
Parte Terza
– memorie autobiografiche, profili di caduti, poesie e racconti partigiani
- – elenchi dei Caduti partigiani e civili,
- – quadri comando della 1^ Brigata Julia
- – organici di brigata
INTERROGATORIO AII’ UFFICIO POLITICO DELLA MILIZIA

( MASSIMILIANO LODI )
“ITALO”
Firenze, pomeriggio del 2 dicembre 1943.
Nella sede dell’Ufficio Politico della 92 Legione camicie nere della M.V.S.N., dove sono stato convocato con un laconico perentorio invito, si nota animazione e intenso viavai di gerarchi e gregari. Dal momento dell’armistizio dell’8 settembre e della nuova presa di potere di Mussolini dopo la sua brusca estromissione del precedente 25 luglio, gli uomini delle superstiti forze del regime sono attivamente mobilitate nell’azione di restaurazione fascista e di rapido recupero del controllo politico-militare della parte del nostro Paese caduta in loro mano. È evidente che le ragioni della mia odierna convocazione si ricollegano ai miei precedenti politici risalenti a un fatto del periodo anteriore al 25 luglio scorso, quando, essendo alle dipendenze del comune di Firenze, avevo dichiarato di non essere iscritto e di non volermi iscrivere al Partito Nazionale Fascista in una lettera diretta al Podestà (e per questo ero stato licenziato sui due piedi; Vi informo che ho disposto da oggi stesso il vostro licenziamento per non essere voi iscritto al Partito Nazionale Fascista.
Nel mio Ufficio il Capo del servizio da cui dipendevo, adunati i miei colleghi ( come uno di loro mi racconterà più tardi), aveva aspramente stimmatizzato il mio gesto, definendomi «il ribelle». «Ha sputato nel piatto in cui mangiava e voi, se mai vi capitasse d’incontrarlo da qualche parte, sputatagli in faccia. Il piatto in cui mangiavo era, semmai, quello dell’Amministrazione comunale di Firenze e non quello del Partito Fascista. Ma quest’ultimo, avendo ormai ingoiato lo Stato e ogni sua struttura, era divenuto padrone dispotico di tutto e di tutti. Ed io, del resto, sapevo già a priori che il mio licenziamento inevitabile, dato che per i dipendenti di qualsiasi Ente pubblico l’obbligo di iscrizione ai Fascio era stabilito per legge.
Aspettavo da tempo che si avvedessero che ero sfornito di quella tessera e cosi nascesse la grana che avrebbe offerto il destro a un mio esplicito rifiuto al momento in cui fossi stato invitato a provvedermene. Ma si vede che l’iscrizione al P.N.F. di ciascun dipendente la consideravano così scontata che nessuno si dava la pena di dava la pena di perdere tempo per verificarla. Così, alla fine , avevo preso io stesso l’iniziativa di quella << autodenuncia >>, volendo di proposito creare il caso, mettere, per quanto esile, la mia zeppa individuale negl’ingranaggi del sistema, nonostante le conseguenze imponderabili ma sicuramente non lievi cui andavo incontro.
E questo perché non mi sentivo di seguire il riprovevole andazzo di conformismo, servilismo e codardia collettiva che consentiva la perpetuazione della dittatura, sotto la quale, standosene come pecora fra le pecore e belando con le altre, ciascuno s’adattava a incasellarsi e vivere o sopravvivere senza rischi fastidi nel vessatorio sistema, sottraendosi alla propria parte di responsabilità e al dovere d’intervenire a mettere fine a quell’insopportabile stato di cose. D’altronde la dittatura disponeva ormai da tempo, da troppo tempo, di strutture di repressione, pressione e ricatto tali da spiegare, se non sempre giustificare, la sua accettazione passiva da parte della massa dei cittadini, molti, moltissimi dei quali se ne legnavano, ma in privato, sottovoce, senza osare di uscire allo scoperto in prima persona.
E devo aggiungere che anch’io, ad esempio, se invece d’essere, solo avessi avuto famiglia, avrei dovuto pensarci due volte prima di coinvolgerla nella problematica situazione in cui mi stavo mettendo. ( E anche in questo senso ho parlato più sopra di ricatto del regime dittatoriale ). Ma per mia ventura questo ulteriore problema era risparmiato, mentre il mio gesto di aperto e formale rifiuto della prepotenza fascista era e voleva essere espressione del dovere morale di chiunque di rivendicare il diritto alla libertà, a un proprio spazio di libertà.
Esistono soprusi intollerabili dinanzi a cui la fronte non può, non deve inchinarsi. Dopo il licenziamento la mia pratica era passata alla Questura e al Partito, dove mi avevano schedato secondo la prassi d’uso. Poi erano venute le chiamate presso la Commissione di disciplina del P.N.F.( riteneva nel senso del diritto e nella logica del fascismo che tale organismo, avente specifiche competenze sugl’iscritti all’organizzazione, inquisisse anche sugli iscritti).
Dapprima il Relatore della Commissione Federale di Disciplina, Conte Francesco De Lardarel, poi l’Avvocato Alberto Coppini, i quali, << nel mio interesse >> e perché non mi rovinassi il futuro, visto che ero giovane, volevano vedermi recedere dal mio rifiuto e soprattutto cercavano di capire se la mia era stata una presa di posizione autonoma o nascondesse l’appartenenza a qualche gruppo d’oppositori politici del regime. Anche i carabinieri mi avevano interrogato, per la verità senza eccessivo zelo, per sapere tra l’altro se avevo parenti in Paesi nemici come l’Inghilterra e l’America, se ricevevo rimesse di denaro dall’estero oppure di cosa vivevo.
Di che cosa vivevo mi sarebbe stato difficile spiegarlo non solo a loro ma persino a me stesso, visti tutti i salti mortali che dovevo fare per tirare avanti campando alla giornata. Meno male che ero solo: i miei genitori e fratelli erano sfollati presso parenti nella campagna cremonese, dove la pensione del babbo bastava loro a malapena a far trenta e trentuno. Per mia fortuna, non molto dopo i miei problemi e i minacciosi sviluppi del mio caso svanivano rapidamente come neve al sole, al sole del luglio che voleva finalmente la caduta del dittatore, ed io potevo rientrare al mio posto in Comune. Ma ora il fascismo è ritornato, imposto dalla forza militare della Germania e da una minoranza virulenta di nostalgici illusi e io, a quanto sembra, sono chiamato a fare i conti con loro.
E non è senza un vivo senso di preoccupazione e timore che mi accingo a varcare la soglia dell’<<U.P.I. >>. Perché recarmi a un simile appuntamento col fermo proposito di ribaltare la mia avversione al fascismo in questo 2 dicembre 1943, quando soltanto ieri a Firenze è stato << giustiziato>> dalla resistenza il Comandante del Distretto Militare, Col Gobbi, che arruolava uomini per l’esercito di Graziani, e si sono subito annunciate gravi rappresaglie ( cinque ostaggi antifascisti verranno infatti passati per le armi), non mi sembra che scevra da oscuri pericoli.
Ma in questo momento se mi devo rimproverarmi è di non essermi a suo tempo collegato con gli embrionali movimenti politici venuti alla luce nei 45 giorni del Governo Badoglio. Quello sarebbe stato per me il momento di entrare in contatto con gli alti esponenti di partito che inviavano i loro brevi messaggi e comunicati alla stampa, di associarmi alla corrente liberale di cui condividevo i principi, di far comunella con i gruppi che in precedenza avevano clandestinamente operato contro il regime. Ma io, lungi dall’immaginare glia attuali sviluppi della situazione e poco interessato alla politica attiva e ai suoi autolesionismi ( oltreché prigioniero d’un temperamento schivo e introverso ), avevo trascurato di interessarmene. E ora pago le conseguenze della mia imprevidenza, perché a questo punto l’organizzazione antifascista è nuovamente clandestina e, in una grossa città come Firenze, anonima e inavvicinabile per chi, come me, conta su scarse conoscenze.
Proprio la frustrazione per questo stato d’isolamento è la mola è la mola che mi spinge ad affrontare la prova presso l’<<U.P.I.>>, in cui vedevo l’occasione da non perdere è per nella sede più idonea una professione d’antifascismo, per rischiosa che sia. Dunque entro in quell’Ufficio. E li ho la sorpresa d’una accoglienza cortese, quasi calorosa. Gli sguardi dei due addetti sembravano fissarsi su di me con benevola attenzione.
<<Uomini come voi>> mi fa il responsabile << al tempo del Partito Nazionale Fascista ce ne sarebbero voluti molti. Gente con il coraggio delle proprie idee, capace di dire di no, avrebbe potuto far suonare un campanello d’allarme nelle strutture interne del regime, impedire che divenissero un’accolta di opportunisti e di leccapiedi, che poi abbiam visto dove han finito per portarci. Ma il fascismo repubblicano ha fatto un ripulirsi e un rinnovamento radicale, è una cosa ben diversa (ecc. ecc. )e nessuno meglio di un cittadino come voi potrà trovarcisi a proprio agio nel combattere la sua battaglia, se veramente avete a cuore le sorti d’Italia (ecc. ecc. )>>.
Così, aspettandomi un accoglienza aggressiva e intimidatoria, mi trovavo davanti a un tentativo di recupero morbido. Anche se, conoscendo dalle carte i miei precedenti, questi << camerati >> probabilmente non contano troppo sulla mia duttilità. Essi aspettano ora la mia risposta. Ed io rispondo andando diritto alle mie conclusioni, cioè chiarendo e ribadendo che la mia opposizione al fascismo è una opposizione di principio e quindi vale per il Partito Repubblicano come valeva per il partito Nazionale Fascista.
Espressione e tono degl’inquirenti si mutano radicalmente. Ora i loro sguardi sono ostili, minacciosi e minaccioso il loro linguaggio. << Guardate che mettiamo a verbale!>>. Ed io: << mettete a verbale, nessuno può impedirmi di pensare con la mia testa!>> . Allora, senza più far motto e con ira malamente repressa, in rapida sequenza, buttano giù stringatamente il verbale, me lo fanno sottoscrivere e mi mettono bruscamente alla porta. Ritrovandomi all’aperto, mentre sento subito allentarsi la forte tensione che prima mi opprimeva, respiro a pieni polmoni e ho l’animo sollevato come quello di un reduce da uno scampato pericolo.
Per fortuna qui hanno pensato di fare l’operazione in due tempi: il primo tempo riservato al tentativo del mio recupero o alla verbalizzazione – nero sul bianco – del mio reato>>; il secondo tempo destinato al conseguente intervento punitivo .. verbale alla mano. Ma ormai, compiuto il mio atto dimostrativo, il mio gesto di sfida, anche a prescindere dalla remota ipotesi di trovare in questo momento la via di qualche banda partigiana, e chiaro che devo darmi alla macchia, devo sparire da Firenze senza por tempo in mezzo, ( infatti, come a guerra finita potrò rilevare dai documenti, i<< camerati >> dell’Ufficio Politico della Milizia si stavano apprestando a trasmettere in gran fretta il mio verbale << per provvedimenti che il caso richiede >>, non solo al Podestà di Firenze, ma anche al Capo della Provincia, al Comando Generale della Guardia Nazionale Repubblicana, alla Federazione Provinciale del Partito e all’Ispettorato di zona delle Camicie Nere.
E per il Podestà << i provvedimenti che il caso richiede >> si limitavano a un mio nuovo licenziamento, per gli altri destinatari della comunicazione … )
MASSIMILIANO LODI << Italo >>
Milizia Volontaria Per La Sicurezza Nazionale
Comando della 92 Legione cc.nn (C. di M.) Prot. N. 632/B/2
Firenze 3 dicembre 1943
ALL’ECCELLENZA IL CAPO DELLA PROVINCIA DI FIRENZE
AL PODESTÀ DEL COMUNE DI FIRENZE
E p.c:
AL COMANDO GENERALE GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
ALLA FEDERAZIONE PROVINCIALE DEL P.F.R. DI FIRENZE
ALL’ISPETORATO VIIˆ ZONA CC.NN. FIRENZE
OGGETTO: LODI MASSIMILIANO di Valentino e di Signorelli Gina, nato a Borgotaro ( Parma )
Il 28 ottobre 1921 e residente a Firenze in Via Fabbroni 46.
A carico del nominato in oggetto, dipendente dell’Ufficio Informazioni del Comune di Firenze, è prevenuta una segnalazione nella quale è precisato che il Lodi, invitato prima dell 25 luglio c.a. ad iscriversi avrebbe preferito lasciare l’impiego.
Effettuate le opportune indagini è stata accertata la veridicità della segnalazione.
Interrogato in proposito, il Lodi ha confermato quanto era stato segnalato a questo U.P.I. ed ha sottoscritto il relativo verbale di cui una coppia si unisce alla presente.
Per quanto sopra si segnala il nominativo in oggetto per i provvedimenti che il caso richiede.
IL CAPO DELL’ U.P.I.
Console Fabio Pastorini.
Copia conforme del documento originale esistente agli atti del Comune di Firenze
Comando 92ˆ Legione CC.NN.
U.P.I.
VERBALE DI INTERROGATORIO
L’anno Millenovecentoquarantatrè addì due del mese di dicembre nei locali del Comando 92ˆ Legione cc.nn.- Ufficio Politico- è comparso davanti a noi 1° Csq. CORSI GIUSEPPE E Cns. MERENDONI ROBERTO il nominato LODI MASSIMILIANO di Valentino e di Signorelli Gina nato a Borgotaro ( Parma ) il 28 ottobre 1921 e residente a Firenze in Via Fabbroni 48, sottosuolo, di professione dipendente dell’Ufficio Informazioni del Comune di Firenze, il quale opportunamente interrogato, risponde:
A D/R : – non mi sono mai iscritto al P.N.F. perché contrario di idee; altrettanto ho fatto col Partito Fascista Repubblicano, perché non corrisponde ai miei sentimenti.
A D/R : Occupo un posto alle dipendenze del Governo Repubblicano ma lo occupo unicamente perché mi è necessario lavorare e non sento in me nessuna adesione per l’attuale Governo di fatto.
A D/R:- Sono disposto a lasciare e senz’altro il posto che occupo piuttosto che iscrivermi al Partito Fascista Repubblicano.
A D/R: Non ho altro da aggiungere.
Fatto. Letto, confermato e sottoscritto nel giorno e luogo di cui sopra.
f.to Lodi Massimiliano
f. to 1° Csq. Corsi Giuseppe
f.to Cns. Merendoni Roberto
p.cc.
Il Dirigente dell’U.P.I.
