IˆDIVISIONE PIACENZA CALZA DON UGO

Nato nel 1917, è attualmente Parroco a Maiano di Podenzano. Nel 1944 si dedicò in qualità di Cappellano delle formazioni partigiane operanti sui monti della Val Tidone, della Val Trebbia e della Val Nure, con il nome di «Don Terzo »; a cui era stato destinato dal Delegato Vescovile. Si prodigò nell’assistenza dei reduci dai campi di concentramento, che venivano ricevuti nella casa di accoglienza per loro stabilita nella villeggiatura del Collegio Alberoni a Veano. Figura di grande spicco del movimento di resistenza cattolico.

Relazione di Don U go Calza al Cappellano Capo, Mons. Ugo Civardi.

l° PERIODO: presa dei contatti ufficiali coi vari distaccamenti che visito regolarmente (preannunciato da avviso) ogni 12 giorni cammi­nando giornalmente allo scopo dalle 6 alle 7 ore a piedi, data l’impra­ticabilità dei luoghi e la scarsità dei mezzi. In compenso a tante fatiche notai sin dall’inizio che i sacrifici era­no ricambiati da simpatie e nulla più, come pure notai con dolore che precedentemente idee deleterie si erano già aperta larga strada. Durante le mie visite cercai di mettermi al contatto diretto coi Pa­trioti, con la popolazione civile, e soprattutto coi Parroci locali per conoscere quali erano le deficienze e le necessità morali maggiori per prenderne argomento nelle spiegazioni Evangeliche e nelle raccoman­dazioni generali e particolari.

Con particolare insistenza cercai di incitarli al compimento disci­plinato del proprio dovere, distogliendoli da sentimenti di odio, di vendetta e di violenza arbitraria. I prigionieri furono giornalmente visitati e confortati da me tanto più che fin dall’inizio dovetti accorgermi che erano oggetto di continui atti di violenza. A questo scopo dopo lunghe pratiche ottenni dal Comando Divi­sionale l’emanazione di ordini severi coi quali si esigeva dai Patrioti che fossero trattati umanamente e rispettati nella roba di loro pro­prietà. L’Infermeria pure era oggetto delle mie visite; tanto nell’Infer­meria quanto nel Carcere introdussi l’uso ed incaricai uno, in mia as­senza, per la recita del Rosario.

 2° PERIODO: dopo il periodo di contratto intrapresi il lavoro for­mativo; lungo, difficile, pieno di ostacoli, perché si doveva combatte­re con idee già inveterate e con uomini saturi di odio e di bramosia di vendetta. Allo scopo intensificai le visite ai Distaccamenti dei Patrioti ed ai prigionieri; fin dagli inizi del novembre 1944 cercai di prepararli de­gnamente alla celebrazione della festa dell’Immacolata distribuendo nel frattempo immaginette e medaglie (900) con nastrini tricolori (tut­to a mie spese). La celebrazione della suddetta festa non si poté fare come era nelle previsioni, perché alla fine di novembre dovemmo subire il più grande e più feroce rastrellamento dalla Divisione.

 3° PERIODO: il rastrellamento ebbe inizio il 22 novembre 1944 con piani di proporzioni impressionanti. Restai in sede nonostante i colpi di mortaio intensificassero ogni momento più la loro azione anzi mi spinse alle prime linee dove a quanto si diceva giacevano feriti gra­vi che non mi riuscì a trovare; circondato e fatto segno di bersaglio riuscii con l’infermiere ad uscire dal cerchio e ritornare in sede ove già arrivavano i primi feriti. Nel frattempo giunse l’ordine di spostare i feriti ed i prigionieri. Vista l’impellente necessità e prospettatala al Comando presi la de­cisione di seguire i prigionieri ed i feriti, di questi alcuni decedevano durante la lunga e faticosa marcia muniti però di tutti i conforti re­ligiosi. . Coadiuvai per varie settimane il medico nel difficile compito di in­canalare i feriti sulle slitte sotto la neve o la pioggia, di provvedere alloggi e vitto oltre all’ assistenza spirituale agli stessi.

I prigionieri invece dopo alcuni giorni presero direzione opposta per cui li perdetti di vista e solo saltuariamente avevo la possibilità di incontrarli.. Profondo fu il rincrescimento nel doverli abbandonare, tanto più che ero a conoscenza dell’ordine di fucilarli piuttosto che lasciarli cadere nelle mani del nemico; confessai però e comunicai con prudenza alcuni che sapevo essere in pericolo di vita prima  di se­pararci.” . Deploro l’assenza assoluta di altri cappellani durante il rastrella­mento perché mi risulta che alcuni prigionieri, conforme agli ordini, durante questo periodo doloroso furono soppressi senza assistenza religiosa data l’assenza o l’impossibilità.

