada, appaiati sul ciglione, con lunghi nastri di mitragliatrice,  gli sono ormai  alle  spalle…(L’Inferno li manda …) e le  sue  mani  si  fanno legnose … il motore si  spegne.. e stavolta  è lui nella “Rete”.

È un “BANDITO” .. non è un soldato … non fa la guerra … ma la “Guerriglia” .. e la guerriglia  non è prevista dal “gioco” … e dai “Tartari” … I “ SOLDATI” sono loro! Loro  sono nella  regola  della “Legge”… fra  Eserciti, i prigionieri sono regolamentati dagli  “ accordi  di  Ginevra”: salva la vita, cibo  a sufficienza, Croce Rossa Internazionale!. Ma chi è  costui? È vero: porta un cappello Alpino – 8° Alpini – Ma chi  glielo  ha  dato? Dov’è la giacca regolamentare? Indossa invece un maglione bianco ( forse intrecciato  da una  zia amorosa) E gli  scarponi? Ma sono “pesanti”… le suole forate con la  lesina, un  foro  dopo l’altro; spago e pece per ogni  foro, ed a ogni foro, lo spago  tirato, stretto  con  forza, da mani protette, nel palmo  della mano, da una  guaina lucida di pece e rigata  di  spago. Ha un cinturone ( è vero ) ma la  sua  grossa Fibbia c’è un Marchio che  non  gli  appartiene: una Croce Uncinata e una strana scritta in una lingua che non è la sua.

Verme ribelle! essere impuro! … la lingua  è  “Germanica: razza Prima! Razza Superiore! E la scritta dice << GOTT  MIT UNS >>. DIO  è con Noi … Già Dio è con noi perché  siamo  Germanici, Dio è  con  noi perché ci  comanda HITLER …Dio è con noi perché siamo potenti, noi  siamo  i re dell’Universo

…. Abbiamo potere di  Vita e di  Morte!

… il Partigiano Tarolli sa cosa l’aspetta … Un  grido … un balzo nel breve spazio  erboso. Muscoli e nervi tesi in una  fuga disperata per raggiungere nella boscaglia … Ma il  Tedesco aveva  già sparato… Si  senti lanciare alla schiena: era una frustrata di  “Machine – Pistole” ….. lo  sguardo si annebbia mentre cadeva in avanti … una spiga  di  grano ondeggiava ricolma  di  Sole era alto  su l Taro, … ed era serena tutta la valle… Guizzavano  le Trote nel limpido Gotra .. e lenti si muovevano  i granchi …

E tu morivi .. artigliato dal  piombo,… stringendo una zolla della terra dov’era il seme … della LIBERTÀ.

GIUSEPPE DEL NEVO << DRAGOTTE>>

VARIAZIONI

Corrado Pellacini

<< Corrado >>

15 settembre 1943 – in Udine primi  approcci con Ufficiali dell’8° Regg. Alpini per un eventuale creazione di un movimento Patriottico – antifascisti ed antitedesco.

17- Settembre 1943 – a Borgotaro, primo contatto  con  dragotte – Garibaldi – Volga – Zanrè – Cavur  per  vedere la possibilità di  creare  un movimento Patriottico nella Valle  del  taro.

15 ottobre 1945 – con  Dragotte – viaggio a Udine – ampia discussione con il  maggiore Silverio Tommaso dell’8° Regg. Alpini ( organizzatore con altri Ufficiali del movimento  patriottico del  veneto e precisamente in Carnia ) ci  consiglia  di  rimanere in Val Taro e  crearvi  un Movimento Patriottico Parmense.

Novembre 2° viaggio a Udine – nuovo  abboccamento  con il  maggiore Silverio Tommaso e col Sig. << Lezcovic) >> ( Impresa Internazionale Trasporti ).

Dicembre 1943.  si pensa a vettovagliare la squadra di Fermo al lago Pavé – proveniente dal  combattimento  di  Osacca del  giorno  di  Natale ( circa  20 patrioti ).

Gennaio 1943.  con  Dragotte ci  rechiamo  al  Lago  Pavé  da Fermo – per combinare un eventuale atto  di  guerriglia al presidio fascista  di  B. Taro ( sul Monte Del  Soldato incontriamo tre militi della Milizia  Forestale )

4 Febbraio 1944 – la squadra di  Fermo s’incontra tra un pattugliane fascista  sul ponte  di Tarodine ( ore 24 ), violenta sparatoria, i fascisti si danno alla fuga.

15 Febbraio –  vengo  arrestato e condotto al  Comando di presidio – fascista  di B.Taro dal Ten. Guerra con lungo interrogatorio sulla mia andata con Dragotte in località  Rovinaglia – S. Vincenzo – Valdena – pressi del Lago Pavé; dopo essermi  creato un alibi vengo rilasciato, ma sono pedinato ovunque dai  fascisti  di  B. Taro – 8 spia del mio arresto – Bellini uno  dei Militi Forestali incontrati sul Monte del  Soldato).

5 Marzo 1944 – attacco al treno passeggeri alla stazione di  Valmozzola- sono presente all’azione quale  spettatore. Ritorno  a Borgotaro col treno delle 20, vengo nuovamente arrestato da un pattugliane fascista e condotto alla presenza  del  ten  guerra. Lungo interrogatorio, riesco a crearmi un  nuovo alibi e nella notte stessa vengo  rilasciato con minacce  di internamento in Germania e rappresaglie  sulla mia famiglia.

7 Marzo 1943 – terzo viaggio  a Udine – abboccamento  con il  Sig. Lezcovic.

9 Marzo in Martignacco ( Udine ), nuovo  abboccamento con un ex Sergente magg. Del Negro Luigi dell’ 8° Regg. Alpini- il  quale  è a contatto  con l’aiutante del  generale Caverserani Comandante dell’organizzazione Patriottica della bassa Friulana.

Il  21 maggio 1944 – rientro al  gruppo situato  a Linari del  Monte Molinatico – perché impossibilitato a rimanere oltre a Borgotaro, in  qualità di  V. Comandante.

CORRADO  PELLACINI  << CORRADO >>

IL  RITORNO  DI  AILÙ

ROSETTA SOLARI

<< ROSETTA >>

Al pozzo non  si sapeva ancora che i tedeschi avevano preso Ailù. Era partito di  buon’ora con il mulo per fare il rifornimento del pane. Un uomo di poche parole. Ailù non dava tante  spiegazioni.  Di turno in  cucina Birichino e Boris avevano preparato il rancio. Solo ora nella distribuzione si notava che Ailù non c’era. La  fila si muoveva a scatti,  si fermava,  si rimetteva in moto. Con  Ailù non  succedeva. Quando  distribuisce il rancio  Ailù non alza gli occhi su nessuno. Gli passiamo davanti, da sotto il suo vecchio capello alpino non vede che la mano con il piatto che  a turno gli tendiamo. Scodella un mestolo di rancio nel piatto e la fila continua  a muoversi.

Un piatto di  assoluta imparzialità. Non  si  discute.

Nel mio diario  leggo. Ailù: ex alpino, Mulattiere, Cuoco per l’occasione. Tozzo, spalle muscolose e tarchiate, collo rientrato, ciglia  a cespuglio. La sua aria feroce è  dovuta al  folto barbone che  gli copre  quasi  tutto  il  viso. È   bello guardarlo mentre traffica intorno  al  fuoco acceso.  Si muove con la precisione, l’economia  dei  gesti di un’esperta massaia. Conosce il valore di  una patata,  di un pezzetto di  manzo e la  sua  sollecitudine è  quasi materna.  Guai però se uno  si  avvicina troppo alla pentola o lo inciampa  nei movimenti. Il calcio che può  sferrare al malcapitato non ha proprio niente  di materno.

Ailù: ribelle, bucaniere, partigiano.