Seniore Caridi Andrea
Copia conforme del documento originale esistente agli atti del Comune di Firenze
MOSCA A CIECA CON I NAZIFASCISTI
Il vecchio biglietto di viaggio emesso dalla stazione ferroviaria di Parma per l’andata a Valmozzola ( andata che per me rappresenta un ritorno: ero sceso da lassù qualche giorno prima cavalcando una sconquassata bicicletta ) reca un bollo a secco con impresso il Fascio littorio ( immancabile simbolo e marchio del regime )e un timbro con la data del 6 gennaio 1945. data ormai lontana ma rimasta nitidissima nella mia memoria, dove si associa a un singolare ricordo di guerra: nel giro di 24 ore ero stato catturato dai militi fascisti, ero riuscito a farmi rilasciare, ero poi finito in mano agli << Alpenjaeger >>tedeschi.
Come dire dalla padella nelle bragie.
Ecco perché ho conservo questo foglietto ormai ingiallito dagli anni fra le mie carte, dove di tanto in tanto lo ritrovo e con lui ritrovo la memoria di quei due episodi, ma anche e soprattutto la memoria d’un tempo traboccante d’entusiasmo patriottico e di speranze.
A vent’anni capita d’essere un po’ matti.
Ed è precisamente ciò che, il giorno avanti di prendere quel treno per Valmozzola , mi sento dire da un membro del Comitato di Liberazione Nazionale di Parma, quando, avendomi chiesto dove ero alloggiato lì in città, gli indico un albergo del centralissimo Borgo Salina ( c’è anche oggi: il Button ), lo steso che ospita un grosso reparto di << Brigate Nere >>.
<< Ma è matto? >> esclama incredulo l’amico.
E io a spiegargli che mentre i fascisti stanno passando al setaccio la Città alla caccia di noi <<fuori legge>> tenendo sotto tiro alberghi, locande, pensioni e pensioncine, nei loro covi si sentono certamente sicuri da non curarsi nemmeno di chi hanno dintorno ( in albergo, come avevo osservato, essi trascorrevano le loro pause di riposo e distinzione bevendo, fumando cantando, correndo dietro alle gonnelle, senza curarsi della faccia degli altri clienti e avventori). Tutto stava a comportarsi con apparente indifferenza ed evitare di dare nell’occhio. Ma la mia un po’ audace teoria non è punto condivisa dall’allarmato interlocutore, che non sembra disposto a scommettere un soldo bucato sulla mia pelle.
Sta di fatto che nelle due giornata di permanenza a contatto di gomito con le Brigate nere sono andato e venuto passando tranquillamente ( si fa per dire ) in mezzo a loro senza che mi degnassero d’uno sguardo, mentre la mattina del terzo giorno sono stato bloccato e fermato come sospetto dai militi fascisti nel bel mezzo d’una strada. Per spostarmi nei punti della città dove dovevo svolgere la mia missione per conto del comando usavo la bicicletta. In un certo momento si mette a nevicare intensamente e io, pedalando a testa bassa per evitare i fiocchi di neve vado a finire pari pari in braccio a un posto di controllo volante della << Guardia Nazionale Repubblicana >>.
Alla richiesta di documenti personali ne esibisco uno << fatto in casa >>. Si tratta d’un lasciapassare bilingue, cioè compilato anche in tedesco, che, complice la ( giovanissima e bellissima ) dottoressa Vanda Alzapiedi la quale conosce tale lingua e s’era prestata come traduttrice, avevo fatto io stesso stampare e adottare dai Comuni controllati dal nostro Comando partigiano, perché ne munissero quanti ne avevano la necessità di spostarsi in altre zone. Il Comune provvedeva a compilarlo e vidimarlo e, salvo complicazioni, a farlo vistare dal locale presidio tedesco.
Mio scopo era stato anche quello di escogitare un documento che, apparentemente rilasciato ai soli civili, potesse essere intestato al bisogno pure a noi partigiani per poterlo utilizzare quando dovevamo battere territori nemici. I controlli fascisti quando vedevano il visto e timbro del Comando tedesco con tanto di svastica, in genere davano il via libera senza approfondire le loro verifiche. Ma la prima sperimentazione personale di questo pseudo documento da parte del suo ideatore va male: al posto di controllo in cui mi sono imbattuto la mia posizione appare subito sospetta e i militi mi fermano e mi conducano per accertamenti nella loro caserma ( la Caserma Angelo Mazza , se la memoria non mi inganna):
Qui ci sono in attesa anche altri fermati; e, fortunatamente, lungo un corridoio c’è un apparecchio telefonico normalmente utilizzato dai militi per le loro conversazioni private. Così con la scusa di informare << il capo ufficio >> del mio ritardo, ottengo di fare una telefonata e avverto del mio infortunio un membro del Comitato di Liberazione perché veda se può adoperarsi a mio favore, 8 qualche dirigente fascista, vista la piega che stanno prendendo gli eventi, fa il doppio gioco e, in contatto con membri del C.L.N. per interposta persona, si presta a volte a risolvere simili casi ).
E che la telefonata sia stata provvidenziale lo posso constatare di li a poco, allorché chiamato tra i primi nel Comando della caserma per l’esame della mia posizione, vengo senza subire domande o inquisizioni rilasciato. Verso sera, concluse rapidamente le mie faccende e lasciata la bicicletta in un deposito, mi avvio in stazione per prendere il treno, che partirà soltanto nelle ore dell’oscurità per sfuggire al pericolo delle frequenti incursioni aeree diurne.
È un convoglio misto con in testa i vagoni riservati ai passeggeri, al centro la locomotiva, e in coda i vagoni ad uso militare e loro armamenti. Così i partigiani sanno che, in caso sia minata la linea ferroviaria, i primi a saltare saranno i civili. Il treno tarda a partire; nella sala d’aspetto e nei vagoni privi di riscaldamento il freddo notturno si fa sempre più intenso. Finalmente si ode un flebile fischio della locomotiva e, fra cigolii e stridori acutissimi di materiale rotabile e binari malamente sopravvissuti all’offesa dei bombardamenti aerei, ci si mette faticosamente in moto.
I viaggiatori sono pochi, muti coi visi tesi, spauriti. Qualcuno di loro sorveglia con uno sguardo geloso pacchi e borse di preziosi viveri racimolati in pianura. Intorno alle tre di notte scendo alla stazione di Valmozzola. Fra i rari presenti un amico mi avverte che nella zona sono in corso imponenti movimenti di truppe nemiche. Andando in su verso Mormorola ( 9 chilometri ) avrei inciampato probabilmente in uno sbarramento.
Mi metto in cammino confidando, nonostante tutto, nel mio documento bilingue con tanto di svastica ed aquila tedesca. Nella scarsa luce notturna lamia sagoma era scura che avanza, passo passo, sulla strada bianca di neve, potrebbe destare allarme in un posto di vigilanza nemico ed essere magari scambiata come avanguardia d’una pattuglia d’attacco avversaria. E in simili circostanze, in cui si è piuttosto nervosi e sbrigativi, capita che prima si spari sul bersaglio e poi, con comodo, si intimi l’alto – là.
Mi metto quindi a cantare a mezza voce per segnalare a distanza e in forma pacifica la mia presenza. Tutt’al più mi scambieranno per un ubriaco deambulante alla ricerca del proprio focolare domestico. E nella notte gelida e silente mi tocca cantare per circa sette chilometri di strada, per giunta in salita, prima che una secca intimazione di << alt !>> arresti il mio cammino.
Fa ancora buio. Nondimeno riesco a distinguere le mostrine dei militari e constatare che si tratta di alpini della Divisione Monterosa della R.S.I. Il Capoposto, un tenente, non ha nemmeno un fanale con cui farsi luce. Accende una serie di fiammiferi per leggere (o fingere di leggere ) il mio <<lasciapassare>> che gli allungo con gesto sicuro e che egli, sia pur titubante, mi restituisce lasciandomi proseguire per la mia strada. Alle prime luci del giorno giungo nella mia sede di Mormorola, dove mi suggeriscono di proseguire senza indugi verso l’alto. Ma sono troppo stanco ed esaurito da tante ore di tensione e non posso fare a meno di abbandonarmi a un pesante sonno ristoratore.
Trascorse un paia d’ore mi svegliano di soprassalto . C’è anche << Faust >> il carissimo amico Tonino Laurenti che, pur facendo parte della 2ˆ Brigata Julia, s’è trasferito momentaneamente fra i miei uomini e mi offre la sua preziosa collaborazione. Quanto al suo nome di battaglia, esso non deve trarre in inganno chi si aspetta che atterrisca e sgomenti i tedeschi quasi avessero a che fare con il demonio. Semmai, animo mite e riflessivo, << Faust >>li potrebbe un po’ ammansire con il suo modo d’essere ragionevole e disarmante. Egli mi avverte che sta per sopraggiungendo una pattuglia della << Monterosa >> proprio dalla zona in cui dinanzi ero stato fermato e che sappiamo popolata da spie fasciste.
Prese le nostre armi, ci sganciamo rapidamente verso Mariano. Altri chilometri, altra salita. Ma l’allenamento non manca e alla nostra età questo non ci pesa. Anche a mariano i pochi civili rimasti, per lo più donne e anziani ( oltre ai bambini ) sono in allarme per i movimenti nemici e non ci sanno indicare la dislocazione dei nostri che, essendovi un massiccio rastrellamento in corso, si sono spostati e probabilmente occultati in altra zona. In compenso le Signorine Occhi, le due mature cortesissime sorelle che hanno ospitato lungamente nella loro villa i nostri comandi facendo anche allestire sotto il fienile un rifugio che ritengono sicuro, insistono perché noi ne approfittiamo.
In realtà nessuno può giurare che quel rifugio sia tale ma sicuramente è comodo e spazioso e, cosa rara in simili frangenti, garantito di << servizio mensa >> dall’ineguagliabile impegno filo – partigiano di queste benemerite sostenitrici del nostro Movimento, così animate da spirito patriottico. Il rifugio è a suo modo confortevole e la situazione non offre alternative. E allora cos’è che, dopo un paio di ore di permanenza sotto la sua botola, ci spinge ad uscirne, ritornare all’aperto?.
È la tensione nervosa?.
È un insopportabile senso di claustrofobia dopo tutti quei mesi trascorsi peregrinando in lungo e in largo all’aria libera su queste montagne? È una certa confidenza con il fattore rischio, che finisce per farcelo prendere sottogamba quando diviene una specie di pane quotidiano? ( mi viene in mente a questo proposito che recentemente ero stato individuato e catturato a Borgotaro insieme a Umberto Cappella << Tris >> dagli alpini della Monterosa, il cui Comandante, Maggiore Faccioli, sembrava deciso a fucilarci. Il rischio di finire al muro era stato per noi reale e ce l’eravamo vista brutta.
Poi, dopo due giorni di alterno tiro alla fune con il nostro Comando, il Maggiore aveva pensato bene di fare marcia in dietro a addirittura rilasciarci. E anche allora, nonostante tutto, eravamo riusciti a cavarcela). Usciti dal rifugio, abbiamo appena il tempo di raggiungere le prime case del paese e nascondere le nostre armi dietro le fascine accatastate in una rimessa, ed ecco che: << compt, compt ! >> ci troviamo improvvisamente davanti, le armi spianate, una squadra di << Apenjaeger >> in tute mimetiche bianche velocemente sopraggiunta sugli sci, che precede una grossa colonna tedesca.
Sono ancora le Signorine Occhi, per ammansire in qualche modo i tedeschi ad invitare con molte effusioni la squadra nemica nel caldo della loro casa unitamente a Faust e a me, per una tavolata in cui servono un’abbondante colazione a tutti. Così diventiamo prigionieri dei tedeschi, che ci caricano d’uno zaino e ci tengono come ostaggi: se nelle prossime operazioni nessuno di loro verrà ucciso saremo liberati; altrimenti << caput >>. Meno male che non siamo incappati nelle << S.S.>> e che l’inattesa accoglienza ricevuta a Mariano ha ammorbidito un po’ questi uomini nei nostri confronti.
Ci chiamano << zivilisti >> per farci intendere di non considerarci << partesani >> ed evitiamo con noi i modi eccessivamente bruschi. Peccato che ora essi abbiano incontrato e aggregato come ostaggio un sempliciotto di origini napoletane sfollato a Valmozzola il quale, oltre a non stare mai a bocca chiusa, continua a rivolgermi la parola chiamandomi << comissà>>. Nella sua mente semplice non immagina che se quelli si accorgono di avere per in mano un commissario partigiano siamo fritti. Per fortuna che essi non riescono ad afferrare la parola dialettale e di fronte alla sua inarrestabile profulvie di parole si limitano di tanto in tanto ad apostrofarlo scherzosamente << makaroni>>.
Così seguiamo la colonna, che durante il suo lungo percorso cerca a destra e a manca i partigiani. Vediamo i tedeschi consultare dettagliatissime carte militari della zona stampate nella loro lingua, in cui appaiano anche i casolari più dispersi. La pattuglia sciatori va e viene, ma dei partigiani nessuna traccia. A un certo momento un ricognitore inglese, forse richiesto dal nostro Comando Unico attraverso la trasmittente della Missione Alleata, sorvola ripetutamente la zona, al che la colonna si attesta immobile dietro ad un muro.
Verso l’imbrunire raggiungiamo Tosca.
Nell’approssimarsi a questa località << Faust>> ed io ci scambiamo un cenno d’intesa incominciando a rallentare il passo per rimanere alla retroguardia della colonna. Entrando in paese c’indugiamo ulteriormente, preparandoci a scantonare velocemente al primo angolo, quando un coro di richiami e ( meno male ) di risate dei tedeschi che hanno mangiato la foglia, ci costringe a rientrare nei ranghi. D’altronde con tutta la neve che in terra impaccia i movimenti un tentativo di fuga sarebbe stato piuttosto velleitario.
A Tosca i tedeschi, senza tante cerimonie, sloggiano da varie case gli abitanti predisponendosi a occuparne anche i letti. << Faust >> ed io andiamo a finire, guardati a vista, nell’ampia cucina di una delle case più in vista del paese, dove si installa il Comando.
Ma per noi, naturalmente niente letto e nemmeno un cuscino o una coperta qualsiasi da buttarsi addosso per tentare di dormire un po’ riparati dal freddo. Né del resto la tensione accumulata ci consentirebbe di prendere sonno. Per cercare d’ingannare il tempo e allentare un po’ i nervi mi metto a canticchiare sottovoce << Firenze sogna >>, al che un caporale i cui modi insolitamente urbani aveva già notato, mi domanda: << Tu Firenze!>> e la mia risposta affermativa: << Io afere due fidanzaten quando Firenze!>>.