Il fatto che fui il solo a seguire la sorte dei rastrellati fu rilevato dal Comando Divisionale il cui Comandante si espresse (con lettera che conservo) in questi termini precisi: «Solo fra tutti i Cappellani don Ugo Calza seguì il doloroso viaggio della colonna dei feriti attraverso peripezie e rischi ai quali nessun altro aveva avuto la forza di sacrifi­carsi ecc.» Firmato Fausto. Arrivato nel genovesato coi feriti fu eseguita una sentenza capita­le contro una spia (reo confesso) che fu da me assistito, e risultando­mi poi che era stato inumato in un bosco opposi forte resistenza per­ché si provvedesse al trasporto nel cimitero più vicino; ai dinieghi provvidi io stesso vincendo la contrarietà dei Patrioti e la paura dei civili.

Il disgraziato era in possesso di carta di identità falsa per cui non fu possibile identificarlo (si trova nel cimitero di Rompeggio). In questo periodo di disordine si aggrega abusivamente e, consen­ziente il medico della Sezione di Sanità, con poca edificazione dei ben­pensanti, una donna di fama macchiata, il medico stesso vende vergognosamente e senza un palese bisogno tutto quanto era in dotazione della sezione (medicinali, cavalli, calesse). Indotto da queste azioni vergognose che erano di quasi pubblica ragione, non senza proteste antecedenti mi stacco dalla sezione mede­sima; sennonché due giorni dopo mi giunge la notizia che lo stesso me­dico aveva dichiarata sciolta l’infermiera e si era allontanato con la sopraddetta donna.

Ritornai allora alla sezione e indirizzai i pazienti che erano in gra­do di camminare al più vicino comando di Patrioti al quale chiesi mezzi per poter trasportare in luogo più sicuro i restanti essendo io assolutamente privo di mezzi finanziari. Il ritorno fu storia di fame, freddo e di inseguimenti. Durante il rastrellamento qualche incaricato dell’U.P.I. notifica all’ Ufficio Provinciale la mia presenza nelle formazioni Patriottiche per cui la conseguenza fu: perquisizione nella mia abitazione, in quella della famiglia con conseguente svaligiamento e cattura del babbo e di una sorella che grazie alle cure di persone care furono poi lasciati in libertà. Se a questo si aggiunge che durante il rastrellamento nella mia se­de tutto il corredo mi fu asportato dai mongoli si potrà capire quale era il mio stato.

4° PERIODO: ritorno in zona conosciuta premesso che il periodo di sbandamento dovuto al rastrellamento ed al continuo inseguimento durò un mese. Vista l’impossibilità di rimanere con la dimora nella zona del genovesato e sulle montagne dell’ alta Val Nure e Val Treb­bia e la scarsa produttività dei luoghi; la mancanza di denaro (non avendo mai avuto né stipendi né compensi di altro genere) e che il rastrellamento investiva ancora, decisi il ritorno di notte guadando il torrente Trebbia in piena, sorvegliato notte e giorno dai mongoli.

5° PERIODO: ordine: polverizzarsi; dopo pochi giorni ripresi i con­tatti con il superstite comando che con decisione unanime diede l’or­dine di polverizzarsi data l’abbondante e continua nevicata (in parec­chi posti superava il metro), la scarsità di viveri, la scarsità di mezzi, armi ecc. In questo periodo doloroso e particolarmente cruciale restai con gruppi isolati che non avevano la possibilità di raggiungere le loro abi­tazioni condividendo con i medesimi stenti, fatiche ed ansietà perché le puntate nemiche erano continue avendo avuto segnalazioni della no­stra presenza. Molti furono i Patrioti catturati in questo doloroso periodo. Fra tanti strazi fu particolarmente sentita la festa del Santo Nata­le in cui alla presenza dello stesso Fausto comandante la Iª Divisione « Piacenza» e di tutti gli altri celebrai la santa messa in una chiesetta poco lontano da un presidio di Repubblicani e di mongoli.

N. B.: mai un giorno tralasciai la celebrazione del Santo Sacrificio no­nostante i pericoli e disagi.

Intanto la neve cade sempre più abbondante e i rifornimenti vive­ri sono finiti. Prendo allora la decisione di recarmi in pianura con due uomini per fare una raccolta di generi alimentari spontaneamente e gratuitamente offerti da buone persone, e, non senza rischi, ritorno con il prezioso carico fra gli sparuti Patrioti.