Il nome è un volo d’ali,  di piume,  di grazia. Ha un  suono gentile pronunciato da qualsiasi bocca. Fragile e forte  come la parte  gentile della sua natura che  Ailù nasconde gelosamente sotto il fare  ruvido. Ci  sono individui segnati,  fuori  dal  comune.  Ci  appaiono come  esemplari, come  simboli. Spesso, come  nel  caso di  Ailù,  diventano leggenda. Ailù è un personaggio da film e veste la sua  parte: alla spalla  porta la  carabina (  a Tomba  era il lungo 91, più tardi partirà solo una notte per fornirsi di mitra da un fascista  in licenza ), alla  cintura porta la pistola a tamburo, il pugnale e  due, tre o anche  quattro bombe sipe. Il  suo inseparabile cappello alpino ha preso la  forma  della sua  testa. È  diventato un’espressione  naturale come le  sue  orecchie o la  barba.  Quando  dorme lo tira  in avanti e si  copre il viso.  Se lo toglie per  asciugarsi la fronte si vede allora la linea netta e decisa come una scriminatura che  gli taglia  la  fronte e separa la parte  bianca dal resto  del  viso abbronzato.

Il giorno che han preso  Ailù è un giorno  calmo  al  Pozzo.

Le  giornate di calma si  alternano a quelle di  allarme. Baffo è partito con tre uomini in pattuglia. Alla sorgente  Birichino ha lustrato la  pentola con un pugno  di  sabbia. È in  corso una partita  a briscola ma  distratta, interrotta di  continuo con chiacchiere. Jack conta  le ultime  sigarette che  gli restano, le passa in rivista nel palmo  della mano, ne sceglie  una. Saga ha lavato i calzini e sono  stesi su un cespuglio  ad asciugare. Sopra pensiero Dragotte brontola; – Con tutta questa gente che  sta  qui a far niente Ailù va da solo  a prendere il pane? Nessuno  risponde, nessuno  si preoccupa.

La postazione antiaerea tedesca, più in basso verso  San Pietro, non è  lontano dalla casa dove facciamo il rifornimento del pane.  I tedeschi escono due  a due ma sono  sortite di pattuglia e seguono sempre il lo stesso percorso. La nostra pattuglia li ha  seguiti  col  cannocchiale e non  si  allarma  più.

Al pozzo è un’altra giornata  di  calma.

E poi immaginare Ailù nelle mani  dei  tedeschi è un  assurdo. È inconcepibile pensarlo caduto in un imboscata, forse per  quella sua  aria di sufficienza  integrale,  di ostinata e intrattabile resistenza al nemico. Quassù la  vita si  basa su valori istintivi animali. La  nostra  arma è l’astuzia, la sorpresa e l’esperienza che col tempo accumuliamo. In questo clima l’aggressività di  Ailù è un talento, un dono. Ailù è un veterano di linea indurito, agguerrito dalla campagna d’Africa preferisce il corpo  a corpo, baionetta in canna.

E  qui il paradosso. L’altra  faccia di  Ailù: quella che  mostra il nemico. Il  suo  accanimento violento e spietato contro il fascista ancora più contro  il tedesco  non  ammette compromessi o gesti misericordiosi. È una corazza che  lo circonda come un’aura. Lo protegge e cosa strana, anche  chi  si trova vicino a lui si  sente  protetto.  Ricordo una puntata tedesca da Berceto. Siamo separati dal  gruppo una mattina di nebbia impenetrabile. Non si vede a un metro di  distanza. Come un  fumo denso la  nebbia nasconde  ogni  cosa, alberi, siepi, arbusti, anche il terreno accidentato della mulattiera che  seguiamo alla cieca, quando sentiamo all’improvviso, ovattato nella nebbia, lo scoppio del mortaio.

– Ailù che  cos’è?

È  fermo, cosiì  teso in ascolto che  oltre  alle orecchie sembra quasi  abbia spuntato le  delicate antenne di un insetto per ascoltare.

– Ailù, sono  vicini?

Non risponde. Poi si scuote, rimette il  fucile alla spalla.- Eh chi  lo sa in  questa nebbia? Andiamo. E, visto che  non mi muovo: -Eh non ti preoccupare, funziona  anche per noi la nebbia. Noi non li vediamo, ma  anche  loro  non ci possono vedere, su…..

Non  ci  avevo pensato .

Mi fa  piacere pensare che è stato  Ailù che  mi ha  consegnato  la rivoltella per la prima missione, m’ha accettato con naturalezza, m’ha rassicurato nel  battesimo del  fuoco in un certo  senso. Anche  in quell’occasione presenza rassicurante la sua. Siamo in un fossato in vista  della  stazione  ferroviaria. Quasi piegati in due  accartocciati nel  fosso stretto. Ailù e Dante hanno posato il  fucile per terra. Io tengo  stretta la Beretta che  ancora non  ho  sparato. Una luna alta, bionda illumina  a giorno l’intera campagna . Presumibilmente illumina anche  noi..  aspettiamo Punteria che è partito in perlustrazione  lungo i binari. M’accorgo quasi  subito che Ailù  dorme. Forse anche Dante alla sua sinistra s’è addormentato e sono sveglia io sola. M’innervosisco. Vorrei dargli uno spintone, svegliarli dirgli: – E allora  che facciamo? Siamo venuti a dormire? Ma è la  mia prima  azione e non mi decido. Presentemente sento che Ailù si muove, sbuffa con passione: -porca miseria,- Alza una mano minacciosa in alto, – ci volevi anche tu maledetta stasera. M’accorgo  che  non  si  riferisce a me, con la mano minaccia quella insolente che naviga sopra le nostre teste e ci illumina della sua luce abbagliante.

Inevitabilmente parlare  di  Ailù e ricordarlo affaccendato attorno  ai muli. È con i muli più che  con i cavalli che  Ailù si mostra premuroso. I muli sono il  suo vero e costante amore. Caricare un mulo non è mica una  cosa  da poco, – mi spiega, –  ci sono  degli imbecilli che  non l’imparano mai. Non capiscono  che è una cosa delicata; si tratta  di  dimensioni,  di  bilancio di pesi, di  angolature, e anche  del rispetto che  si deve  a questa bestia che  nessuno tiene in considerazione.

Intendiamoci  io  non ho niente contro il cavallo. Guardi i nostri, Pina e Dora, due  belle  bestie, brave in gamba e tutto, ma qui ai monti non  si va a cavallo. Qui  ci vuole  il mulo. Guarda come  mette giù il piede; come  la  capra, lo poggia, assaggia, si assicura e poi va. Di  notte,  di  giorno, sempre, lui è  sicuro. È anche tu puoi stare sicuro, fidati..

Nelle lunghe marce per rifornimento di  viveri è il mulo che  apre la fila e indica la  rotta da seguire.  Sono tempi magri questi e facciamo trenta, quaranta  silometri per un  chilo  di lardo, un sacco  di patate o  qualche  sacco  di grano.  Si parte  di  buon’ ora e si procede a passo  di mulo in fila indiana e in  silenzio. Ailù non è comunicativo e spiccioli di  conversazione per la marcia non ne tiene. Renzo, giovane e imberbe, non  si permette  di  attaccare discorso. È una marcia  silenziosa. Ma fra Ailù e il mulo ci  dev’essere  un’intesa  segreta,  si capiscono. Una volta caricato i  viveri, senza esitare, il mulo si  avvia.  Come  per ordine  segreto ha una meta da raggiungere, e va, non sbaglia. Per via diretta ( a volte molto indiretta ) ci porta all’osteria. Il  vino ha  assunto un’importanza grande quassù.

Non solo per il  suo valore nutritivo, come il rancio è indispensabile, ma possiede anche un’indiscussa virtù. Libera lo spirito. Quello è uomo,  dice  Ailù, il  vino lo  sa portare. Io sono  esonerata dal bere come  donna, però è un punto  contro  di me. All’osteria, sempre col mal  umore, Ailù  si lamenta. – Come si fa a stare in compagnia  di  qualcuno  che non  beve?

Se il mulo ispira Ailù a voli lirici, il vino scioglie  la  lingua.