Poi aggiunge: << Tomani io parlare capitano per foi rilasciara >>. Così il mattino dopo veniamo introdotti dal Capitano. << faust >> mi dà di gomito accennando a un fiasco vuoto che troneggia vicino un bicchiere e a un mozzicone di candela sul tavolo dell’ufficiale. Se il capitano è anche semplicemente disposto a dare udienza ai prigionieri ciò fa pensare bene dell’iniziativa del caporal maggiore ( che avevamo visto abbottonarsi e aggiustarsi attentamente la divisa prima di entrare nella stanza del superiore ).
E soprattutto fa pensare che i tedeschi non sono più quegli uomini così estremamente sprezzanti e violenti che avevamo conosciuto nella primavera ed estate scorsa: adesso, sentendo prossima l’ora della resa dei conti, incominciamo a moderare i toni e modi di comportamento. ( E questo anche se nei riferimenti alla prepotenza tedesca non si deve far d’ogni erba un fascio, cioè non si devono dimenticare le lodevoli eccezioni personali, come dimostra l’atteggiamento di spontanea cortesia e sensibilità d’animo del nostro caporal maggiore).
Tuttavia il capitano che s’esprime piuttosto bene in Italiano non si sbilancia gran che. Domandando al << Faust >> cosa ci facesse a Mariano, alla sua risposta che si era recato a trovare le zie ribatte in tono incredulo << Le zie eh?>>. Poi ci conferma che siamo ostaggi suoi ostaggi e non può al momento prevedere il nostro futuro.
Poco dopo riprende la marcia della colonna attraverso i sentieri abbondantemente innevati. I nostri pantaloni a furia di strofinarsi nella neve alta oltre il ginocchio, data la temperatura abbondantemente sotto lo zero, si sono ricoperti d’uno strato di ghiacciato che crocchia ad ogni alterno movimento delle gambe, le mie scarpe basse ( sono quelle che indossavo a Parma e mi ero nuovamente e precipitosamente rimesso ai piedi dopo il breve riposo di Mormorola ) imbarcano neve che tendono a ghiacciarsi. << Tue scarpe nik bone montagna!>> mi dice un militare in colonna.
Si percorrono lunghi itinerari senza incappare in nuclei partigiani nei piccoli centri e nelle singole cascine visitate, fino a che nel tardo pomeriggio la colonna raggiunge il suo punto di concentramento a Borgotaro. Prima ancora di toccare il paese, nella zona del campo sportivo, essa si congiunge con un altro gruppo di << Alpenjaeger >> reduce da un da un diverso itinerario, e dai gridi ed alte esclamazioni di gioia che si levano dagli uomini delle due parti dopo un primo scambio di notizie gridate a distanza, << Faust >>ed io intuiamo che fra loro non ci sono state perdite.
A questo punto ci dicono che nessuno di loro <<caput>> e quindi siamo liberi. Mentre facciamo dietro front per ritornare a Valmozzola << faust>> mi dice << Attenzione, sono tedeschi, ci lasciano allontanare di venti metri poi ci prendono a raffiche!>>. Andiamo avanti venti, trenta, quaranta metri, ma non accade nulla.
Allora ci voltiamo indietro: i tedeschi, tutti presi a conversare animamene fra di loro, non ci stanno neanche osservando.
La sorte ci è stata amica, la rischiosa avventura è a lieto fine!
MASSIMO LODI << ITALO >>
Diario
Rastrellamento Gennaio 1945

“Libero”
Primo Brindani
( 5 Gennaio 1945: inizia nell’alto parmense il massiccio rastrellamento che costringerà molte formazioni partigiane all’occultamento e lo stesso Nostro Comando Unico a estenuanti peregrinazioni per sottrarsi alla ricerca nemica, mettendo in crisi il nostro sistema di collegamenti informativi nell’intera Provincia e spesso isolando gli stessi uomini del << C.U.>>. << Libero >> Ispettore del << C.U.>>, viene allora incaricato di battere la montagna accompagnato da alcuni portaordini per tenere i contatti con i capi delle varie formazioni,cui fornire direttive e indicazioni e per raccogliere e far conoscere al << C.U.>> informazioni sulla situazione e sull’andamento dell’operazione nemica. Ecco il suo diario di quei giorni: brevi notazioni buttate giù alla svelta, dove le notizie sono talora sfumate, appena accennate o sottaciute. Ma già così il diario costituisce un documento compromettente da portare con sé, e l’averlo tenuto una cosa un po’ azzardata ).
– 5.1.1945
Ore 15,20 parto da Bardi e sono a Pione alle 19 circa.
– 6.1.1945
Ore 9,30, visto che non cessa di nevicare, lascio Pione per recarmi al Acquanera ove giungo alle 12’45 dopo aver incontrato D’Artagnan prima di Cremadasco ed aver sostato un poco a Panigale. La marcia è stata durissima perché mi sono dovuto fare la rotta colla neve che arrivava fino al ginocchio.
– 7.1.1945
Ore 4,30 giungono n. 2 staffette che annunciano lo spostamento del Btg. Turco: infatti dopo mezz’ora giunge Rolando ed Aldo con il detto btg. Quasi subito il Btg. riparte per Frassineto. Alle 7.30 circa parte anche Rolando ed Aldo per detta località. Io invece con Franco scendo a Pione ove giungo alle 9. Alle 10,30 faccio partire la staffetta per il C.U. che ritorna alle 13.
… la lettera dice di aver incontrato un patriota che l’ha fatto ritornare indietro perché più oltre ha sentito e visto dei nemici che scendevano con gli sci verso Vischetto. Mi riferisce che poco prima ha sentito pure lui degli spari ed altri dicono di aver sentito sparare verso Gravago.
Si mangia ed alle 15,30 telefono ed ho conferma dell’occupazione di Bardi.
– 8.1.1945
Alle 6,30 si riparte ed alle 7,30 siamo a S. Giustina. Si parte più tardi ed alle 8,45 siamo a Roncole.
Alle 9,30 vediamo una colonna frazionata che scendeva verso S. Giustina di circa 60 uomini. C’è un primo allarme ma ci viene confermato che sono civili che scappano.
Verso le 13,30 giungono notizie che sono a Pione e Cornolo; Illica e Masanti le dicono sgombre.
Alle 16.30 ci muoviamo per Roncole nella speranza di raggiungere Illica:
Due ci precedono in paese e ritornano riferendoci che ci sono gli alpini.
Ritorniamo. La discesa a precipizio viene fatta quasi tutta strisciando a terra col sedere. Siamo nuovamente alle capanne ove pernottiamo.
Fa un freddo cane e… a dormire pochissimo.
– 9.1.1945
Mi alzo alle 7,30 e poco dopo, sempre in torno al nostro misero focherello, faccio colazione di pane e formaggio. Alle 12 solito minestrone. Più tardi due uomini scendono in paese per raccogliere notizie e far scorta di pane. Il nostro messaggero fa ritorno verso le 17 e poco dopo unitamente a lui scendiamo nuovamente a Roncole… provvediamo subito all’occultamento delle armi, mentre l’impareggiabile Tom si cura di farci trovare pronto un buon minestrone. Un fienile per la notte. Due parole di cronaca su questa critica giornata sento che bisogna pur dirle. La notte trascorsa quasi insonne ha aggravato la mestizia di questa dura giornata.
Le notizie varie e incerte, il silenzio di tomba che tutt’intorno, il candido manto che ricopre ogni cosa e paralizza ogni movimento creano uno stato psicologico veramente deprimente e quanto mai oscuro. Il nemico è tutt’intorno ( Pione- Masanti – Illica – Ponteceno – Cornolo – Pertuso – Ferriere ) e, come un incubo, si teme, che i nazi – fascisti convergeranno concordi verso il centro e difficile sarà poterne uscire. Voci … voci.., voci in un susseguirsi di mille congetture, ma purtroppo il morale è depresso ed ogni decisione, pur ponderata, non sembra buona.
Bisognerebbe sì uscire dal cerchio ma la mancanza di notizie sicure su località sgombre induce ad attendere. Solo il ritorno in paese ( a Roncole )ci toglie un po’ di quella malinconia che le mille supposizioni dei più timorosi aveva fatto.. anche su di noi. Alla notizia della cattura di circa un centinaio di nostri Patrioti mentre scendevano verso Pertuso, si contrappone quella che Cornolo è stata sgomberata.
– 10.1.1945
Appena giorno mi alzo dato che non sono riuscito a chiudere occhio per tutta la notte causa il gran freddo ai piedi. Intanto si sa che un civile è andato a Cornolo ed infatti ci porterà poi l’assicurazione che da Cornolo sono partiti; notizia convalidata più tardi da uno dei nostri che da Frassineto si è spinto fino a colà per far rifornimento di viveri. Intanto la giornata trascorre alquanto gioiosa e non manca il canto e il gioco delle carte. Io ne approfitto per farmi fare sempre da Tom la barba con un rasoio che fa solamente luccicare gli occhi. Per questa sera ho l’alloggio sopra una panca in cucina.
– 11.1.1945
Pomeriggio lasciamo Roncole e giungiamo la sera stessa ad Angola ove pernottiamo.
– 12.1.1945
Tomba.
– 13.1.1945
Caneso.
– 14.1.1945
Lascio, sempre unitamente a Franco di B.Taro, Caneso e da Carniglia si raggiunge Pione di Carniglia ove passiamo il Taro su una piccola passerella dato che il ponte è stato fatto saltare. Il passaggio, per quanto accerchiato, tanto più che bisogna percorrere circa 500 mt, sulla carrozzabile, viene effettuato senza alcun allarme.
Alle 9 siamo a Tornolo.
Raggiungiamo la strada delle << Cento Croci >>che lasciamo dopo averne percorso un lungo tratto scendendo verso S. Quirico.
Alle 14,45 sono a casa al Castello.
Mi rifocillo con una buona pasta asciutta e un piatto di carne. Subito dopo un bagno… più ristoratore mi rimette totalmente in sesto. Di buon’ora la sera ci corichiamo.
– 15.1.1945
Saranno le 7 circa quando alcune raffiche di mitragliatrice ci svegliano di soprassalto. Il tempo di vestirmi in fretta e prendere la strada di M. Groppo. Di là si prosegue per la << Cappelletta >> ove giungiamo alle 12. Indi scendiamo verso Caranza e dopo un breve sosta ci portiamo a Varese Ligure. Qui alla sera verso le 20 veniamo a conoscenza che le truppe nemiche hanno lasciato Albareto verso le 18.
– 16.1.1945
Siamo a M. Groppo unitamente a Ballerino, Scarpenti ed altri.
Prima di sera sono nuovamente a casa.
– 17.1.1945 – 18.1.1945
Al mattino allarme alle 3 ( poi alle 4,30 un altro ), in seguito scendo ad Albareto dal barbiere e mentre mi sta facendo la barba viene riferito che i tedeschi stanno venendo su dal bivio. Si da poco credito alla notizia, sennonché mezz’ora dopo devo andarmene dato che i tedeschi sono già al Cimitero visti da miei amici.
Nuovamente prendo la via di M Groppo e mi aggrego per strada anche a Cecchino. Dormo alla meglio ai Sabini e al mattino dopo alle 5 si prende la strada di Delamo ove giungiamo alle 9,30.
– 22.1.1945
Mi si sveglia alle 8,45 dicendomi che i tedeschi vengono giù da Montegroppo. Falso allarme. Sono i patrioti delle varie brigate di Spezia che si sono << sganciati >> dalla zona di Boschetto e M Groppo. Scendo ad Albareto e vedo <<Richetto>>. Telefono a Compiano ed ho conferma che né il Prof. << Poe >> ne suo figlio si trovano a casa. Alle 14,30 lascio il Castello e da Gotra – Ponte Scodellino – Monticelli raggiungo verso le 18 Brunelli.. Mangio e pernotto a casa di << Dragotte >>. Vengo a conoscenza dell’arresto di << Rosetta >>.
– 23.1.1945
Alle ore 8,30 mi reco da Corrado: si parla un po’ della situazione e dei combattimenti svoltosi ed in particolare della Crisi sia del Comandante che del Commissario. Alle 13,15 unitamente a << Lupo >> prendo la via di Mariano ( sede del comando Unico ). Breve sosta a Caffaraccia ove incontro << Oreste >>. Alle 15,30 lasciamo quest’ultima località ed alle 16,30 siamo alla << Maestà >>. Si prosegue e proprio sul monte perdiamo traccia della pista, totalmente coperta di neve. Si cerca inutilmente e mentre io ero già propenso per il ritorno, si decide di scendere a valle calando giù per i ruscelli.
Fatica indescrivibile: la neve arriva fin’oltre il ginocchio, in certi punti vi si sprofonda fin oltre la cintola, ci si sprofonda dentro e riesce oltremodo difficile uscirne anche con l’aiuto delle mani; la situazione, col procedere della marcia si fa quanto mai precaria; a turno ci apriamo la strada; un bel momento metto un piede nell’acqua; cammino ancora nell’acqua sembra si congeli nelle scarpe; più oltre scivolo giù da una scarpata e mi trovo con un piede ( sempre il solito destro ) nell’acqua e con ambedue le mani; la situazione si fa terribile; << Lupo >> mi segue a distanza rotto dalla fatica ed io non ne posso più causa il congelamento che mi sembra in atto; sono costretto a fermarmi togliere la scarpa e farne uscire l’acqua; mi friziono il piede con la neve tenendolo sulla borsa, mi asciugo poi con un asciugatoio e mi cambio le calze; mi riprendo, ma tanto si pensa già di accendere un piccolo fuocherello; proseguiamo con ulteriore faticoso sforzo di volontà; finalmente vediamo una striscia di bianco che fa supporre sia una strada; non c’è rotta ma comunque ci si convince sempre di più che sia una strada; più oltre infatti si trova l’altra strada che scende dalla << Tagliata >> con la pista fatta; è indescrivibile la nostra contentezza, ormai la strada è certa e nulla più ci preoccupa.
Ancora un’ora di strada e siamo a mariano. Arriviamo con gli abiti tutti congelati. Provvediamo a cambiarci e fare asciugare abiti e corpo. Un’ora dopo ci riprendiamo e subito ci corichiamo.
– 24.1.1945
Ho dormito con Lupo e ci si alzava verso le 9,30 ormai quasi completamente ristabiliti dalla cattiva avventura del giorno prima. A Mariano ho trovato Arta, Poe, Apino, Umberto, Don Guido, Severino, Poppay, ecc.
– 25.1.1945
È indetta per le 10 una riunione dei vari capi delle Brigate partigiane. Si effettua invece nel pomeriggio e sono presenti: Dario, Falco, Giorgio oltre agli altri già presenti. Verso le 15 Lupo parte via Tiedoli. Poco dopo giunge anche Piero recando denaro.