6° PERIODO: a riposo per esaurimento, e ripresa dell’organizzazio­ne. Le fatiche e le privazioni avevano minato il mio fisico per cui sen­tii il bisogno di ritirarmi in luogo appartato per 15 giorni, passati i quali e diminuiti i rigori e l’inclemenza dell’inverno, il Comandante dà ordine agli Ufficiali di riorganizzarsi. Nel periodo ricostruttivo gli scambi, opera laboriosa, sono assegnati quasi esclusivamente al sottoscritto che dopo pratiche faticose riesce a riavere in varie riprese circa 50 Patrioti restituendo pari numero tra tedeschi e repubblicani.

7° PERIODO: ritorno alle posizioni precedenti – Pasqua del Ribelle.

Ai primi di marzo 1945 iniziano le operazioni militari e si espu­gnano i presidi di Pianello – Nibbiano ecc. Il sottoscritto sta sempre presente per l’assistenza religiosa; le puntate fasciste e tedesche ai no­stri presidi sono diminuite. Inizio allora la visita regolare dei distaccamenti che hanno ripreso le antiche posizioni per prepararli all’adempimento del precetto Pasqua­le, incurante dei disagi e delle distanze. La preparazione al Precetto Pasquale era costituita da conferenze successive per circa una settima­na per ciascun distaccamento, seguiva poi l’adempimento del Precetto stesso in alcuni luoghi con la messa cantata dagli stessi Patrioti e dappertutto in modo soddisfacente con in prima linea il rispettivo coman­dante. Fatto quest’ultimo che ha suscitato le simpatie e l’ammirazio­ne della popolazione.

All’uopo distribuii uno speciale ricordino. Fu ancora in questo periodo che il medico mi ordinò riposo asso­luto per un mese (per fatto bronchiale e sfregamento pleurico) ma do­po una settimana ripresi senza disturbi il lavoro intrapreso spingendo­mi anche in altre Brigate rimaste senza assistenza religiosa dopo il ra­strellamento. Ricevuto l’ordine di scendere in città con soddisfazione potei assi­curare che tutti i Distaccamenti alle mie dipendenze avevano adem­piuto al Precetto Pasquale.

8° PERIODO: discendendo verso la città. Alla fine di aprile si rice­ve l’ordine di occupare nuove posizioni più avanzate per avvicinarsi al­la città, durante questi spostamenti sono sempre nei posti ove è più probabile la necessità della mia presenza impedendo dai centri occupa­ti per quanto era possibile ogni atto di violenza, di giustizia sommaria da parte dei Patrioti contro tedeschi e fascisti; sono vari gli individui che possono assicurare di dovere la salvezza alla tempestività del mio intervento; degno di nota è il fatto che un gruppo di patrioti puntò le armi con intenzioni tutt’ altro benevole al sottoscritto perché si oppose ad un loro atto di giustizia sommaria nella città.

Durante tutto il periodo di Ministero in qualità di cappellano non portai mai armi e molto meno ne feci uso. Usai sempre l’abito talare, eccetto il primo giorno del rastrellamento e quattro giorni consecutivi durante le azioni precedenti l’assalto alla città e nella città stessa aven­done sperimentata la necessità; nel qual tempo vestivo di divisa in­glese con croce molto visibile al petto. Dai Comandi non ricevetti né stipendi né ricompense di altro ge­nere. Degno di nota è l’adempimento del laborioso dovere di assisten­za religiosa prestata ai condannati a morte; e con memoria riverente sottolineo la edificazione avuto dagli stessi in quei supremi momenti, fra queste persone uno solo si dimostrò prima indifferente e poi rifiu­tò i sacramenti.

 9° PERIODO: i prigionieri.

Chi ebbe occasione di apprezzare l’opera di assistenza religiosa dei cappellani furono in modo tutto speciale i prigionieri e le prigioniere che si trovavano a Pecorara ai quali dedicai le mie cure più assidue al fine di farli rispettare, interessandomi presso il Comando per reprime­re abusi ed atti arbitrari fatti da alcuni Patrioti. È con profonda soddisfazione che da dichiarazioni dei prigionieri stessi, oltre che dalla mia esperienza potei constatare che dagli inizi di questa opera assistenziale fatta ai prigionieri, agli ultimi giorni di montagna vi fu un notevolissimo miglioramento nel trattamento. Essi pure adempirono al Precetto Pasquale ed ottenni di poterli condurre, a gruppi, nella chiesa parrocchiale onde adempiere a questo dovere.

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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