Seduto al tavolo d’osteria Ailù non  si  riconosce. All’osteria si  rilassa dopo giorni e giorni di  silenzio corrucciato al campo dove  sembra sempre di mal umore.  Seduto  di  sbieco, piedi  ben piantati, gomito e avambraccio rilassati sul lungo monologo. Senz’altro la voce, come preludio comincia con una sfilza di invettive,  di imprecazioni, monotone, sentite, ripetute all’indirizzo della vita cane, dei  ricchi vagabondi, dei fascisti prepotenti. Da vero mulattiere e rude montanaro la  bestemmia gli viene facile  e naturale, ma non ha che un semplice valore di sfogo verbale. Finita  questa tirata, il suo tono cambia, la  sua  voce addolcisce.

Trasognato, estatico nell’ afrore del  vino, Ailù medita  sulla vita.

Come se parlasse a se stesso, segue un filo luminoso, riflette:

– Tre  cose belle ha il mondo:

un buon  risotto,

un  buon  vino

e una  donna… dopo la sosta  all’osteria al  ritorno  facciamo tappa la  siesta. Renzo, legato il mulo all’ombra,  si  stende  al  sole sul  fianco, posa la guancia su una mano e chiude  gli occhi. Ai piedi dell’albero, la schiena contro il tronco, la barba appoggiata sul petto, Ailù sprofonda in un sonno magistrale.

Nel calore pomeridiano la  scarpata con la sua sparsa rete di  sterpaglia odora di  ginepro, dell’acido odore dei nostri corpi mal lavati,  di lana riscaldata,  di  cuoio, del tanfo del mulo. I pidocchi intrecciati nelle  nostre sottomaglie stanno  buoni, riposano e ci lasciano  riposare. Le divise dell’esercito inglese ricevute in  dotazione sono ormai  del  colore della  terra, della polvere, sanno di cascina e di  fieno,  di  stalla, della  vicinanza dei  buoi dove  abbiamo dormito. È l’aroma  inconfondibile che  abbiamo preso  quassù. ( Da quanto tempo non abbiamo  visto  i nostri piedi  nudi?) Le nostre calze,  sudate e indurite, sono saldate  agli scarponi e il cuoio s’è fatto  duro  come scorza.

Renzo, steso a dormire nel pietrisco, Ailù contro il tronco  dell’albero, sono mimetizzati. Compenetrati come  la  vegetazione, come la scarpata sulla quale ci  riposiamo. Siamo stagionati  dal  sole e dal vento e facciamo parte  dei monti. Ailù apre  gli occhi; con il pollice spinge indietro il cappello alpino e comincia a parlare come se il discorso all’osteria non  fosse mai  stato interrotto.

– Fidati del mulo. Ma  di un amico  ti  puoi  fidare? Un amico è un’altra cosa,ti  dico  io, stai in  compagnia  gli paghi  da bere e dopo  due  bicchieri attacca brighe;  si  offende  di niente e vuol farti  a pugni.  Se non  stai  in piedi,  credi che  ti porti  a casa? Dopo la  sbornia se non  stai  attento vai  a finire con lui in  un canalone col collo rotto o giù al  fiume  annegato. Ma il mulo, ah  il mulo, quello si  che  è  un vero amico. Non  ti  reggi in piedi, lasciati  guidare  dal mulo, mettigli la mano sulla groppa; clipette cloppete, stagli vicino, cammina, cammina … non avere paura, chiudi  gli occhio se vuoi, fidati… Il mulo ti porta  a casa.

Nessuno l’ha visto arrivare.

Ce lo troviamo in mezzo a noi scosso e trafelato. E non è l’agitazione della lunga  salita o  di una corsa che  gli ha tolto il fiato. C’è qualcosa che non va.

– Ailù, il mulo dove l’hai lasciato? –

Ailù sprofonda i pollici nel  cinturone, mortificato, si  guarda la  punta  degli  scarponi. Adesso tutti gli  si fanno attorno e le domande gli  arrivano  da tutte le parti. –Cosa l’è successo? … perché  sei  disarmato?.. la  carabina  dov’è.. t’hanno preso… Lasciatelo stare, dice  Dragotte, e mette fine a quella babele di voci. Boris gli porta pane e formaggio e Ailù con gesto meccanico lo prende e va a sedersi  sullo scalino della  cascina.  Gli formiamo  un semicerchio davanti, alcuni in piedi, altri si lasciano cadere a terra. Aspettiamo. Sentiamo l’angoscia che ha provato lui e che lo scuote  ancora e ci comunica . Distrattamente lo stiamo a guardare e ognuno pensa: -Avrei potuto essere io al suo posto. La  sensazione che  dimentichiamo,  quel  soffocamento che non ha nome che  ci  prende improvviso, p sempre alle  nostre spalle. La sensazione di  cocchi che  ci  stanno  a guardare da cannocchiali invisibili, fra gli alberi e il battito che  sentiamo a si  confonde col  battito del  cuore, son passi felpati e non è che il frusciar dell’erba.

– Vecchio, stavolta  t’han davvero  acchiappato, e t’hanno preso la rivoltella?

– No, non l’aveva la rivoltella, aveva solo la  carabina e il pugnale. È Max che  ha risposto. Ailù sgranocchia il resto del pane duro e prende il bicchiere che  Birichino  gli  ha versato. – Dove  t’ hanno preso? Chiede dragotte.

-M’ero  fermato  a parlare con  della  gente, degli  sfollati. Il mulo l’avevo legato dall’altra parte della casa, aspettavo il pane che non  era ancora arrivato e non li  ho visti. Me li sono sentiti  dietro, la  canna  del  maser contro la  spalla. Quello con la  maser ma  dà uno spintone e mi fa voltare. La  gente  è  sparita tutto di  colpo, donne, vecchi, bambini. L’altro mi sfila il pugnale dalla cintura, porta i calzoni  corti e anche lui ha  la Maser in mano.  Gira e rigira il pugnale nell’altra mano, lo fa vedere all’amico e scoppiano a ridere. Eh si, lo tengo affilato bene io il pugnale. Me lo mette sotto il naso, vuole farmi la barba, penso, invece mi dice: Tu grande bandito. Io? Grande bandito? Erano alti  e grossi quei  due, due  colossi, neanche gli arrivo alle spalle io. Poi uno mette fuori una mano, mi prende un pugno  di barba e da  uno strappone, cosa intende fare, maledetto? E giù a ridere; se la spassano; sono proprio  contenti. Raus, raus, ach, parlano come frustrate, come  cani, non capisco ma  vedo che  credono  di  aver pescato un rospo grosso  sono  contenti. Uno  mi  da uno  spintone, poi l’altro e mi fanno  andare  giù alla strada. Mi stanno vicino alle  calcagne, uno  di  qui, uno  di là, come Pinocchio fra i carabinieri. Loro non lo sanno, io penso, ma  non  mi prendono, no, vivo no che non mi prendono. Ma  non  c’era niente  da fare  ero  tra due siepi, non  si  scappa. Alla svolta della  strada vedo il ponte, penso, adesso  è la  volta  buona, o adesso  o mai  più. E mi preparo. Arrivati  al ponte alzo  i gomiti, allargo le  braccia e trac, con  tutta la forza che ho  gli pianto i  gomiti nello  stomaco a tutti e due e spingo senza mollare. Li faccio cadere all’indietro e via, faccio un salto nella cunetta e scappo…

Si  ferma,  fissa il bicchiere vuoto che  ha in mano ma  non lo vede. Rivive la sua tremenda esperienza,  si vede il ponte, pensiamo, si  vede di nuovo nel  salto, nella  fuga. Continua: – c’era una vigna, dei  filari e vicino un campo  di  melica.  Ci  sfondo  dentro come  un toro ammattito. Le pallottole mi fischiano intorno, la melica  mi arriva sopra la testa, a zigzag, la  fracasso giù tutta, un  disastro, una rovina; dove passo non lascio una pianta in piedi, ormai non mi ferma più nessuno. Quando  sento che  sono  abbastanza lontano, mi  volto  guardare.