– 26.1.1945
Al mattino si tiene una piccola seduta fra noi del Comando unico ed al pomeriggio alle 14,30 lascio l’ospitale casa delle Signore. O… per raggiungere Brunelli – via Tiedoli. Parto con Giorgio, Severino e Oreste. Durante la notte ha nevicato nuovamente continuando anche alcune ore del mattino trasformandosi in pioggia. In queste condizioni la marcia è buona fino alla Cappelletta prima di Pian del Monte, mentre diventa faticosissima e brutta causa il disgelo dell’altro versante. Arrivo a Tiedoli inzuppato d’acqua fino al ginocchio e i piedi quasi congelati. Decidiamo di pernottare in detta località: io rimango con Severino e ceniamo in casa dell’Ing. Gandolfi e dormiamo a Trecosta presso un’altra sua parente.
– 27.1.1945
Veniamo a conoscenza che i tedeschi sembra siano a Brunelli. Si decide ugualmente di partire alle 10,30 siamo in marcia per S. Pietro ove si giunge verso mezzogiorno. Qui siamo in allarme perché hanno visto i tedeschi sopra Barbuia e li danno sicuri anche a Caffaraccia. Dalla lunga osservazione con cannocchiali non sembrerebbe, comunque alle 14 si parte ed a Trasogna si viene a conoscenza che il nemico ha lasciato in mattinata B. taro e Brunelli ed in parte ha seguito il crinale del monte sopra Brunelli.
Alle 17 siamo a Brunelli.
– 28.1.1945
Mi alzo tardi e nel pomeriggio teniamo una riunione a casa di Pirein presenti Corrado, Lino, Oreste, Cavur, Pirein, Battista, Barsi, ecc. e tutti hanno da biasimare sull’operato della congrega che è al Borgo. Si vorrebbe pure che nel Comitato vi fossero persone anziane anche se non rappresentative di partito per provvedere ai problemi dell’alimentazione del paese.
– 29.1.1945
Nel pomeriggio teniamo una seduta all’Albergo Appennino presente tutta la polizia più Bob e Tris e i rappresentanti del C.L.N.. Più tardi viene anche Dragotte. Vengono esposte le critiche che si fanno agli elementi che sono al Borgo e fra l’altro viene marcato il fatto del rastrellamento.
Per quest’ultima cosa viene posto in evidenza a discolpa che il giorno 4.1.1945 era stato avvertito il Com. Dragotte di un rastrellamento immediato da effettuarsi con 2 divisioni 8 notizia riferita subito da un tedesco alla stazione ) e che inoltre era stato avvertito immediatamente il Comando del fatto che il giorno 5, piccoli nuclei di tedeschi si erano posti a Monticelli e S. Martino. Sarebbe mancato l’avviso di quando le colonne si sono mosse dal Borgo. Per altre questioni si rimane d’accordo per una verifica della contabilità.
– 30.1.1945
Sempre al Borgo mi incontro con << Macaggi>>
– 31.1.1945
Al pomeriggio nella saletta al primo piano della trattoria Pellacini trovo << Bob >> ( Cap. < Bob > Capo della Missione alleata ) che con altri gioca a poker. Si voleva fare il controllo dei registri, ma non è possibile perché mancavano Vennein e Gek.
Sono io con Giorgio più Bob . tris – Poppay. Bob ha fatto intervenire anche Timo – Saga – Ludria perché, a sua detta, vedano anche loro che le accuse sono false e possono dire agli altri che è tutto fatto in regola.
– 1.2.1945
Riunione dei rappresentati delle varie brigate con gli esponenti del C.L.N. Vengono ben chiariti i rispettivi compiti e si da mandato al C.L.N. circa l’assaggio .. alle varie .. brigate che giungono a Borgotaro. Si approva l’affissione di un manifesto tendente a dar maggiore autorità alle disposizioni emanate dagli Organi Comunali.
– 2.2.1945
Prima di mezzogiorno sono a Caffaraccia. Riunione nel pomeriggio del Comando di Btg. e dei Comandanti, V. Comandanti e Commissari di distaccamento. Dopo lunga e accalorata discussione si è d’accordo sul fatto che per il buon nome della Brigata e del nostro Paese e per non formare oggetto di critica da parte di tutto il popolo è necessario che la Brigata rimanga unita.
<<LIBERO>> ( PRIMO BRINDANI
29 SETTEMBRE 1944 DA MARIANO ALLA STAZIONE DI VALMOZZOLA E RITORNO CON ALLEGRIA

Sfrecciavano le rondini quel giorno, nere, nel cielo terso, azzurro, dal monte Barigazzo al passo della Cisa, con voli rapidi ed ali tese, ebbre di spazio, saettanti, con virate improvvise tuffi, e risate. E la natura era ancora una << carezza >> di tepore, di erbe, di rami, di nidi, e il taro scorreva tranquillo e pulito. Sfrecciavano le rondini in cielo e il cinguettio era acuto, gioioso. Silenziosi ed indifferenti allo spettacolo erano invece quei giovani, barbe incolte, armi assortite, i nervi un po’ tesi, che scendevano da mariano, ove era il comando di Brigata, a passi saltellanti su sentieri su sentieri conosciuti e coperti dal fogliame amico del castagno e della quercia.
Altri uomini alla stessa ora, muovevano da Boie di Solignano, al comando di << Taras >> con appuntamento prefissato con << Dragotte >> sui dossi sovrastanti la stazione di Valmozzola. Era questo edificio appunto l’obbiettivo principale dell’azione dove alloggiava un forte presidio nazi – fascista e altri due caselli laterali alla stazione. Alle ore16 come convenuto, dopo che gli uomini erano già schierati, parte la prima raffica di mitragliatrice che doveva dare inizio l’attacco. E allora la musica si fa assordante: mitra, Sten, fucili mod.91 mitragliatori – sono circa 80 << strumenti >> che piazzano le loro note metalliche, come se fosse un rullio di tamburi che dà la carica alla cavalleria napoleonica, ognuno col suo ritmo, …. Uno schioppettio quasi allegro come un gran finale di fuochi artificiali nelle sagre di paese.
Ma all’improvviso le rondini ora non danzano più nell’infinito, non caprioleggiano più. Fuggono invece e sfrecciano con volti rapidi, saettanti in direzione di Berceto e della Cisa. …. Due sole, stranamente, rimangono alte nel cielo; ma queste ora non fuggono, anzi con ali ferme ondeggiano e ruotano nell’aria come falchi…. E in un attimo sono sopra di noi.
Eccoli, purtroppo non sono rondini e non sono falchi: sono due caccia bombardieri della aviazione Inglese. Qualcuno di noi certamente sorpreso, accenna ad un incerto saluto di amicizia, come dire: – bravi Inglesi, siamo qui anche per voi. Ma loro evidentemente non sanno nemmeno che esistono i partigiani nella valle del taro, niente hanno capito di quello che sta succedendo. Molti di noi – è vero – portano chi un copricapo, chi una giacca dell’esercito tedesco, altri sahariane fasciste, alcuni di noi sono anche armati di Machine – pistole ( il mitra tedesco ).
Fatto sta che il nostro saluto- forse scambiato per uno sberleffo – sganciano su di noi e sulla linea ferroviaria quasi con allegria il loro carico di bombe ( quattro ) legate a due a due. Lo scompiglio e la rabbia in noi sono inevitabili anche se i feriti sono solo due. Ci resta nelle orecchie lo sferragliare delle carene che legavano le bombe in caduta… e mentre decido di interrompere l’azione, ecco << Erok>> vice comandante, valoroso compagno di tante battaglie, arriva di slancio sui binari e a voce alta mi urla. Il casello si è arreso…proseguiamo.
Il combattimento infatti viene ripreso con rabbia, e ora anche l’altro casello si è arreso agli uomini di << Taras >>. Il nucleo più grosso però ancora asserragliato nella stazione del piano superiore. Ma ora non ha più scampo, intimiamo la resa che viene rifiutata. Allora la decisione ultima: tre << sabotatori >> escono alo scoperto protetti da un fuoco accelerato di sbarramento ed entrano nel << salone di attesa >> dove una scala in muratura porta al piano di sopra.
Hanno con loro un cartoccio di esplosivo al plastico già innescato col detonatore e relativa miccia. Pochi secondi dopo << Gi, ><, << Aquila >>, << Monti >>, sono già fuori. Altri secondi scorrono …. E poi il botto della bomba. << Punteria >> è tra i primi a scattare al grido << Libertà >>seguito da una decina di noi, tutti pensano che fosse crollato anche il soffitto del salone .. invece appena entrati ecco la sorpresa. La scala – è vero – si è sbriciolata, ma nel soffitto intatto c’è solo il buco da dove partiva la scala.
Restiamo qualche istante col naso in aria finché dal buco qualcuno lancia una bomba a mano che, fortunatamente scoppia tra i detriti della scala senza ferire nessuno di noi. Ci precipitiamo fuori e riprendiamo a sparare dentro le finestre , da dove finalmente esce un drappo bianco della resa. Troviamo in fretta una scala da fienile che viene appoggiata sotto ad una finestra. Su quella sale << Leone >> e altri due coraggiosi, e subito scendono a terra i soldati Tedeschi e militi fascisti con le mani alzate. Uno di questi, ferito, grida: – sono nato sotto Mussolini e voglio morire sotto Mussolini.
Qualcuno vorrebbe accontentarlo, ma il tempo incalza, dobbiamo recuperare il pingue bottino di armi e coperte e certamente i presidi di Ghiare e Solignano avranno già preso qualche decisione per intervenire. Siamo già tutti in fila: un tedesco, un fascista, un partigiano … un tedesco, un fascista, un partigiano e così via. Dovremmo compiere una cinquantina di metri per defilarci e metterci al sicuro dietro il crostone che sovrasta la stazione …….. Invece quel giorno, decisamente, doveva essere il giorno delle tante sorprese.
Infatti, mentre muoviamo i primi passi, una mitragliatrice di una pattuglia tedesca, accorsa nel frattempo da Ghiare di Berceto, incomincia a sparare rabbiosamente su di noi, ma per fortuna ancora troppo da lontano. E cosi siamo costretti a risalire il costone pancia a terra, strisciando tutti in fila, come un grosso rettile, partigiani e prigionieri, tutti concordi anche loro a far presto, perché le pallottole che ti arrivano a dosso, anche con la croce uncinata sono sempre << brutte pallottole >>.
Riprendiamo finalmente la marcia, al di là del costone svelti, svelti, verso Mariano. Il bottino è pingue: armi e prigionieri tedeschi, merce preziosa soprattutto quest’ultima che ci serviranno con lo scambio, a salvare la vita ai nostri compagni già condannati a morte nelle galere naziste. Il sole sta calando ormai dietro le colline, le rondini sono tornate e, in alto stanno dando gli ultimi guizzi .. un canto gioioso si leva nell’aria .. << sugli aspri monti … >>, il nostro grido è:
<< LIBERTÀ O MORTE >>
DELNEVO GIUSEPPE << DRAGOTTE >>
MORTE DI UN PARTIGIANO
( 16 LUGLIO 1944 )

<<TAROLLI>>
(Alberto Zanrè)
Dai costoni dell’Ozzola, dai prati del Molinatico, dal Bratello insanguinato .. scendevano ormai a valle Compagnie Germaniche, a rastrello – obiettivo BORGOTARO – fra un crepito di mitraglia che l’eco rimbalzava e moltiplicava, tra fumate di razzi di segnalazione e fumi di casolari incendiati. Il grosso della << Brigata >> si era ormai sottratto alla << Trappola >>, passando al di là del Taro, mentre il Drago, Erok, il Plezzo, il Ciccio e pochi altri, là verso il groppo di San Giovanni rallentavano la marcia, con una azione di“retroguardia”, della grossa Colonna Tedesca, proveniente dalla Manubiola.
… e laggiù, sotto di loro, sulla Provinciale le pattuglie tedesche esploranti, avanzavano caute, sobbalzavano allo schiocco improvviso delle fucilate, si disperdevano “zigzagando”, si riparavano nei fossati, dietro i muretti, come piccoli topi .. e le pallottole erano “unghiate”….
… e a loro volta quindi il Drago, Erok, il Plezzo, il Ciccio, il “ Volpe” e gli altri … diventavano topi … si disperdevano, si rintanavano, decisi a sopravvivere, sotto le “unghiate” di altre pattuglie tedesche che avanzavano dai costoni più alti, con folate rabbiose di proiettili….
… E Borgotaro era ormai deserta, e il popolo ondeggiava su verso brunelli, e, come sospinto da un vento, risaliva i pendii del Vona del Varacola .. e i borghi di San Pietro, di Tiedoli, di San martino, di Caffaraccia, DI Porcigatone risuonavano di voci, di muggiti, di richiami, d’implorazioni … e la paura era nei volti e nei boschi attorno…
E intanto …
Laggiù sul “fondovalle”, oltre il ponte di “Scodellino” a cavallo di una rombante B.M.V., preda bellica, gli occhi azzurri…. I baffi spioventi ai lati, cinesizzanti, pizzo alla “moschettiera”, mitra a tracolla, ventenni di Giovinezza, si avvia al suo destino di morte e di gloria il partigiano “ Tarolli”. Il “Ventaglio” Tedesco si era aperto dal passo della Cisa, al Monte Gottero .. e qualche pattuglia aveva raggiunto ormai la strada di Bedonia. Eccoli …! I Mitra puntati, dopo la “svolta della DIGA” , piantati in mezzo alla strada, appaiati sul ciglione, con lunghi nastri di mitragliatrice, gli sono ormai alle spalle…(L’Inferno li manda …) e le sue mani si fanno legnose … il motore si spegne.. e stavolta è lui nella “Rete”.
È un “BANDITO” .. non è un soldato … non fa la guerra … ma la “Guerriglia” .. e la guerriglia non è prevista dal “gioco” … e dai “Tartari” … I “ SOLDATI” sono loro! Loro sono nella regola della “Legge”… fra Eserciti, i prigionieri sono regolamentati dagli “ accordi di Ginevra”: salva la vita, cibo a sufficienza, Croce Rossa Internazionale!. Ma chi è costui? È vero: porta un cappello Alpino – 8° Alpini – Ma chi glielo ha dato? Dov’è la giacca regolamentare? Indossa invece un maglione bianco ( forse intrecciato da una zia amorosa) E gli scarponi? Ma sono “pesanti”… le suole forate con la lesina, un foro dopo l’altro; spago e pece per ogni foro, ed a ogni foro, lo spago tirato, stretto con forza, da mani protette, nel palmo della mano, da una guaina lucida di pece e rigata di spago. Ha un cinturone ( è vero ) ma la sua grossa Fibbia c’è un Marchio che non gli appartiene: una Croce Uncinata e una strana scritta in una lingua che non è la sua.