Quello con i calzoni corti spara ancora  con la  pistola,  a quella distanza non mi fa  paura. Ma l’altro, non è  stupido l’altro. Ha  messo  a terra la mia  carabina alzato il tac-pun e prende la mira calmo, un  ginocchio piegato  a terra e l’occhio al mirino. Mi viene  freddo, vedo la  canna che  va  a destra  a sinistra. Piano, non  vuol  sbagliare. Spara, mi sembra un colpo  di  cannone. Ma  non  sto  a guardare,  se quello prende la mira un’altra volta mi stende  secco.. ma  ormai  vedo  che  sono vicino  agli alberi, e alla  svolta  del canale,  e fuori di mira anche del  tac – pun… Mentre  Ailù  sta parlando vediamo il mulo che  sta  arrampicandosi lungo la scorciatoia che  taglia  in mezzo  il poggio. Teo lo tiene  per la  cavezza. Arrivati, Teo viene  a fermarsi  davanti  a Ailù e lo sta  a guardare come  se vedesse un  fantasma o un redivivo. Poco dopo lo nota  anche  Ailù e subito  si  fa scuro  in viso.

E allora non  mi hai  visto? Cos’hai  da guardare? Scarica il mulo dai  che  è meglio … Ailù è tornato padrone di  sé. I  due  inseguitori  di  Ailù, con  rinforzi  di  tedeschi dell’antiaerea,  sono tornati  a perlustrare e rastrellare le  vicinanze dove l’avevano  sorpreso. Non  vogliono accettare   la cattura  fallita, la  melodrammatica fuga  del barbuto partigiano. Non trovano che civili. Come loro abitudine, nella loro impotenza, infieriscono contro terrorizzate  donne ,vecchi e bambini. Li mettono  al muro, li minacciano; frugano, cercano, ma senza  nessun  risultato. Verso  sera interviene uno degli inseguitori di  Ailù, convince i tedeschi ad andarsene. Nei  giorni successivi tornano  a rastrellare.

I tedeschi non  sospettano che  dalla postazione  antiaerea alla  base partigiana non  ci  sono che  alcuni versanti scoscesi, poche coste  di  discesa. La distanza che li separa dal grande bandito che  si felicitavano  di  aver catturato non è  che  di un volo di  uccello.

Siamo in alto. Quassù il  sole  tramonta  tardi.

Più in basso, lungo i canaloni e il lungo  fiume, p  già notte fatta. Quando le ombre cominciano ad allungarsi scende un silenzio che  calma  e ristora. I tedeschi hanno disarmato  Ailù ma  dall’incontro è  tornato con il suo bisunto e venerabile vecchio capello alpino in testa. Ora se ne  sta seduto  su  un rialzo  di terreno a fianco di max. In silenzio fissano il centro  del fuoco acceso. Fra  di loro esiste un’affinità di  idee in comune, una comune, una serietà d’impegno che  non ha  bisogno  di parole. A Max e Ailù piace mantenere il  fuoco acceso la sera  e sedere, ognuno immerso nei  suoi  sentieri, sotto la vasta nudità del  cielo.

Fra poco, improvvisa come  una  cortina, anche per i tedeschi scenderà la notte. Negli ultimi  bagliori di luce sul versante opposto la linea delle vette dei nostri monti si delinea contro il  fondo traslucido dell’orizzonte. È la stessa vista che si delinea agli occhi degli invasori, del nemico. Per noi il fatto è che Ailù è tornato, è al  sicuro, almeno per ora, fuori dalla linea del  fuoco micidiale tac- pun.

ROSETTA SOLARI << ROSETTA >>

LA  VIGILIA

I monti: strati archeologici dove generazioni ininterrotte di gente nostra hanno svolto il loro lento destino; gente dallo sguardo immobile, asciutto come il loro magro pezzo di terra; rude clan di montanari che sui monti ha lasciato i solchi di una cocciuta ma tenace fatica. Ora e’ il. partigiano che vi lascia il suo strato archeologico. Alla luce del giorno, nel buio della notte il partigiano batte le tortuose mulattiere e i vertiginosi sentieri che conosce a memoria e vi lascia la sua traccia; sì sposta, si sgancia, torna sui suoi passi. Si aggira in arco sullo sfondo delle vette che confinano il suo oriz­zonte senza mai allontanarsi dal paese: fulcro, punto magnetico dei suoi movimenti.

L’andirivieni dei suoi pesanti scarponi ha pelato cocuzzoli, aperto Piste nelle lunghe distese di sterpaglia, deviato sorgenti d’acqua, sra­dicato sassi e rocce. Al suo passaggio ha dislocato semi, bacche, coccoli di ginepro, lanuggine di cardi. Nelle sue scorrerie e sparatorie ha disperso bossoli vuoti, cartucce, caricatori; ha nascosto armi, munizioni, bombe a mano.

Le vie del partigiano.

Tappe nel tempo e nella memoria.

Lunghe solitudini di boschi di castagni di faggi. Tane nascoste lungo i pendii all’orlo frastagliato di pascoli e campi seminati. Dal suo primo gesto di ribellione e di fuga non e’ trascorso che un anno. La  somma dei suoi giorni ai monti: poco più di un anno. Per il partigiano e’ un’era geologica. Un anno, amputato dal Prima e dal dopo. Isolato  come un fiore reciso fra le vecchie pagine di un libro. Una colonna in marcia e’ un’industria di memorie e di sogni. Nelle sue lunghe marce di spostamento il partigiano ritorna sul cammino per­corso e, come premere sul punto esatto del ricordo, ti trova il tessuto delle sue esperienze, delle scosse subite. Quel crinale battuto dal vento a uno ricorda le interminabili ore di sentinella al campo, a un altro le ore di allarme perlustrazione, attesa.

Su quel  ciglio  a picco abbiamo visto  avanzare la colonna silenziosa dei tedeschi da rastrellamento: l’interminabile serpente di minuscole figure umane che saliva lungo il pendio lento come in un film muto. La notte precedente bengala silenziosi avevano viaggiato il alto ad annunciare il suo arrivo. In quella cascina sbilenca dal sasso chiazzato così miracolosamente aggrappata al poggio abbiamo atteso l’alba per partire (due volte) al ponte Parabolico. Lassù ci ha sorpreso (e allarmato) la prima neve. L’interno della cascina diviso da un muro di stecche intrecciate era intonacato di sterco, la porta di solida quercia sprangata da un paletto e la finestra era un’apertura senza vetri. Sul pavimento di terra battu­ta sulla paglia per dormire erano stesi paracaduti di seta verde. Un mattino, meticolosamente posato sul davanzale, abbiamo trovato il cusci­no di. neve morbido come un piumino e fuori la coltre bianca, inesorabile e minacciosa, che copriva ogni cosa.

Quell’aia cosparsa dei magri escrementi di galline e vicino al muro con il suo letamaio, l’indicibile odore e i. nugoli di mosche nere che si alzavano al nostro arrivo, l’abbiamo attraversata con i prigionieri del casello scortati dai sabotatori: ci ricorda la sventag1iata improvvisa dei mitra di un partigiano sventato, ci ricorda il sorriso canzonatorio sulla grinta del milite della X Mas e il contegno indifferente, sprezzan­te del Feldwebel tedesco che distoglie gli occhi dal vaso di basilico ro­vesciato dalle pallottole.

Tappe nel tempo affondate nella memoria.

Giorni brutti. Inevitabilmente. Seguiti da una manciata di giorni buoni quando il campo e’ un formicolio di entusiasmo, anticipazione, sma­nia di agire, di provarsi. Il fronte degli alleati impennato non si muove ma le avanzate sul fronte russo oltrepassano i cento chilometri al giorno. La vittoria, la fine della guerra non sono più un miraggio. Il ritorno a casa in vista. Il ritorno a casa…avolte assume una chiarez­za insostenibile.

Conosciamo anche giorni di un’abbondanza inaspettata: lauti piatti di riso al burro (da dove e’ mai scesa tanta grazia di Dio?) e oltre al bicchiere di vino un cucchiaio di marmellata da spalmare sul pane. Max era allora la nostra impareggiabile staffetta; si recava a prendere scodelle di latte dal contadino (per chi aveva i soldi); Corrado lo voleva inzuppato di  zucchero e ras lo voleva riscaldato

Giorni di euforia, di allegria, di miracoli a venire. Staffette vanno e vengono.

Baffo va a provare la 20 mm. Libero vuole essere dappertutto come una chioccia che vede la sua covata spandersi  ai quattro punti car­dinali e si affanna a tenerlad’occhio. C’e qualcosa nell’aria. Ailù, smonta e olia la carabina, parla di lotte corno a corno.  Si sputa nelle mani, strofina le palme con energia e le ripassa sul viso. Birichino e Boris seduti sullo scalino sbucciano patate , la pentola di rane fra loro, sotto il coltello ricurvo di Boris le bucce scendono e rotolano nell’acqua) Birichino parla a Ailù ma Ailù segue i suoi pensieri. Corrado curvo sullo specchietto da barba ammira i suoi bellissimi denti.

Corrado non ha l’aspetto del partigiano, non dorme col coppello alpino in testa; prima di metterlo lo spazzola con la manica e raddrizza la penna nera. Corrado non ha perduto le abitudini civilizzate: si rade, si spazzola i denti (l’unico spazzolino al campo), lustra vigorosamente gli scarponi ogni mattina. La sua divisa mimetizzata (misteriosamente) sa di bucato. Finite le abluzioni mattutine Corrado allaccia il cinturone con caricatore e pistola, alza le spalle e si da’ un colpetto alla pancia e’ pronto per la sua giornata di soldato. A cavallo, mitra alla spalla, binocoloal collo, alto in rigidità militare su Dora profilato contro il cielo, Corrado e’ imponente

Quanto ad alcuni di noi, il nostro comportamento senza forma, indi­sciplinato, casereccio lo offende. La nostra mancanza di riguardo per le gerarchie e i gradi, le battute di spirito e le bonario ironie che ci fanno scoppiare in irreppressibili risate denotano una mancanza di serietà sono un affronto. La linea di condotta di Corrado e’ semplice come un teorema. La sua logica altrettanto semplice: il partigiano è soldato e deve comportarsi da soldato. Il suo compito è battersi per la sua idea e vin­cere. Vincere non morire. La mistica squadrista che glorifica la morte e’ una stupidaggine. Il dovere del soldato e’ combattere non morire. Corrado non conosce la paura. La paura e’ una costruzione mentale e Corrado èuomo d’azione. Reduce di un’aspra e lunga campagna di Grecia, conscio del momento storico, Corrado vive il tempo—spazio storico che attraversiamo conscio della sua responsabilità. E’ vice—comandante e non lo dimentica.

Il  guaio resta: il  clima nell’atmosfera azzurra dei  monti non è militare e le sue  brusche  ramanzine, i suoi buoni  consigli si librano  nel  vuoto. Sospesi nello  spazio ci  prende  a volte una leggera vertigine. Da una sporgenza piatta che  domina  i crinali ondulati che  scendono verso  il fiume possiamo intravedere  il paese, i tetti rossi, delle nostre case incastonati come  gemme fra il verde  degli alberi. Stiamo  fermi a fissarli attraverso i binocoli. L’occhio si  aggira, cerca, strada per  strada, casa dopo  casa fino ad individuare il tetto  di casa nostra. Il pensiero costante ossessivo fisso laggiù, alla prospettiva del  ritorno. Alla prospettiva  di  vivere, mangiare, dormire in un letto fra due lenzuola di  bucato. Sentiamo che queste  case si  sono fatte all’improvviso  estranee, ostili. Alcune  ospitano il nemico, siamo esclusi,  diseredati. Case  razziate, indifese, camere dalle imposte chiuse che  segnano  i nostri  confini dove abbiamo imparato tutta la  gamma biologica degli  affetti, ora abbandonate anche  dai nostri  familiari anch’essi  scappati  ai  monti.

I caccia bombardieri, Mustang e Fortress americani  di  giorno,  gli  Spitfire inglesi di  notte infieriscono contro  il ponte  ferroviario. Quel  brutto moscone  di  Pippo, torna e ronza testardamente  giorno  e notte. A volte lo seguiamo col binocolo: fa  giravolte, prende quota  verso  la Capanna,  si  getta  di  picchiata  attraverso il ponte. La notte ronza in cerca del più umile  spiraglio  di luce per gettarsi e mitragliare. Poi riparte. Lungo il greto del  fiume restano i grossi buchi delle  bombe che  si  riempiono d’acqua, al centro  del paese davanti  alla chiesa, frastagliata come una ferita, resta  desolazione delle  case distrutte.

La vigilia  dell’ultimo attacco: l’azione finale che  ci  riconduce al  punto dal  quale  siamo partiti. Il paese. Stavolta per distruggere e liberare. È uno strano senso di sdoppiamento, la congiunzione alla quale siamo  arrivati ( quelli di noi  che  ancora vivono ). La  realtà che  abbiamo condiviso in un collettivo  impegno, i propositi realizzati e quelli non realizzati, il rimpianto di  quello che abbiamo fatto e non abbiamo  fatto, tutto quello che  ci  ha sconfitto.

I ribelli  si  sono fatti uomini, soldati.

Nuovi capitani di ventura, irriconoscibili, portano il segno della loro esperienza; una nuova identità che i. nostri familiari stessi avran­no difficoltà a registrare. D’aspetto selvaggio, capelli grumosi di uova e pidocchi, divise ibride di tutti gli eserciti, scalcagnati scarponi dal cuoio secco… sovraccarichi di bandoliere e cinturoni, armi leggere e pesanti, bombe a ……. domani, arma imbracciata, faremo fuoco contro le nostre case… Giovanni e Ras dietro il mortaio, Sceriffo alla Bazooka, Gomel, Tigre, Renzo, Lino, Leone, Garibaldi… mitra, sten, carabina, Bren, f.m., puntati in direzione delle nostre case…

Cumuli di nuvole si addensano sopra il Molinatico. Dietro le ampie curve dei monti il cielo resta terso di una trasparenza grigio—ostrica. Attorno alla cascina seduti alla rinfusa su rialzi del terreno alcuni ripuliscono il fucile, altri canticchiano distratti. Intorno la terra battu­ta dai chiodi dei nostri scarponi mostra il fondo ghiaioso e calcareo  ripulito dell’ultimo filo di vegetazione. Un frammento di canto resta sospeso come un filo teso, invisibile nell’aria; una voce afferra la linea melodica e ti mette a cantare. Subito, alzato il capo, smesso il lavoro delle mani, altre voci si uniscono al solo: un coro profondo, strascicato lento come una nenia. Il pieno volume di voci maschie trabocca stupendamente nel tradizionale canto friulano… Nella struggente nostalgia degli alpini, si tu vens casù  ta’ cretis, là che lor mi an soterat.. il canto si alza nella solitudine dei monti, rompe il silenzio..,                    al è un plaz plen di stelutis

dal miò sanc l’è stat bagnat

par segnìl una croste

iè scolpide li tal cret

fra ches stelis nàs l’atbute

sot di loro jo duar cuièt…..     

L’   A S S A L T O

8 aprile, ore 4:00.

Finalmente e’ arrivato l’ordine, il giorno atteso.

Gli alleati stanno per sfondare la linea gotica. A Gravago, presenti  i capi partigiani e ufficiali alleati, il 3 aprile il C.U. stabilisce il piano d’attacco su vasta scala e collega le azioni delle varie Brigate. Compito della 1a. Julia L’ eliminazione del Presidio di Borgotaro.

Sottinteso:attacco e occupazione del paese, ritorno a casa.

Completati i piani di attacco Libero ne manda copia (SEGRET0) a ogni distaccamento. Tutto e’ disposto e prospettato: il giorno e l’ora, i distaccamenti impegnati e di riserva, le postazioni, le armi e munizioni. Tutto. Ma come in ogni piano mortale subentra l’elemento umano, l’impre­visto: un partigiano chiacchierone e una donna compiacente a contatto con il nemico. I tedeschi sono avvisati e prendono provvedimenti; mancherà il fattore sorpresa. Da ogni loro avamposto, case Borzoni, Polledri, Bosi, Piscina e Beccarelli i tedeschi si spostano alla sede del comando, casa Ostacchini. Gli addetti alle ferrovie da casa Necchi si rifugiano in Stazione.