Verme ribelle! essere impuro! … la lingua è “Germanica: razza Prima! Razza Superiore! E la scritta dice << GOTT MIT UNS >>. DIO è con Noi … Già Dio è con noi perché siamo Germanici, Dio è con noi perché ci comanda HITLER …Dio è con noi perché siamo potenti, noi siamo i re dell’Universo
…. Abbiamo potere di Vita e di Morte!
… il Partigiano Tarolli sa cosa l’aspetta … Un grido … un balzo nel breve spazio erboso. Muscoli e nervi tesi in una fuga disperata per raggiungere nella boscaglia … Ma il Tedesco aveva già sparato… Si senti lanciare alla schiena: era una frustrata di “Machine – Pistole” ….. lo sguardo si annebbia mentre cadeva in avanti … una spiga di grano ondeggiava ricolma di Sole era alto su l Taro, … ed era serena tutta la valle… Guizzavano le Trote nel limpido Gotra .. e lenti si muovevano i granchi …
E tu morivi .. artigliato dal piombo,… stringendo una zolla della terra dov’era il seme … della LIBERTÀ.
GIUSEPPE DEL NEVO << DRAGOTTE>>
VARIAZIONI

Corrado Pellacini
<< Corrado >>
15 settembre 1943 – in Udine primi approcci con Ufficiali dell’8° Regg. Alpini per un eventuale creazione di un movimento Patriottico – antifascisti ed antitedesco.
17- Settembre 1943 – a Borgotaro, primo contatto con dragotte – Garibaldi – Volga – Zanrè – Cavur per vedere la possibilità di creare un movimento Patriottico nella Valle del taro.
15 ottobre 1945 – con Dragotte – viaggio a Udine – ampia discussione con il maggiore Silverio Tommaso dell’8° Regg. Alpini ( organizzatore con altri Ufficiali del movimento patriottico del veneto e precisamente in Carnia ) ci consiglia di rimanere in Val Taro e crearvi un Movimento Patriottico Parmense.
Novembre 2° viaggio a Udine – nuovo abboccamento con il maggiore Silverio Tommaso e col Sig. << Lezcovic) >> ( Impresa Internazionale Trasporti ).
Dicembre 1943. si pensa a vettovagliare la squadra di Fermo al lago Pavé – proveniente dal combattimento di Osacca del giorno di Natale ( circa 20 patrioti ).
Gennaio 1943. con Dragotte ci rechiamo al Lago Pavé da Fermo – per combinare un eventuale atto di guerriglia al presidio fascista di B. Taro ( sul Monte Del Soldato incontriamo tre militi della Milizia Forestale )
4 Febbraio 1944 – la squadra di Fermo s’incontra tra un pattugliane fascista sul ponte di Tarodine ( ore 24 ), violenta sparatoria, i fascisti si danno alla fuga.
15 Febbraio – vengo arrestato e condotto al Comando di presidio – fascista di B.Taro dal Ten. Guerra con lungo interrogatorio sulla mia andata con Dragotte in località Rovinaglia – S. Vincenzo – Valdena – pressi del Lago Pavé; dopo essermi creato un alibi vengo rilasciato, ma sono pedinato ovunque dai fascisti di B. Taro – 8 spia del mio arresto – Bellini uno dei Militi Forestali incontrati sul Monte del Soldato).
5 Marzo 1944 – attacco al treno passeggeri alla stazione di Valmozzola- sono presente all’azione quale spettatore. Ritorno a Borgotaro col treno delle 20, vengo nuovamente arrestato da un pattugliane fascista e condotto alla presenza del ten guerra. Lungo interrogatorio, riesco a crearmi un nuovo alibi e nella notte stessa vengo rilasciato con minacce di internamento in Germania e rappresaglie sulla mia famiglia.
7 Marzo 1943 – terzo viaggio a Udine – abboccamento con il Sig. Lezcovic.
9 Marzo in Martignacco ( Udine ), nuovo abboccamento con un ex Sergente magg. Del Negro Luigi dell’ 8° Regg. Alpini- il quale è a contatto con l’aiutante del generale Caverserani Comandante dell’organizzazione Patriottica della bassa Friulana.
Il 21 maggio 1944 – rientro al gruppo situato a Linari del Monte Molinatico – perché impossibilitato a rimanere oltre a Borgotaro, in qualità di V. Comandante.
CORRADO PELLACINI << CORRADO >>
IL RITORNO DI AILÙ

ROSETTA SOLARI
<< ROSETTA >>
Al pozzo non si sapeva ancora che i tedeschi avevano preso Ailù. Era partito di buon’ora con il mulo per fare il rifornimento del pane. Un uomo di poche parole. Ailù non dava tante spiegazioni. Di turno in cucina Birichino e Boris avevano preparato il rancio. Solo ora nella distribuzione si notava che Ailù non c’era. La fila si muoveva a scatti, si fermava, si rimetteva in moto. Con Ailù non succedeva. Quando distribuisce il rancio Ailù non alza gli occhi su nessuno. Gli passiamo davanti, da sotto il suo vecchio capello alpino non vede che la mano con il piatto che a turno gli tendiamo. Scodella un mestolo di rancio nel piatto e la fila continua a muoversi.
Un piatto di assoluta imparzialità. Non si discute.
Nel mio diario leggo. Ailù: ex alpino, Mulattiere, Cuoco per l’occasione. Tozzo, spalle muscolose e tarchiate, collo rientrato, ciglia a cespuglio. La sua aria feroce è dovuta al folto barbone che gli copre quasi tutto il viso. È bello guardarlo mentre traffica intorno al fuoco acceso. Si muove con la precisione, l’economia dei gesti di un’esperta massaia. Conosce il valore di una patata, di un pezzetto di manzo e la sua sollecitudine è quasi materna. Guai però se uno si avvicina troppo alla pentola o lo inciampa nei movimenti. Il calcio che può sferrare al malcapitato non ha proprio niente di materno.
Ailù: ribelle, bucaniere, partigiano.
Il nome è un volo d’ali, di piume, di grazia. Ha un suono gentile pronunciato da qualsiasi bocca. Fragile e forte come la parte gentile della sua natura che Ailù nasconde gelosamente sotto il fare ruvido. Ci sono individui segnati, fuori dal comune. Ci appaiono come esemplari, come simboli. Spesso, come nel caso di Ailù, diventano leggenda. Ailù è un personaggio da film e veste la sua parte: alla spalla porta la carabina ( a Tomba era il lungo 91, più tardi partirà solo una notte per fornirsi di mitra da un fascista in licenza ), alla cintura porta la pistola a tamburo, il pugnale e due, tre o anche quattro bombe sipe. Il suo inseparabile cappello alpino ha preso la forma della sua testa. È diventato un’espressione naturale come le sue orecchie o la barba. Quando dorme lo tira in avanti e si copre il viso. Se lo toglie per asciugarsi la fronte si vede allora la linea netta e decisa come una scriminatura che gli taglia la fronte e separa la parte bianca dal resto del viso abbronzato.
Il giorno che han preso Ailù è un giorno calmo al Pozzo.
Le giornate di calma si alternano a quelle di allarme. Baffo è partito con tre uomini in pattuglia. Alla sorgente Birichino ha lustrato la pentola con un pugno di sabbia. È in corso una partita a briscola ma distratta, interrotta di continuo con chiacchiere. Jack conta le ultime sigarette che gli restano, le passa in rivista nel palmo della mano, ne sceglie una. Saga ha lavato i calzini e sono stesi su un cespuglio ad asciugare. Sopra pensiero Dragotte brontola; – Con tutta questa gente che sta qui a far niente Ailù va da solo a prendere il pane? Nessuno risponde, nessuno si preoccupa.
La postazione antiaerea tedesca, più in basso verso San Pietro, non è lontano dalla casa dove facciamo il rifornimento del pane. I tedeschi escono due a due ma sono sortite di pattuglia e seguono sempre il lo stesso percorso. La nostra pattuglia li ha seguiti col cannocchiale e non si allarma più.
Al pozzo è un’altra giornata di calma.
E poi immaginare Ailù nelle mani dei tedeschi è un assurdo. È inconcepibile pensarlo caduto in un imboscata, forse per quella sua aria di sufficienza integrale, di ostinata e intrattabile resistenza al nemico. Quassù la vita si basa su valori istintivi animali. La nostra arma è l’astuzia, la sorpresa e l’esperienza che col tempo accumuliamo. In questo clima l’aggressività di Ailù è un talento, un dono. Ailù è un veterano di linea indurito, agguerrito dalla campagna d’Africa preferisce il corpo a corpo, baionetta in canna.
E qui il paradosso. L’altra faccia di Ailù: quella che mostra il nemico. Il suo accanimento violento e spietato contro il fascista ancora più contro il tedesco non ammette compromessi o gesti misericordiosi. È una corazza che lo circonda come un’aura. Lo protegge e cosa strana, anche chi si trova vicino a lui si sente protetto. Ricordo una puntata tedesca da Berceto. Siamo separati dal gruppo una mattina di nebbia impenetrabile. Non si vede a un metro di distanza. Come un fumo denso la nebbia nasconde ogni cosa, alberi, siepi, arbusti, anche il terreno accidentato della mulattiera che seguiamo alla cieca, quando sentiamo all’improvviso, ovattato nella nebbia, lo scoppio del mortaio.
– Ailù che cos’è?
È fermo, cosiì teso in ascolto che oltre alle orecchie sembra quasi abbia spuntato le delicate antenne di un insetto per ascoltare.
– Ailù, sono vicini?
Non risponde. Poi si scuote, rimette il fucile alla spalla.- Eh chi lo sa in questa nebbia? Andiamo. E, visto che non mi muovo: -Eh non ti preoccupare, funziona anche per noi la nebbia. Noi non li vediamo, ma anche loro non ci possono vedere, su…..
Non ci avevo pensato .
Mi fa piacere pensare che è stato Ailù che mi ha consegnato la rivoltella per la prima missione, m’ha accettato con naturalezza, m’ha rassicurato nel battesimo del fuoco in un certo senso. Anche in quell’occasione presenza rassicurante la sua. Siamo in un fossato in vista della stazione ferroviaria. Quasi piegati in due accartocciati nel fosso stretto. Ailù e Dante hanno posato il fucile per terra. Io tengo stretta la Beretta che ancora non ho sparato. Una luna alta, bionda illumina a giorno l’intera campagna . Presumibilmente illumina anche noi.. aspettiamo Punteria che è partito in perlustrazione lungo i binari. M’accorgo quasi subito che Ailù dorme. Forse anche Dante alla sua sinistra s’è addormentato e sono sveglia io sola. M’innervosisco. Vorrei dargli uno spintone, svegliarli dirgli: – E allora che facciamo? Siamo venuti a dormire? Ma è la mia prima azione e non mi decido. Presentemente sento che Ailù si muove, sbuffa con passione: -porca miseria,- Alza una mano minacciosa in alto, – ci volevi anche tu maledetta stasera. M’accorgo che non si riferisce a me, con la mano minaccia quella insolente che naviga sopra le nostre teste e ci illumina della sua luce abbagliante.
Inevitabilmente parlare di Ailù e ricordarlo affaccendato attorno ai muli. È con i muli più che con i cavalli che Ailù si mostra premuroso. I muli sono il suo vero e costante amore. Caricare un mulo non è mica una cosa da poco, – mi spiega, – ci sono degli imbecilli che non l’imparano mai. Non capiscono che è una cosa delicata; si tratta di dimensioni, di bilancio di pesi, di angolature, e anche del rispetto che si deve a questa bestia che nessuno tiene in considerazione.
Intendiamoci io non ho niente contro il cavallo. Guardi i nostri, Pina e Dora, due belle bestie, brave in gamba e tutto, ma qui ai monti non si va a cavallo. Qui ci vuole il mulo. Guarda come mette giù il piede; come la capra, lo poggia, assaggia, si assicura e poi va. Di notte, di giorno, sempre, lui è sicuro. È anche tu puoi stare sicuro, fidati..
Nelle lunghe marce per rifornimento di viveri è il mulo che apre la fila e indica la rotta da seguire. Sono tempi magri questi e facciamo trenta, quaranta silometri per un chilo di lardo, un sacco di patate o qualche sacco di grano. Si parte di buon’ ora e si procede a passo di mulo in fila indiana e in silenzio. Ailù non è comunicativo e spiccioli di conversazione per la marcia non ne tiene. Renzo, giovane e imberbe, non si permette di attaccare discorso. È una marcia silenziosa. Ma fra Ailù e il mulo ci dev’essere un’intesa segreta, si capiscono. Una volta caricato i viveri, senza esitare, il mulo si avvia. Come per ordine segreto ha una meta da raggiungere, e va, non sbaglia. Per via diretta ( a volte molto indiretta ) ci porta all’osteria. Il vino ha assunto un’importanza grande quassù.
Non solo per il suo valore nutritivo, come il rancio è indispensabile, ma possiede anche un’indiscussa virtù. Libera lo spirito. Quello è uomo, dice Ailù, il vino lo sa portare. Io sono esonerata dal bere come donna, però è un punto contro di me. All’osteria, sempre col mal umore, Ailù si lamenta. – Come si fa a stare in compagnia di qualcuno che non beve?
Se il mulo ispira Ailù a voli lirici, il vino scioglie la lingua.
Seduto al tavolo d’osteria Ailù non si riconosce. All’osteria si rilassa dopo giorni e giorni di silenzio corrucciato al campo dove sembra sempre di mal umore. Seduto di sbieco, piedi ben piantati, gomito e avambraccio rilassati sul lungo monologo. Senz’altro la voce, come preludio comincia con una sfilza di invettive, di imprecazioni, monotone, sentite, ripetute all’indirizzo della vita cane, dei ricchi vagabondi, dei fascisti prepotenti. Da vero mulattiere e rude montanaro la bestemmia gli viene facile e naturale, ma non ha che un semplice valore di sfogo verbale. Finita questa tirata, il suo tono cambia, la sua voce addolcisce.
Trasognato, estatico nell’ afrore del vino, Ailù medita sulla vita.
Come se parlasse a se stesso, segue un filo luminoso, riflette:
– Tre cose belle ha il mondo:
un buon risotto,
un buon vino
e una donna… dopo la sosta all’osteria al ritorno facciamo tappa la siesta. Renzo, legato il mulo all’ombra, si stende al sole sul fianco, posa la guancia su una mano e chiude gli occhi. Ai piedi dell’albero, la schiena contro il tronco, la barba appoggiata sul petto, Ailù sprofonda in un sonno magistrale.