Per le strade neanche una pattuglia.

Neanche il tempo sembra essere dalla nostra parte. Durante la notte una pioggia sottile e insistente ostacola i movimenti. Raffiche improv­vise di un vento freddo, il cielo coperto e la scarsa visibilità ritar­dano l’azione dei distaccamenti appesantiti dalle armi e munizioni.

Non alle 4:00 come deciso ma alle 5:30 scoppia .il segnale convenuto:

il    primo colpo di mortaio dalla Capanna.

(Sentiremo più tardi che questo primo colpo resterà quello meglio centrato. Giovanni e Ras si rallegrano, ma resterà il colpo più vicino ai bersaglio. Il terreno molle di pioggia è ridotto a un pantano viscoso; il mortaio ad ogni colpo sparato affonda sempre più e rende sempre più difficile controllarne la direzione..) Se per noi il colpo di mortaio è il segnale che aspettiamo, per il nemico invece deve servire da avvertimento, (almeno così speriamo) un avvertimento di sfidai vuoi dire, ecco i ribelli in pieno ordine di battaglia, addestra­ti e disciplinati

Infatti al fuoco dei due mortai (13 scariche in poco più di mezz’ora) segue impaziente, impetuosa la sparatoria delle armi automatiche. All’unisono, Bren, Breda, f.m., da ogni parte, da casa Botti, dal Poggio, dalla cascata sopra il canale, dal Molino dell’Aglio, dal vecchio castello. E’ un fischiare, abbaiare, mitragliare al quale da casa Grossi si aggiunge il contrappunto assordante della Bazooka. Dimenticato il sacro concetto del risparmio delle munizioni, come se si volesse con il semplice volume del fuoco convincere il nemico su due piedi alla resa immediata.

Coperti dal nostro fuoco Napoli e due sabotatori escono, carponi s’infiltrano sotto il reticolato che divide il Presidio da casa Necchi e, strisciando verso il retro, piazzano la carica esplosiva. (Una manovra che dovranno ripetere una seconda volta, la miccia non si accende e nep­pure la seconda carica esplode.) Protetti dalla Breda sul Poggio, sei di noi dalla strada del Tram entriamo alla Centrale Elettrica; ci avviciniamo a un lungo fabbricato a un piano e serpeggiando attraversiamo lo spazio allo scoperto fino al muro di cinta a casa Terroni. Il muro è basso e qui resteremo accovacciati, bloccati per ore.

La sparatoria dei nostri e’ intenta a spazzare ogni visibile fessura del Presidio dal quale il nemico può far fuoco. Sono raffiche contro un nemico invisibile, si spara contro persiane socchiuse, spessimuri di cemento; finestre a balconi e un ballatoio che sembra essere una barricata di grossi travi. Da-da-da fa’ la Breda dal Poggio. Da-da risponde Barbaro con il Bren da sopra la cascata.

Ma da casa Ostacchini il nemico non spreca munizioni; appostato, aspet­ta un bersaglio, lo prende di mira e spari. (In mattinata dalla stazione un franco tiratore prenderà di mira e colpirà uno dei nostri sul ciglio del versante al cimitero.) Sentiamo a volte il sibilo staccato, il suono inconfondibile del tac-pum. A intervalli il fuoco cessa, riprende, s’incrocia col fuoco nemico, cessa di nuovo. Immobilizzato dietro il basso muretto, la carabina inutile ai piedi,Ailù si sfoga a parole; col pas­sare delle ore le sue invettive si fanno sempre più fiorite. —Razza… siete in trappola, siete nel sacco, cosa aspettate, razza… ma cosa aspettate?

(Il piano d’attacco ha funzionato in pieno alla stazione. I. tedeschi si sono rifugiati nelle cataste di legna della F.N.E.T. e sono stati sta— nati e fatti prigionieri dal gruppo di Gomel.)

Al Comando nella cucina di casa Grossi il pavimento e’ cosparso di bossoli vuoti; Libero, Corrado e Lino, esaminate e discusse le fasi della giornata, decidono a tarda sera di far cessare il fuoco. Non resta che postare pattuglie di perlustrazione, assicurarsi che pro­tetti dalle tenebre della notte i tedeschi non riescano a sgattaiolare fuori del Presidio. I tedeschi non hanno scelto a caso il loro quartiere generale. Casa Ostacchini è fra le case intorno la più alta più solida. Costrui­ta contro lo schianto delle stagioni sembra fatta apposta per resistere a tutta la batteria delle nostre armi. Sul davanti tre file di pesanti balconi sovrapposti le danno l’aria di un casermone, un bunker. Situata a metà strada fra i due ponti, quello del Tarodine e quello di San Rocco, dove la carrozzabile fa gomito ma non esattamente alla svolta, è in po­sizione strategica con una vista ininterrotta dei due rettilinei di approccio.

La torretta sul tetto deve aver fornito ai tedeschi un invidiabile panorama: il paesaggio impareggiabile di colli e colline, valli e ver­santi e di partigiani armati che comodamente salgono e scendono i costoni e i crinali scoperti. Stamattina il Presidio è tranquillo. Inespugnato e minacciosamente silenzioso. Il cielo buio coperto da una sbrandellata ragnatela di nuvole basse. Il nemico al coperto ma bloccato. Ma anche noi siamo bloccati, e allo scoperto. Questa la considerazione di Libero stamattina, il problema: come farli uscire?

All’alba Libero si spinge carponi lungo il fossato fra la strada e il muro parallelo alla strada, sopra la sua testa il fuoco da casa Grossi lo protegge. Si muovelentamente; s’accorge che qualcuno lo segue, si volta e riconosce Bomba, anche lui con il mitra in pugno, carponi. Proseguono e, arrivati a casa Necchi, si alzano in piedi. Davanti a loro sul muro e’ lo stesso reticolato che i sabotatori avevano alzato per penetrare al Presidio.

Tiriamolo giù, dai, Bomba, suggerisce Libero — attaccati a quel palo. Spingono, scuotono e sentono che cede. L’intero reticolato casca a terra d’un pezzo. Soddisfatti, gli sembra di aver fatto qualcosa; aperto una breccia, tolto un ostacolo e un pò spavaldi e senza fretta si voltano per tornare, ora non più carponi ma calmi e ben in vista. Arrivati al Comando trovano l’atmosfera completamente cambiata. Il loro gesto ha galvanizzato, tutti, e tutti vogliono uscire. —Mettiamo una ca­rica più pesante, dice Napoli, —andiamo, farà scoppiare a catena anche le altre due.

Quando scoppia non lascia dubbi che la carica o cariche hanno funzionato: uno scoppio tremendo, un rombo di tuoni a ripetizione. L’intero edificio di sicuro sradicato dalle fondamenta spesse nuvola di polvere e fumo si alza. Quando si dirada dal piano terreno sventola un panno bianco da una finestra.

-Bravi, si arrendono.

– Si e allora…, cosa aspettano, brontola Libero, — che siamo noi che andiamo a prenderli?

Il       portone d’entrata, sollevato dallo spostamento d’aria, e’ stato scaraventato attraverso la strada. I due magnifici battenti di legno scolpito sono a terra in pezzi; dalle finestre scassate, dal pavimento crollato sale ancora della polvere,ma nessuno si fa’ vedere. Altri panni bianchi sventolano dalle finestre. Come sempre siamo eccitati, tesi e impazienti. nella tensione che ci carica nell’azione siamo noi che usciamo per strada. Libero ha in mano il megafono. Siamo all’angolo, sparsi a ventaglio. -Gli diamo la resa in tedesco, che vengan fuori…. Libero alza gli occhi e da una finestra del secondo piano vede gettato fuori  un grappolo di bombe a mano. – Giù a terra, a terra, grida. Si getta attraverso la strada, rotola all’orlo e scivola per la scarpata. Noi corriamo avanti, ci gettiamo terra sotto i balconi. Io premo forte le mani sulle orecchie, apro la bocca  lo scoppio e’ assordante. E adesso tutto e’ confusionecome per incanto partigiani sbucano da tutte le parti, spingono; tedeschi con le mani sul capo escono, sono urtati ; si vuole vedere, attraverso il vano dell’entrata s’e’ aperta una voragine, fra il fumo, la polvere, le macerie della calce, putrelle, vetri rotti si vedono divise che si muovono nella penombra della cantina: i tedeschi sorpresi dal crollo del pavimento. La scala contro il muro resta in parte sospesa nel vuoto. Il comandante sta scendendo, si ferma a metà scala, slaccia il cinturone della pistola e la consegna…

Il tenente non e’ affatto come ce l’aspettavamo. Parla a voce bassa, pacata. Vuoi comunicare, vuoi fare un elogio a Libero per la strategia, (si preoccupa ch’io traduca esattamente)—ho visto, dice, ho visto l’accer­chiamento, gut – gut, fissa Libero che sta in silenzio inutilmente modesto. Il tenente e’ alto, un viso austero, sbiadito. Il gesto della mano, i modi, la cortesia contrastano, rafforzano l’aspetto teutonico degli altri prigionieri. Sembra sollevato che sia tutto finito, si guarda intorno con curiosità. Il suo sguardo passa da un partigiano a un altro, si ferma su. Ailù. — E’ lui, Fraulein, l’ho visto avanzare, bitte. Si slaccia l’oro­logio dal polso so che mi verrà tolto, bitte, vorrei fosse lui ad averlo. Spiego ad Ailù. — Prendilo, dai, ringrazia, di’ danke, danke schön, Ailù.

Biografia  del partigiano BIGLIARDI Eugenio << Cranio >>

caduto per la  Libertà

Il  22 maggio 1924 nasceva a S.Polo d’Enza ( in provincia  di  Reggio  Emilia ) Bigliardi Eugenio da  Francesco e da Figlioli Maria. Era il  quarto  figlio. Prima  di lui erano nati. Nel  1918 una sorella morta a soli  8 mesi, nel  1919 il fratello Giovanni e nel  1920 un’altra sorella. Il padre, operaio, aiutava la madre ad allevare i giovani  figli ad una vita di  saggezza e di lavoro. Nel  1929 ad Eugenio nasceva un altro fratello. Giacinto. Eugenio visse a S. Polo sino  al 1931, anno  in  cui la  piccola  famiglia veniva  colpita da un  doloroso lutto per la  perdita del padre.

Nello stesso anno  la famiglia Bigliardi si  trasferiva  a Mariano  di  Traversatolo. Quivi Eugenio continuava  a frequentare  le  scuole  elementari e mentre  di  sera studiava, il giorno lavorava come  apprendista  da un falegname, per  aiutare la  madre nella non  semplice bisogna  di sostenere la povera famiglia. La professione  di  falegname, inizia in  così tenera età, diveniva per lui un artigianato tanto  era la sua  passione per  questo lavoro. Da mariano la  famiglia  si trasferisce nel 1938 a Cornocchio di  Golese e nel  1939 presso l’Azienda Frigorifera merli.

Nel  1940 Eugenio  si sobbarcava completamente il mantenimento della  famiglia venendogli a mancare il fratello maggiore. Ad Eugenio, debole di  costituzione, veniva rimandata la prestazione  al  servizio  militare. Ciò però  non  gli impediva di  entrare a far parte, il  9 maggio 1944, della << 1ˆ Brigata Julia >> e precisamente del  gruppo << Taras >>, assumendo quale  nome  di  battaglia  << Cranio >>. Al  rastrellamento  di Luglio, dopo aver partecipato  al  combattimento  di Lozzola a varie  scaramucce coi  tedeschi, ritornava a casa con un altro  compagno  d’armi e qui  vi  rimaneva  nascosto per una  quindicina  di  giorni, dopodiché  ritornava al  suo  Gruppo.

 Qui partecipava a varie  azioni  di  guerriglia e a cattura  di nemici e anche all’importante combattimento  di  Valmozzola, il  29  settembre. Dal Penna al  Montagnana, da Montagnana a Solignano e Pessola da Pessola di  Varsi egli portava  il  sorriso della  sua  bella  giovinezza, recava la goliardia e il  coraggio dei  suoi  ventenni.

Egli era sempre tra i primi all’inizio del  cimento e tra gli ultimi alla fine  della lotta. Col  suo << sten >>, pantaloni mimetizzati e berretto tedesco ornato  di nastro  tricolore, Egli  affrontava spavaldamente  il nemico come  se avesse tra le mani una arma imbattibile. Ai primi  di  Novembre. Mentre si  trovava in servizio  a Varano  Melegari, per un’azione di  sorpresa da parte  di tedeschi, veniva  catturato assieme  ad altri Partigiani e civili e  veniva  condotto a S. Andrea  di  Medesano. Per alcuni  giorni subiva umiliazioni e percosse, il freddo  e la  fame, ma fortunatamente veniva tosto liberato in  seguito  di  scambio  di  prigionieri.

<< Ad ore 5,30 del  17 del mese  di  Dicembre dell’anno millenovecentoquarantaquattro a seguito a combattimento è deceduto in Tramonto ( Solignano ) il Patriota BIGLIARDI Eugenio ( CRANIO) figlio  di  Francesco e della Giglioli  Maria nato  a S. Polo D’Enza ( Reggio  Emilia ) il  22 maggio 1924 già  effettivo al  battaglione << Gardelli >>.

La  salma  è  stata  tumulata nel  cimitero  di  Pellegrino  Parmense del  Comune di  Pellegrino  Parmense – Provincia  di  Parma – il  giorno 19  dicembre 1944.

Il giorno 17 dicembre 1944 alle  ore 5,30 reparti tedeschi  per una forza complessiva di  circa 150 uomini, effettuavano un  colpo di  sorpresa sul  Distaccamento << Bassani  >> del  Battaglione   << Gardelli >>   dislocato  a Boio e Tramonto ( Solignano ) occupando la  suddetta località. Il Patriota Cranio  era di  sentinella alla squadra dislocata a Tramonto veniva colpito da numerose  raffiche mentre sparava tre colpi d’allarme convenuti, salvando con il sacrificio della propria vita il resto  del  Distaccamento >>. Queste sono le parole  del Verbale  di  decesso e bastano per illuminare la figura di  questo  bravo  Partigiano che  cadeva  nell’adempimento del  suo dovere.

Col  suo gesto Egli salva tutto il Distaccamento che  veniva così messo in allarme e preparato alla difesa. Giovane  cadde, ma sempre giovane rimarrà il  ricordo di Lui nella memoria di  chi Lo  conobbe e la madre Patria Lo amerà come  uno dei  suoi figli migliori.

EZIO PADOVANI << FUFFO>>

Biografia  del Partigiano GARDELLI Guido << Tornerò>>

Caduto

Gardelli Guido di  Giacomo nato  a Neviano dei  Rossi il 6- 1- 1923 caduto il  13 giugno 1944 in seguito  a ferite riportate ricevuta  il giorno  10 giugno 1944 nelle vicinanze di  Castellonchio. Nome  di  battaglia  Tornerò. Il  Gardelli si  era staccato  in località  Pagazzano da una squadra che rientrava  da una missione. Alla sera del  10 nella  medesima località un’altra squadra che  aveva  per obiettivo l’assalto al posto di  osservazione antiaereo di  Castellonchio. Dopo varie ore  di  cammino nei  boschi la  squadra giungeva in località  Cavazzola, dove  si trovava  la  casa del  Comandante dell’avvistamento di  Castellonchio, con l’intento di catturare il sunnominato, fascista  famoso, noto delinquente temuto  ed osteggiato in tutta la  zona.