Nel calore pomeridiano la scarpata con la sua sparsa rete di sterpaglia odora di ginepro, dell’acido odore dei nostri corpi mal lavati, di lana riscaldata, di cuoio, del tanfo del mulo. I pidocchi intrecciati nelle nostre sottomaglie stanno buoni, riposano e ci lasciano riposare. Le divise dell’esercito inglese ricevute in dotazione sono ormai del colore della terra, della polvere, sanno di cascina e di fieno, di stalla, della vicinanza dei buoi dove abbiamo dormito. È l’aroma inconfondibile che abbiamo preso quassù. ( Da quanto tempo non abbiamo visto i nostri piedi nudi?) Le nostre calze, sudate e indurite, sono saldate agli scarponi e il cuoio s’è fatto duro come scorza.
Renzo, steso a dormire nel pietrisco, Ailù contro il tronco dell’albero, sono mimetizzati. Compenetrati come la vegetazione, come la scarpata sulla quale ci riposiamo. Siamo stagionati dal sole e dal vento e facciamo parte dei monti. Ailù apre gli occhi; con il pollice spinge indietro il cappello alpino e comincia a parlare come se il discorso all’osteria non fosse mai stato interrotto.
– Fidati del mulo. Ma di un amico ti puoi fidare? Un amico è un’altra cosa,ti dico io, stai in compagnia gli paghi da bere e dopo due bicchieri attacca brighe; si offende di niente e vuol farti a pugni. Se non stai in piedi, credi che ti porti a casa? Dopo la sbornia se non stai attento vai a finire con lui in un canalone col collo rotto o giù al fiume annegato. Ma il mulo, ah il mulo, quello si che è un vero amico. Non ti reggi in piedi, lasciati guidare dal mulo, mettigli la mano sulla groppa; clipette cloppete, stagli vicino, cammina, cammina … non avere paura, chiudi gli occhio se vuoi, fidati… Il mulo ti porta a casa.
Nessuno l’ha visto arrivare.
Ce lo troviamo in mezzo a noi scosso e trafelato. E non è l’agitazione della lunga salita o di una corsa che gli ha tolto il fiato. C’è qualcosa che non va.
– Ailù, il mulo dove l’hai lasciato? –
Ailù sprofonda i pollici nel cinturone, mortificato, si guarda la punta degli scarponi. Adesso tutti gli si fanno attorno e le domande gli arrivano da tutte le parti. –Cosa l’è successo? … perché sei disarmato?.. la carabina dov’è.. t’hanno preso… Lasciatelo stare, dice Dragotte, e mette fine a quella babele di voci. Boris gli porta pane e formaggio e Ailù con gesto meccanico lo prende e va a sedersi sullo scalino della cascina. Gli formiamo un semicerchio davanti, alcuni in piedi, altri si lasciano cadere a terra. Aspettiamo. Sentiamo l’angoscia che ha provato lui e che lo scuote ancora e ci comunica . Distrattamente lo stiamo a guardare e ognuno pensa: -Avrei potuto essere io al suo posto. La sensazione che dimentichiamo, quel soffocamento che non ha nome che ci prende improvviso, p sempre alle nostre spalle. La sensazione di cocchi che ci stanno a guardare da cannocchiali invisibili, fra gli alberi e il battito che sentiamo a si confonde col battito del cuore, son passi felpati e non è che il frusciar dell’erba.
– Vecchio, stavolta t’han davvero acchiappato, e t’hanno preso la rivoltella?
– No, non l’aveva la rivoltella, aveva solo la carabina e il pugnale. È Max che ha risposto. Ailù sgranocchia il resto del pane duro e prende il bicchiere che Birichino gli ha versato. – Dove t’ hanno preso? Chiede dragotte.
-M’ero fermato a parlare con della gente, degli sfollati. Il mulo l’avevo legato dall’altra parte della casa, aspettavo il pane che non era ancora arrivato e non li ho visti. Me li sono sentiti dietro, la canna del maser contro la spalla. Quello con la maser ma dà uno spintone e mi fa voltare. La gente è sparita tutto di colpo, donne, vecchi, bambini. L’altro mi sfila il pugnale dalla cintura, porta i calzoni corti e anche lui ha la Maser in mano. Gira e rigira il pugnale nell’altra mano, lo fa vedere all’amico e scoppiano a ridere. Eh si, lo tengo affilato bene io il pugnale. Me lo mette sotto il naso, vuole farmi la barba, penso, invece mi dice: Tu grande bandito. Io? Grande bandito? Erano alti e grossi quei due, due colossi, neanche gli arrivo alle spalle io. Poi uno mette fuori una mano, mi prende un pugno di barba e da uno strappone, cosa intende fare, maledetto? E giù a ridere; se la spassano; sono proprio contenti. Raus, raus, ach, parlano come frustrate, come cani, non capisco ma vedo che credono di aver pescato un rospo grosso sono contenti. Uno mi da uno spintone, poi l’altro e mi fanno andare giù alla strada. Mi stanno vicino alle calcagne, uno di qui, uno di là, come Pinocchio fra i carabinieri. Loro non lo sanno, io penso, ma non mi prendono, no, vivo no che non mi prendono. Ma non c’era niente da fare ero tra due siepi, non si scappa. Alla svolta della strada vedo il ponte, penso, adesso è la volta buona, o adesso o mai più. E mi preparo. Arrivati al ponte alzo i gomiti, allargo le braccia e trac, con tutta la forza che ho gli pianto i gomiti nello stomaco a tutti e due e spingo senza mollare. Li faccio cadere all’indietro e via, faccio un salto nella cunetta e scappo…
Si ferma, fissa il bicchiere vuoto che ha in mano ma non lo vede. Rivive la sua tremenda esperienza, si vede il ponte, pensiamo, si vede di nuovo nel salto, nella fuga. Continua: – c’era una vigna, dei filari e vicino un campo di melica. Ci sfondo dentro come un toro ammattito. Le pallottole mi fischiano intorno, la melica mi arriva sopra la testa, a zigzag, la fracasso giù tutta, un disastro, una rovina; dove passo non lascio una pianta in piedi, ormai non mi ferma più nessuno. Quando sento che sono abbastanza lontano, mi volto guardare.
Quello con i calzoni corti spara ancora con la pistola, a quella distanza non mi fa paura. Ma l’altro, non è stupido l’altro. Ha messo a terra la mia carabina alzato il tac-pun e prende la mira calmo, un ginocchio piegato a terra e l’occhio al mirino. Mi viene freddo, vedo la canna che va a destra a sinistra. Piano, non vuol sbagliare. Spara, mi sembra un colpo di cannone. Ma non sto a guardare, se quello prende la mira un’altra volta mi stende secco.. ma ormai vedo che sono vicino agli alberi, e alla svolta del canale, e fuori di mira anche del tac – pun… Mentre Ailù sta parlando vediamo il mulo che sta arrampicandosi lungo la scorciatoia che taglia in mezzo il poggio. Teo lo tiene per la cavezza. Arrivati, Teo viene a fermarsi davanti a Ailù e lo sta a guardare come se vedesse un fantasma o un redivivo. Poco dopo lo nota anche Ailù e subito si fa scuro in viso.
E allora non mi hai visto? Cos’hai da guardare? Scarica il mulo dai che è meglio … Ailù è tornato padrone di sé. I due inseguitori di Ailù, con rinforzi di tedeschi dell’antiaerea, sono tornati a perlustrare e rastrellare le vicinanze dove l’avevano sorpreso. Non vogliono accettare la cattura fallita, la melodrammatica fuga del barbuto partigiano. Non trovano che civili. Come loro abitudine, nella loro impotenza, infieriscono contro terrorizzate donne ,vecchi e bambini. Li mettono al muro, li minacciano; frugano, cercano, ma senza nessun risultato. Verso sera interviene uno degli inseguitori di Ailù, convince i tedeschi ad andarsene. Nei giorni successivi tornano a rastrellare.
I tedeschi non sospettano che dalla postazione antiaerea alla base partigiana non ci sono che alcuni versanti scoscesi, poche coste di discesa. La distanza che li separa dal grande bandito che si felicitavano di aver catturato non è che di un volo di uccello.
Siamo in alto. Quassù il sole tramonta tardi.
Più in basso, lungo i canaloni e il lungo fiume, p già notte fatta. Quando le ombre cominciano ad allungarsi scende un silenzio che calma e ristora. I tedeschi hanno disarmato Ailù ma dall’incontro è tornato con il suo bisunto e venerabile vecchio capello alpino in testa. Ora se ne sta seduto su un rialzo di terreno a fianco di max. In silenzio fissano il centro del fuoco acceso. Fra di loro esiste un’affinità di idee in comune, una comune, una serietà d’impegno che non ha bisogno di parole. A Max e Ailù piace mantenere il fuoco acceso la sera e sedere, ognuno immerso nei suoi sentieri, sotto la vasta nudità del cielo.
Fra poco, improvvisa come una cortina, anche per i tedeschi scenderà la notte. Negli ultimi bagliori di luce sul versante opposto la linea delle vette dei nostri monti si delinea contro il fondo traslucido dell’orizzonte. È la stessa vista che si delinea agli occhi degli invasori, del nemico. Per noi il fatto è che Ailù è tornato, è al sicuro, almeno per ora, fuori dalla linea del fuoco micidiale tac- pun.
ROSETTA SOLARI << ROSETTA >>
LA VIGILIA
I monti: strati archeologici dove generazioni ininterrotte di gente nostra hanno svolto il loro lento destino; gente dallo sguardo immobile, asciutto come il loro magro pezzo di terra; rude clan di montanari che sui monti ha lasciato i solchi di una cocciuta ma tenace fatica. Ora e’ il. partigiano che vi lascia il suo strato archeologico. Alla luce del giorno, nel buio della notte il partigiano batte le tortuose mulattiere e i vertiginosi sentieri che conosce a memoria e vi lascia la sua traccia; sì sposta, si sgancia, torna sui suoi passi. Si aggira in arco sullo sfondo delle vette che confinano il suo orizzonte senza mai allontanarsi dal paese: fulcro, punto magnetico dei suoi movimenti.
L’andirivieni dei suoi pesanti scarponi ha pelato cocuzzoli, aperto Piste nelle lunghe distese di sterpaglia, deviato sorgenti d’acqua, sradicato sassi e rocce. Al suo passaggio ha dislocato semi, bacche, coccoli di ginepro, lanuggine di cardi. Nelle sue scorrerie e sparatorie ha disperso bossoli vuoti, cartucce, caricatori; ha nascosto armi, munizioni, bombe a mano.
Le vie del partigiano.
Tappe nel tempo e nella memoria.
Lunghe solitudini di boschi di castagni di faggi. Tane nascoste lungo i pendii all’orlo frastagliato di pascoli e campi seminati. Dal suo primo gesto di ribellione e di fuga non e’ trascorso che un anno. La somma dei suoi giorni ai monti: poco più di un anno. Per il partigiano e’ un’era geologica. Un anno, amputato dal Prima e dal dopo. Isolato come un fiore reciso fra le vecchie pagine di un libro. Una colonna in marcia e’ un’industria di memorie e di sogni. Nelle sue lunghe marce di spostamento il partigiano ritorna sul cammino percorso e, come premere sul punto esatto del ricordo, ti trova il tessuto delle sue esperienze, delle scosse subite. Quel crinale battuto dal vento a uno ricorda le interminabili ore di sentinella al campo, a un altro le ore di allarme perlustrazione, attesa.
Su quel ciglio a picco abbiamo visto avanzare la colonna silenziosa dei tedeschi da rastrellamento: l’interminabile serpente di minuscole figure umane che saliva lungo il pendio lento come in un film muto. La notte precedente bengala silenziosi avevano viaggiato il alto ad annunciare il suo arrivo. In quella cascina sbilenca dal sasso chiazzato così miracolosamente aggrappata al poggio abbiamo atteso l’alba per partire (due volte) al ponte Parabolico. Lassù ci ha sorpreso (e allarmato) la prima neve. L’interno della cascina diviso da un muro di stecche intrecciate era intonacato di sterco, la porta di solida quercia sprangata da un paletto e la finestra era un’apertura senza vetri. Sul pavimento di terra battuta sulla paglia per dormire erano stesi paracaduti di seta verde. Un mattino, meticolosamente posato sul davanzale, abbiamo trovato il cuscino di. neve morbido come un piumino e fuori la coltre bianca, inesorabile e minacciosa, che copriva ogni cosa.
Quell’aia cosparsa dei magri escrementi di galline e vicino al muro con il suo letamaio, l’indicibile odore e i. nugoli di mosche nere che si alzavano al nostro arrivo, l’abbiamo attraversata con i prigionieri del casello scortati dai sabotatori: ci ricorda la sventag1iata improvvisa dei mitra di un partigiano sventato, ci ricorda il sorriso canzonatorio sulla grinta del milite della X Mas e il contegno indifferente, sprezzante del Feldwebel tedesco che distoglie gli occhi dal vaso di basilico rovesciato dalle pallottole.
Tappe nel tempo affondate nella memoria.
Giorni brutti. Inevitabilmente. Seguiti da una manciata di giorni buoni quando il campo e’ un formicolio di entusiasmo, anticipazione, smania di agire, di provarsi. Il fronte degli alleati impennato non si muove ma le avanzate sul fronte russo oltrepassano i cento chilometri al giorno. La vittoria, la fine della guerra non sono più un miraggio. Il ritorno a casa in vista. Il ritorno a casa…avolte assume una chiarezza insostenibile.
Conosciamo anche giorni di un’abbondanza inaspettata: lauti piatti di riso al burro (da dove e’ mai scesa tanta grazia di Dio?) e oltre al bicchiere di vino un cucchiaio di marmellata da spalmare sul pane. Max era allora la nostra impareggiabile staffetta; si recava a prendere scodelle di latte dal contadino (per chi aveva i soldi); Corrado lo voleva inzuppato di zucchero e ras lo voleva riscaldato
Giorni di euforia, di allegria, di miracoli a venire. Staffette vanno e vengono.
Baffo va a provare la 20 mm. Libero vuole essere dappertutto come una chioccia che vede la sua covata spandersi ai quattro punti cardinali e si affanna a tenerlad’occhio. C’e qualcosa nell’aria. Ailù, smonta e olia la carabina, parla di lotte corno a corno. Si sputa nelle mani, strofina le palme con energia e le ripassa sul viso. Birichino e Boris seduti sullo scalino sbucciano patate , la pentola di rane fra loro, sotto il coltello ricurvo di Boris le bucce scendono e rotolano nell’acqua) Birichino parla a Ailù ma Ailù segue i suoi pensieri. Corrado curvo sullo specchietto da barba ammira i suoi bellissimi denti.