La casa di  Giana Saloia, situata sulla strada  nazionale Parma – Spezia veniva  circondata e, in seguito a forzamento  della porta, tre patrioti, fra i quali si trovava il Gardelli,  vi irrompevano per  effettuare  la cattura. Sfortuna volle che  proprio  quella sera, contrariamente  alle  proprie  abitudini, il  Giana si trovava  al presidio di  Castellonchio e i patrioti, prestando  fede alle  assicurazioni della moglie e delle figlie, operavano una  perquisizione  nella casa, credendo  che  in  essa non  fossero  rimasti  nemici.  A perquisizione compiuta,  essi  stavano per lasciare  la  casa, quando  uno dei patrioti, il  Vanni veniva l’idea  di  guardare  bene  nella camera da letto dove, data l’oscurità, la  perquisizione non era venuta molto minuziosamente.  Consegnata la  propria  arma  al  gardelli,  si  abassava per  guardare sotto il letto facendosi illuminare dalla  figlia del  Gianna che  a un  ceto punto  spegneva la  candela: ritrovano allora nell’oscurità due  colpi  di pistola partiti che colpivano il vanni in pieno petto.

Per fortuna la pallottola  veniva  fermata dai caricatori  dello Sten che erano portasti  in quella posizione. Per l’oscurità e per il fatto  che i  due patrioti nella  camera erano virtualmente  disarmati, essendo uno senz’arma, l’altro impedito dall’arma del compagno e dalla propria si veniva a generare orgasmo e confusione in essi che, vistisi alla male parte cercavano  di  uscire dalla porta. Ma un altro  colpo di pistola  colpiva  il Gardelli al ventre, il comandante che  si  trovava fuori  della casa,  accorreva ai  colpi  nei presi  della porta ed aveva agio  di  vendicare il  compagno  scaricando la  propria  arma  a bruciapelo sul feritore, che, resosi imbaldanzito, inseguiva il Vanni e il  Gardelli  sulla porta. Il feritore risultava un tedesco che  al momento dell’irruzione dei patrioti in casa si  era calato sotto il letto. Il  Gardelli attraversa la  strada, stramazzava nel campo sottostante. Il  comandante  preoccupato per la sua ferita, lo soccorreva ordinando  alla squadra di  sospendere l’azione per il pericolo del  sopraggiungere di pattuglie o macchine tedesche e si  decideva al trasporto  del  ferito che, in  condizioni pietose, veniva ricoverato  in una  casa a qualche chilometro  di  distanza. Impartite disposizioni per il rientro della squadra in sede di  distaccamento, il comandante  si  interessava personalmente  di  vegliare il ferito per  tutta la notte e la giornata  successiva  e procurare un mezzo di trasporto requisendo una macchina sulla strada nazionale stessa. Alle  sei del  giorno  dopo il Gardelli, visitato da un medico, presentava sintomi mortali di  peritonite e veniva trasportato in una clinica a una trentina  di  chilometri di  distanza che  prestava con encomiabile spirito il proprio  aiuto in casi  consimili. Costatato però l’inutilità di tentare un operazione, dato che il Gardelli aveva trapassato il fegato, il colon, l’intestino tenue e la  vescica, veniva rispedito  a casa propria dove, assistito dai genitori, il giorno dopo spirava con  fiere espressioni patriottiche sulle labbra. Il  funerale veniva  effettuato il  giorno  14 con  grande  concorso di popolazione, malgrado che  il paese fosse in zona strettamente  sorvegliata  dai  fascisti e dai  tedeschi. L’azione sfortunata era stata diretta personalmente dal  comandante di  distaccamento  Tarass. Il tedesco era visto transitare il  giorno  dopo cadavere su un camioncino diretto  a Parma.

Dopo  questo fatto la  famiglia  Giana abbandonava la  casa trasferendosi in altre località dell’Italia settentrionale, il presidio  di  Castellonchio veniva immediatamente  smobilitato.  

(MEMORIE  DI UN COMPAGNO DI LOTTA )

Biografia del  Caduto Partigiano  GRASSI  Oreste

( Silla )

Nato  a Collecchio il 28/1/1920 da Eugenio e da Rosa Lanfranchi ha condotto sempre una vita onorata di  sobrio e tenace lavoratore, conosciuto per la sua onestà,  e sostenne in seguito  della morte del padre l’intero peso  della sua famiglia. Noncurante delle preghiere della madre e sorelle compì l’inerpicata salita dei monti il  9/5/1944 e con noi condivise le buone ma molto spesso le  cattive sorti del partigiano. Era componente di  quella famosa squadra di 12 uomini, di  coloro  che divennero poi i gloriosi e sfrenati assalitori della  1ˆ Brigata Julia. Nei combattimenti  di  Varsi, Molinatico, Ossola, Borgotaro, Montagnana, Valmozzola e Tramonto fu  sempre presente. Nei  nostri irruenti assalti sostenne con calma la foga  rabbiosa tedesca. Così sino  ai  giorni freddi e nevosi  del gennaio  1945.

Era una  di  quelle belle  sere stellate di maggio, quando  un  gruppo di  giovani collechiesi, nauseati  dai metodi repubblicani,  si portava nei pressi dovuti per l’incontro con colui  che doveva  guidarci fino  al Monte  Barigazzo: il covo e la  dimora aperta di pochi partigiani. Lunga è  stata la  nostra  prima marcia  in montagna e quanti erano  i nostri timori  e pensieri.  Come ci potevamo infatti figurare  << Ribelli >>?!?

Era con  noi  anche  Sila.  Con noi  fu anche  catturato anche  una prima  volta, nel  Dicembre  1944, dai barbari invasori, sottoposto alle più immane torture il suo animo fortissimo  aveva  resistito per non danneggiare i compagni, pronto a morire pur di non pronunciare una sola  parola  utile al nemico.  Fosti cambiato con i prigionieri tedeschi, ma non  dovevi vedere il giorno della  vittoria e ritornare al tuo pacifico lavoro.

Forse la Befana non è molto propizia agli uomini come ai  bimbi. Il  6 gennaio 1945 ebbe inizio il potentissimo rastrellamento da parte  di  coloro che poi nell’Aprile piegavano paurosi la testa  come domandandoci  scusa e perdono, da parte di  coloro che  torturavano e non  gli permise  di  riabbracciare la mamma. Furono giorni  di pena,  di fatiche inesplicate che  solo può capire chi  sopportò sui monti quei  giorni di bufera infernale. La 1ˆ Julia combatté per circa12 ore contro il sempre crescente numero dei rastrellatori finché , come  maledizione  di  Dio, giunse l’ordine  sganciamento. Il  nostro forte Sila si caricò abbondantemente  di  armi.

Dopo il primo giorno, esauriti  dalle  fatiche,  si nascosero  le  armi tenendo  con  noi solo  quelle piccole  armi  necessarie per la difesa dei nostri  corpi. La  nostra  squadra pattugliava  sempre in  testa, instancabilmente, finché pressati da tutte le parti pensammo come  risoluzione migliore  di  arrangiarsi.

Un caldissimo  abbraccio senza parole è l’unico ricordo che  ci  rimane del  nostro  compagno che  ora manca  all’appello dei  suoi famigliari e dei  suoi amici. Il 9  gennaio gli  assassini che insozzarono il  glorioso grigioverde  del  Carso ti  catturarono insieme  ad altri nostri compagni presso Prelerna di  Solignano. Coerenti  con la  propria  bassezza e con la  propria barbaria,  spregiando la  più elementare regola  di  diritto i  nemici  ti uccisero ad Alberi  di  Bigatto il  20  gennaio 1945.

Cercheremo o indimenticabile compagno che  il  tuo sacrificio non  sia stato vano. Anche se  esso poca  cosa sarà nei riguardi del  corso della Storia e  del  raggiungimento di una  superiore Civiltà, tu potrai essere certo di aver conquistato il nostro  cuore,  di  aver gettato nell’animo nostro quei germi  di  bontà e di  giustizia secondo i  quali tu  avevi concepito  la vita.

( MEMORIA DI  UN  COMPAGNO  DI LOTTA )

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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