Corrado non ha l’aspetto del partigiano, non dorme col coppello alpino in testa; prima di metterlo lo spazzola con la manica e raddrizza la penna nera. Corrado non ha perduto le abitudini civilizzate: si rade, si spazzola i denti (l’unico spazzolino al campo), lustra vigorosamente gli scarponi ogni mattina. La sua divisa mimetizzata (misteriosamente) sa di bucato. Finite le abluzioni mattutine Corrado allaccia il cinturone con caricatore e pistola, alza le spalle e si da’ un colpetto alla pancia e’ pronto per la sua giornata di soldato. A cavallo, mitra alla spalla, binocoloal collo, alto in rigidità militare su Dora profilato contro il cielo, Corrado e’ imponente
Quanto ad alcuni di noi, il nostro comportamento senza forma, indisciplinato, casereccio lo offende. La nostra mancanza di riguardo per le gerarchie e i gradi, le battute di spirito e le bonario ironie che ci fanno scoppiare in irreppressibili risate denotano una mancanza di serietà sono un affronto. La linea di condotta di Corrado e’ semplice come un teorema. La sua logica altrettanto semplice: il partigiano è soldato e deve comportarsi da soldato. Il suo compito è battersi per la sua idea e vincere. Vincere non morire. La mistica squadrista che glorifica la morte e’ una stupidaggine. Il dovere del soldato e’ combattere non morire. Corrado non conosce la paura. La paura e’ una costruzione mentale e Corrado èuomo d’azione. Reduce di un’aspra e lunga campagna di Grecia, conscio del momento storico, Corrado vive il tempo—spazio storico che attraversiamo conscio della sua responsabilità. E’ vice—comandante e non lo dimentica.
Il guaio resta: il clima nell’atmosfera azzurra dei monti non è militare e le sue brusche ramanzine, i suoi buoni consigli si librano nel vuoto. Sospesi nello spazio ci prende a volte una leggera vertigine. Da una sporgenza piatta che domina i crinali ondulati che scendono verso il fiume possiamo intravedere il paese, i tetti rossi, delle nostre case incastonati come gemme fra il verde degli alberi. Stiamo fermi a fissarli attraverso i binocoli. L’occhio si aggira, cerca, strada per strada, casa dopo casa fino ad individuare il tetto di casa nostra. Il pensiero costante ossessivo fisso laggiù, alla prospettiva del ritorno. Alla prospettiva di vivere, mangiare, dormire in un letto fra due lenzuola di bucato. Sentiamo che queste case si sono fatte all’improvviso estranee, ostili. Alcune ospitano il nemico, siamo esclusi, diseredati. Case razziate, indifese, camere dalle imposte chiuse che segnano i nostri confini dove abbiamo imparato tutta la gamma biologica degli affetti, ora abbandonate anche dai nostri familiari anch’essi scappati ai monti.
I caccia bombardieri, Mustang e Fortress americani di giorno, gli Spitfire inglesi di notte infieriscono contro il ponte ferroviario. Quel brutto moscone di Pippo, torna e ronza testardamente giorno e notte. A volte lo seguiamo col binocolo: fa giravolte, prende quota verso la Capanna, si getta di picchiata attraverso il ponte. La notte ronza in cerca del più umile spiraglio di luce per gettarsi e mitragliare. Poi riparte. Lungo il greto del fiume restano i grossi buchi delle bombe che si riempiono d’acqua, al centro del paese davanti alla chiesa, frastagliata come una ferita, resta desolazione delle case distrutte.
La vigilia dell’ultimo attacco: l’azione finale che ci riconduce al punto dal quale siamo partiti. Il paese. Stavolta per distruggere e liberare. È uno strano senso di sdoppiamento, la congiunzione alla quale siamo arrivati ( quelli di noi che ancora vivono ). La realtà che abbiamo condiviso in un collettivo impegno, i propositi realizzati e quelli non realizzati, il rimpianto di quello che abbiamo fatto e non abbiamo fatto, tutto quello che ci ha sconfitto.
I ribelli si sono fatti uomini, soldati.
Nuovi capitani di ventura, irriconoscibili, portano il segno della loro esperienza; una nuova identità che i. nostri familiari stessi avranno difficoltà a registrare. D’aspetto selvaggio, capelli grumosi di uova e pidocchi, divise ibride di tutti gli eserciti, scalcagnati scarponi dal cuoio secco… sovraccarichi di bandoliere e cinturoni, armi leggere e pesanti, bombe a ……. domani, arma imbracciata, faremo fuoco contro le nostre case… Giovanni e Ras dietro il mortaio, Sceriffo alla Bazooka, Gomel, Tigre, Renzo, Lino, Leone, Garibaldi… mitra, sten, carabina, Bren, f.m., puntati in direzione delle nostre case…
Cumuli di nuvole si addensano sopra il Molinatico. Dietro le ampie curve dei monti il cielo resta terso di una trasparenza grigio—ostrica. Attorno alla cascina seduti alla rinfusa su rialzi del terreno alcuni ripuliscono il fucile, altri canticchiano distratti. Intorno la terra battuta dai chiodi dei nostri scarponi mostra il fondo ghiaioso e calcareo ripulito dell’ultimo filo di vegetazione. Un frammento di canto resta sospeso come un filo teso, invisibile nell’aria; una voce afferra la linea melodica e ti mette a cantare. Subito, alzato il capo, smesso il lavoro delle mani, altre voci si uniscono al solo: un coro profondo, strascicato lento come una nenia. Il pieno volume di voci maschie trabocca stupendamente nel tradizionale canto friulano… Nella struggente nostalgia degli alpini, si tu vens casù ta’ cretis, là che lor mi an soterat.. il canto si alza nella solitudine dei monti, rompe il silenzio.., al è un plaz plen di stelutis
dal miò sanc l’è stat bagnat
par segnìl una croste
iè scolpide li tal cret
fra ches stelis nàs l’atbute
sot di loro jo duar cuièt…..
L’ A S S A L T O
8 aprile, ore 4:00.
Finalmente e’ arrivato l’ordine, il giorno atteso.
Gli alleati stanno per sfondare la linea gotica. A Gravago, presenti i capi partigiani e ufficiali alleati, il 3 aprile il C.U. stabilisce il piano d’attacco su vasta scala e collega le azioni delle varie Brigate. Compito della 1a. Julia L’ eliminazione del Presidio di Borgotaro.
Sottinteso:attacco e occupazione del paese, ritorno a casa.
Completati i piani di attacco Libero ne manda copia (SEGRET0) a ogni distaccamento. Tutto e’ disposto e prospettato: il giorno e l’ora, i distaccamenti impegnati e di riserva, le postazioni, le armi e munizioni. Tutto. Ma come in ogni piano mortale subentra l’elemento umano, l’imprevisto: un partigiano chiacchierone e una donna compiacente a contatto con il nemico. I tedeschi sono avvisati e prendono provvedimenti; mancherà il fattore sorpresa. Da ogni loro avamposto, case Borzoni, Polledri, Bosi, Piscina e Beccarelli i tedeschi si spostano alla sede del comando, casa Ostacchini. Gli addetti alle ferrovie da casa Necchi si rifugiano in Stazione.
Per le strade neanche una pattuglia.
Neanche il tempo sembra essere dalla nostra parte. Durante la notte una pioggia sottile e insistente ostacola i movimenti. Raffiche improvvise di un vento freddo, il cielo coperto e la scarsa visibilità ritardano l’azione dei distaccamenti appesantiti dalle armi e munizioni.
Non alle 4:00 come deciso ma alle 5:30 scoppia .il segnale convenuto:
il primo colpo di mortaio dalla Capanna.
(Sentiremo più tardi che questo primo colpo resterà quello meglio centrato. Giovanni e Ras si rallegrano, ma resterà il colpo più vicino ai bersaglio. Il terreno molle di pioggia è ridotto a un pantano viscoso; il mortaio ad ogni colpo sparato affonda sempre più e rende sempre più difficile controllarne la direzione..) Se per noi il colpo di mortaio è il segnale che aspettiamo, per il nemico invece deve servire da avvertimento, (almeno così speriamo) un avvertimento di sfidai vuoi dire, ecco i ribelli in pieno ordine di battaglia, addestrati e disciplinati
Infatti al fuoco dei due mortai (13 scariche in poco più di mezz’ora) segue impaziente, impetuosa la sparatoria delle armi automatiche. All’unisono, Bren, Breda, f.m., da ogni parte, da casa Botti, dal Poggio, dalla cascata sopra il canale, dal Molino dell’Aglio, dal vecchio castello. E’ un fischiare, abbaiare, mitragliare al quale da casa Grossi si aggiunge il contrappunto assordante della Bazooka. Dimenticato il sacro concetto del risparmio delle munizioni, come se si volesse con il semplice volume del fuoco convincere il nemico su due piedi alla resa immediata.
Coperti dal nostro fuoco Napoli e due sabotatori escono, carponi s’infiltrano sotto il reticolato che divide il Presidio da casa Necchi e, strisciando verso il retro, piazzano la carica esplosiva. (Una manovra che dovranno ripetere una seconda volta, la miccia non si accende e neppure la seconda carica esplode.) Protetti dalla Breda sul Poggio, sei di noi dalla strada del Tram entriamo alla Centrale Elettrica; ci avviciniamo a un lungo fabbricato a un piano e serpeggiando attraversiamo lo spazio allo scoperto fino al muro di cinta a casa Terroni. Il muro è basso e qui resteremo accovacciati, bloccati per ore.
La sparatoria dei nostri e’ intenta a spazzare ogni visibile fessura del Presidio dal quale il nemico può far fuoco. Sono raffiche contro un nemico invisibile, si spara contro persiane socchiuse, spessimuri di cemento; finestre a balconi e un ballatoio che sembra essere una barricata di grossi travi. Da-da-da fa’ la Breda dal Poggio. Da-da risponde Barbaro con il Bren da sopra la cascata.
Ma da casa Ostacchini il nemico non spreca munizioni; appostato, aspetta un bersaglio, lo prende di mira e spari. (In mattinata dalla stazione un franco tiratore prenderà di mira e colpirà uno dei nostri sul ciglio del versante al cimitero.) Sentiamo a volte il sibilo staccato, il suono inconfondibile del tac-pum. A intervalli il fuoco cessa, riprende, s’incrocia col fuoco nemico, cessa di nuovo. Immobilizzato dietro il basso muretto, la carabina inutile ai piedi,Ailù si sfoga a parole; col passare delle ore le sue invettive si fanno sempre più fiorite. —Razza… siete in trappola, siete nel sacco, cosa aspettate, razza… ma cosa aspettate?
(Il piano d’attacco ha funzionato in pieno alla stazione. I. tedeschi si sono rifugiati nelle cataste di legna della F.N.E.T. e sono stati sta— nati e fatti prigionieri dal gruppo di Gomel.)
Al Comando nella cucina di casa Grossi il pavimento e’ cosparso di bossoli vuoti; Libero, Corrado e Lino, esaminate e discusse le fasi della giornata, decidono a tarda sera di far cessare il fuoco. Non resta che postare pattuglie di perlustrazione, assicurarsi che protetti dalle tenebre della notte i tedeschi non riescano a sgattaiolare fuori del Presidio. I tedeschi non hanno scelto a caso il loro quartiere generale. Casa Ostacchini è fra le case intorno la più alta più solida. Costruita contro lo schianto delle stagioni sembra fatta apposta per resistere a tutta la batteria delle nostre armi. Sul davanti tre file di pesanti balconi sovrapposti le danno l’aria di un casermone, un bunker. Situata a metà strada fra i due ponti, quello del Tarodine e quello di San Rocco, dove la carrozzabile fa gomito ma non esattamente alla svolta, è in posizione strategica con una vista ininterrotta dei due rettilinei di approccio.
La torretta sul tetto deve aver fornito ai tedeschi un invidiabile panorama: il paesaggio impareggiabile di colli e colline, valli e versanti e di partigiani armati che comodamente salgono e scendono i costoni e i crinali scoperti. Stamattina il Presidio è tranquillo. Inespugnato e minacciosamente silenzioso. Il cielo buio coperto da una sbrandellata ragnatela di nuvole basse. Il nemico al coperto ma bloccato. Ma anche noi siamo bloccati, e allo scoperto. Questa la considerazione di Libero stamattina, il problema: come farli uscire?
All’alba Libero si spinge carponi lungo il fossato fra la strada e il muro parallelo alla strada, sopra la sua testa il fuoco da casa Grossi lo protegge. Si muovelentamente; s’accorge che qualcuno lo segue, si volta e riconosce Bomba, anche lui con il mitra in pugno, carponi. Proseguono e, arrivati a casa Necchi, si alzano in piedi. Davanti a loro sul muro e’ lo stesso reticolato che i sabotatori avevano alzato per penetrare al Presidio.
Tiriamolo giù, dai, Bomba, suggerisce Libero — attaccati a quel palo. Spingono, scuotono e sentono che cede. L’intero reticolato casca a terra d’un pezzo. Soddisfatti, gli sembra di aver fatto qualcosa; aperto una breccia, tolto un ostacolo e un pò spavaldi e senza fretta si voltano per tornare, ora non più carponi ma calmi e ben in vista. Arrivati al Comando trovano l’atmosfera completamente cambiata. Il loro gesto ha galvanizzato, tutti, e tutti vogliono uscire. —Mettiamo una carica più pesante, dice Napoli, —andiamo, farà scoppiare a catena anche le altre due.
Quando scoppia non lascia dubbi che la carica o cariche hanno funzionato: uno scoppio tremendo, un rombo di tuoni a ripetizione. L’intero edificio di sicuro sradicato dalle fondamenta spesse nuvola di polvere e fumo si alza. Quando si dirada dal piano terreno sventola un panno bianco da una finestra.
-Bravi, si arrendono.
– Si e allora…, cosa aspettano, brontola Libero, — che siamo noi che andiamo a prenderli?
Il portone d’entrata, sollevato dallo spostamento d’aria, e’ stato scaraventato attraverso la strada. I due magnifici battenti di legno scolpito sono a terra in pezzi; dalle finestre scassate, dal pavimento crollato sale ancora della polvere,ma nessuno si fa’ vedere. Altri panni bianchi sventolano dalle finestre. Come sempre siamo eccitati, tesi e impazienti. nella tensione che ci carica nell’azione siamo noi che usciamo per strada. Libero ha in mano il megafono. Siamo all’angolo, sparsi a ventaglio. -Gli diamo la resa in tedesco, che vengan fuori…. Libero alza gli occhi e da una finestra del secondo piano vede gettato fuori un grappolo di bombe a mano. – Giù a terra, a terra, grida. Si getta attraverso la strada, rotola all’orlo e scivola per la scarpata. Noi corriamo avanti, ci gettiamo terra sotto i balconi. Io premo forte le mani sulle orecchie, apro la bocca lo scoppio e’ assordante. E adesso tutto e’ confusione; come per incanto partigiani sbucano da tutte le parti, spingono; tedeschi con le mani sul capo escono, sono urtati ; si vuole vedere, attraverso il vano dell’entrata s’e’ aperta una voragine, fra il fumo, la polvere, le macerie della calce, putrelle, vetri rotti si vedono divise che si muovono nella penombra della cantina: i tedeschi sorpresi dal crollo del pavimento. La scala contro il muro resta in parte sospesa nel vuoto. Il comandante sta scendendo, si ferma a metà scala, slaccia il cinturone della pistola e la consegna…
Il tenente non e’ affatto come ce l’aspettavamo. Parla a voce bassa, pacata. Vuoi comunicare, vuoi fare un elogio a Libero per la strategia, (si preoccupa ch’io traduca esattamente)—ho visto, dice, ho visto l’accerchiamento, gut – gut, fissa Libero che sta in silenzio inutilmente modesto. Il tenente e’ alto, un viso austero, sbiadito. Il gesto della mano, i modi, la cortesia contrastano, rafforzano l’aspetto teutonico degli altri prigionieri. Sembra sollevato che sia tutto finito, si guarda intorno con curiosità. Il suo sguardo passa da un partigiano a un altro, si ferma su. Ailù. — E’ lui, Fraulein, l’ho visto avanzare, bitte. Si slaccia l’orologio dal polso so che mi verrà tolto, bitte, vorrei fosse lui ad averlo. Spiego ad Ailù. — Prendilo, dai, ringrazia, di’ danke, danke schön, Ailù.
Biografia del partigiano BIGLIARDI Eugenio << Cranio >>
caduto per la Libertà
Il 22 maggio 1924 nasceva a S.Polo d’Enza ( in provincia di Reggio Emilia ) Bigliardi Eugenio da Francesco e da Figlioli Maria. Era il quarto figlio. Prima di lui erano nati. Nel 1918 una sorella morta a soli 8 mesi, nel 1919 il fratello Giovanni e nel 1920 un’altra sorella. Il padre, operaio, aiutava la madre ad allevare i giovani figli ad una vita di saggezza e di lavoro. Nel 1929 ad Eugenio nasceva un altro fratello. Giacinto. Eugenio visse a S. Polo sino al 1931, anno in cui la piccola famiglia veniva colpita da un doloroso lutto per la perdita del padre.
Nello stesso anno la famiglia Bigliardi si trasferiva a Mariano di Traversatolo. Quivi Eugenio continuava a frequentare le scuole elementari e mentre di sera studiava, il giorno lavorava come apprendista da un falegname, per aiutare la madre nella non semplice bisogna di sostenere la povera famiglia. La professione di falegname, inizia in così tenera età, diveniva per lui un artigianato tanto era la sua passione per questo lavoro. Da mariano la famiglia si trasferisce nel 1938 a Cornocchio di Golese e nel 1939 presso l’Azienda Frigorifera merli.
Nel 1940 Eugenio si sobbarcava completamente il mantenimento della famiglia venendogli a mancare il fratello maggiore. Ad Eugenio, debole di costituzione, veniva rimandata la prestazione al servizio militare. Ciò però non gli impediva di entrare a far parte, il 9 maggio 1944, della << 1ˆ Brigata Julia >> e precisamente del gruppo << Taras >>, assumendo quale nome di battaglia << Cranio >>. Al rastrellamento di Luglio, dopo aver partecipato al combattimento di Lozzola a varie scaramucce coi tedeschi, ritornava a casa con un altro compagno d’armi e qui vi rimaneva nascosto per una quindicina di giorni, dopodiché ritornava al suo Gruppo.
Qui partecipava a varie azioni di guerriglia e a cattura di nemici e anche all’importante combattimento di Valmozzola, il 29 settembre. Dal Penna al Montagnana, da Montagnana a Solignano e Pessola da Pessola di Varsi egli portava il sorriso della sua bella giovinezza, recava la goliardia e il coraggio dei suoi ventenni.
Egli era sempre tra i primi all’inizio del cimento e tra gli ultimi alla fine della lotta. Col suo << sten >>, pantaloni mimetizzati e berretto tedesco ornato di nastro tricolore, Egli affrontava spavaldamente il nemico come se avesse tra le mani una arma imbattibile. Ai primi di Novembre. Mentre si trovava in servizio a Varano Melegari, per un’azione di sorpresa da parte di tedeschi, veniva catturato assieme ad altri Partigiani e civili e veniva condotto a S. Andrea di Medesano. Per alcuni giorni subiva umiliazioni e percosse, il freddo e la fame, ma fortunatamente veniva tosto liberato in seguito di scambio di prigionieri.
<< Ad ore 5,30 del 17 del mese di Dicembre dell’anno millenovecentoquarantaquattro a seguito a combattimento è deceduto in Tramonto ( Solignano ) il Patriota BIGLIARDI Eugenio ( CRANIO) figlio di Francesco e della Giglioli Maria nato a S. Polo D’Enza ( Reggio Emilia ) il 22 maggio 1924 già effettivo al battaglione << Gardelli >>.
La salma è stata tumulata nel cimitero di Pellegrino Parmense del Comune di Pellegrino Parmense – Provincia di Parma – il giorno 19 dicembre 1944.
Il giorno 17 dicembre 1944 alle ore 5,30 reparti tedeschi per una forza complessiva di circa 150 uomini, effettuavano un colpo di sorpresa sul Distaccamento << Bassani >> del Battaglione << Gardelli >> dislocato a Boio e Tramonto ( Solignano ) occupando la suddetta località. Il Patriota Cranio era di sentinella alla squadra dislocata a Tramonto veniva colpito da numerose raffiche mentre sparava tre colpi d’allarme convenuti, salvando con il sacrificio della propria vita il resto del Distaccamento >>. Queste sono le parole del Verbale di decesso e bastano per illuminare la figura di questo bravo Partigiano che cadeva nell’adempimento del suo dovere.
Col suo gesto Egli salva tutto il Distaccamento che veniva così messo in allarme e preparato alla difesa. Giovane cadde, ma sempre giovane rimarrà il ricordo di Lui nella memoria di chi Lo conobbe e la madre Patria Lo amerà come uno dei suoi figli migliori.
EZIO PADOVANI << FUFFO>>
Biografia del Partigiano GARDELLI Guido << Tornerò>>
Caduto
Gardelli Guido di Giacomo nato a Neviano dei Rossi il 6- 1- 1923 caduto il 13 giugno 1944 in seguito a ferite riportate ricevuta il giorno 10 giugno 1944 nelle vicinanze di Castellonchio. Nome di battaglia Tornerò. Il Gardelli si era staccato in località Pagazzano da una squadra che rientrava da una missione. Alla sera del 10 nella medesima località un’altra squadra che aveva per obiettivo l’assalto al posto di osservazione antiaereo di Castellonchio. Dopo varie ore di cammino nei boschi la squadra giungeva in località Cavazzola, dove si trovava la casa del Comandante dell’avvistamento di Castellonchio, con l’intento di catturare il sunnominato, fascista famoso, noto delinquente temuto ed osteggiato in tutta la zona.
La casa di Giana Saloia, situata sulla strada nazionale Parma – Spezia veniva circondata e, in seguito a forzamento della porta, tre patrioti, fra i quali si trovava il Gardelli, vi irrompevano per effettuare la cattura. Sfortuna volle che proprio quella sera, contrariamente alle proprie abitudini, il Giana si trovava al presidio di Castellonchio e i patrioti, prestando fede alle assicurazioni della moglie e delle figlie, operavano una perquisizione nella casa, credendo che in essa non fossero rimasti nemici. A perquisizione compiuta, essi stavano per lasciare la casa, quando uno dei patrioti, il Vanni veniva l’idea di guardare bene nella camera da letto dove, data l’oscurità, la perquisizione non era venuta molto minuziosamente. Consegnata la propria arma al gardelli, si abassava per guardare sotto il letto facendosi illuminare dalla figlia del Gianna che a un ceto punto spegneva la candela: ritrovano allora nell’oscurità due colpi di pistola partiti che colpivano il vanni in pieno petto.
Per fortuna la pallottola veniva fermata dai caricatori dello Sten che erano portasti in quella posizione. Per l’oscurità e per il fatto che i due patrioti nella camera erano virtualmente disarmati, essendo uno senz’arma, l’altro impedito dall’arma del compagno e dalla propria si veniva a generare orgasmo e confusione in essi che, vistisi alla male parte cercavano di uscire dalla porta. Ma un altro colpo di pistola colpiva il Gardelli al ventre, il comandante che si trovava fuori della casa, accorreva ai colpi nei presi della porta ed aveva agio di vendicare il compagno scaricando la propria arma a bruciapelo sul feritore, che, resosi imbaldanzito, inseguiva il Vanni e il Gardelli sulla porta. Il feritore risultava un tedesco che al momento dell’irruzione dei patrioti in casa si era calato sotto il letto. Il Gardelli attraversa la strada, stramazzava nel campo sottostante. Il comandante preoccupato per la sua ferita, lo soccorreva ordinando alla squadra di sospendere l’azione per il pericolo del sopraggiungere di pattuglie o macchine tedesche e si decideva al trasporto del ferito che, in condizioni pietose, veniva ricoverato in una casa a qualche chilometro di distanza. Impartite disposizioni per il rientro della squadra in sede di distaccamento, il comandante si interessava personalmente di vegliare il ferito per tutta la notte e la giornata successiva e procurare un mezzo di trasporto requisendo una macchina sulla strada nazionale stessa. Alle sei del giorno dopo il Gardelli, visitato da un medico, presentava sintomi mortali di peritonite e veniva trasportato in una clinica a una trentina di chilometri di distanza che prestava con encomiabile spirito il proprio aiuto in casi consimili. Costatato però l’inutilità di tentare un operazione, dato che il Gardelli aveva trapassato il fegato, il colon, l’intestino tenue e la vescica, veniva rispedito a casa propria dove, assistito dai genitori, il giorno dopo spirava con fiere espressioni patriottiche sulle labbra. Il funerale veniva effettuato il giorno 14 con grande concorso di popolazione, malgrado che il paese fosse in zona strettamente sorvegliata dai fascisti e dai tedeschi. L’azione sfortunata era stata diretta personalmente dal comandante di distaccamento Tarass. Il tedesco era visto transitare il giorno dopo cadavere su un camioncino diretto a Parma.
Dopo questo fatto la famiglia Giana abbandonava la casa trasferendosi in altre località dell’Italia settentrionale, il presidio di Castellonchio veniva immediatamente smobilitato.
(MEMORIE DI UN COMPAGNO DI LOTTA )
Biografia del Caduto Partigiano GRASSI Oreste
( Silla )
Nato a Collecchio il 28/1/1920 da Eugenio e da Rosa Lanfranchi ha condotto sempre una vita onorata di sobrio e tenace lavoratore, conosciuto per la sua onestà, e sostenne in seguito della morte del padre l’intero peso della sua famiglia. Noncurante delle preghiere della madre e sorelle compì l’inerpicata salita dei monti il 9/5/1944 e con noi condivise le buone ma molto spesso le cattive sorti del partigiano. Era componente di quella famosa squadra di 12 uomini, di coloro che divennero poi i gloriosi e sfrenati assalitori della 1ˆ Brigata Julia. Nei combattimenti di Varsi, Molinatico, Ossola, Borgotaro, Montagnana, Valmozzola e Tramonto fu sempre presente. Nei nostri irruenti assalti sostenne con calma la foga rabbiosa tedesca. Così sino ai giorni freddi e nevosi del gennaio 1945.
Era una di quelle belle sere stellate di maggio, quando un gruppo di giovani collechiesi, nauseati dai metodi repubblicani, si portava nei pressi dovuti per l’incontro con colui che doveva guidarci fino al Monte Barigazzo: il covo e la dimora aperta di pochi partigiani. Lunga è stata la nostra prima marcia in montagna e quanti erano i nostri timori e pensieri. Come ci potevamo infatti figurare << Ribelli >>?!?
Era con noi anche Sila. Con noi fu anche catturato anche una prima volta, nel Dicembre 1944, dai barbari invasori, sottoposto alle più immane torture il suo animo fortissimo aveva resistito per non danneggiare i compagni, pronto a morire pur di non pronunciare una sola parola utile al nemico. Fosti cambiato con i prigionieri tedeschi, ma non dovevi vedere il giorno della vittoria e ritornare al tuo pacifico lavoro.
Forse la Befana non è molto propizia agli uomini come ai bimbi. Il 6 gennaio 1945 ebbe inizio il potentissimo rastrellamento da parte di coloro che poi nell’Aprile piegavano paurosi la testa come domandandoci scusa e perdono, da parte di coloro che torturavano e non gli permise di riabbracciare la mamma. Furono giorni di pena, di fatiche inesplicate che solo può capire chi sopportò sui monti quei giorni di bufera infernale. La 1ˆ Julia combatté per circa12 ore contro il sempre crescente numero dei rastrellatori finché , come maledizione di Dio, giunse l’ordine sganciamento. Il nostro forte Sila si caricò abbondantemente di armi.
Dopo il primo giorno, esauriti dalle fatiche, si nascosero le armi tenendo con noi solo quelle piccole armi necessarie per la difesa dei nostri corpi. La nostra squadra pattugliava sempre in testa, instancabilmente, finché pressati da tutte le parti pensammo come risoluzione migliore di arrangiarsi.
Un caldissimo abbraccio senza parole è l’unico ricordo che ci rimane del nostro compagno che ora manca all’appello dei suoi famigliari e dei suoi amici. Il 9 gennaio gli assassini che insozzarono il glorioso grigioverde del Carso ti catturarono insieme ad altri nostri compagni presso Prelerna di Solignano. Coerenti con la propria bassezza e con la propria barbaria, spregiando la più elementare regola di diritto i nemici ti uccisero ad Alberi di Bigatto il 20 gennaio 1945.
Cercheremo o indimenticabile compagno che il tuo sacrificio non sia stato vano. Anche se esso poca cosa sarà nei riguardi del corso della Storia e del raggiungimento di una superiore Civiltà, tu potrai essere certo di aver conquistato il nostro cuore, di aver gettato nell’animo nostro quei germi di bontà e di giustizia secondo i quali tu avevi concepito la vita.
( MEMORIA DI UN COMPAGNO DI LOTTA )
