Gennaio – Maggio 1944
Le Memorie di Giuseppe Fulgoni
Abbiamo avuto la fortuna di venire in possesso delle memorie di Giuseppe Fulgoni che riteniamo opportuno pubblicare per intero, prima di tutto perché ci sembra rappresentativo un documento storico di grande valore, utile alla chiarificazione di fatti e vicende connesse alla costituzione di uno dei primi nuclei resistenti nella provincia di Parma, il nucleo, che attraverso gli episodi di Osacca, la costituzione dei gruppi di Fermo Ognibene e Mario Betti sfocerà poi nella formazione della 12ª Brigata Garibaldi.
Ma soprattutto il documento ci sembrerà straordinario ed emblematico nella descrizione delle complesse vicende che portano alla costituzione ed alla vita dei primi nuclei di ribelli. La loro attività, il complesso di legami con la realtà della vita in montagna. Giuseppe Fulgoni, di sentimenti << Socialisti Internazionalisti >> diventa consapevolmente antifascista durante l’esperienza in Grecia.
Congedato all’inizio del’43 verrà tenuto sotto stretta sorveglianza dalla e dai fascisti locali, finché l’8 settembre incomincerà una intensa attività organizzativa in collegamento con il C.L.N.P. Le memorie coprono il periodo ottobre 1943 – 13 febbraio1944 giorno in cui viene arrestato ed inviato in Germania, nel campo di Mathausen da cui tornerà mutilato, debilitato nel maggio del 45.
Ottobre 1943
A Vischetto di bardi, si accantonarono alcuni giovani provenienti da Casalmaggiore i quali erano Giovanni Favagrossa, che capeggiava il gruppo, quindi Pino Fortunati, Gardini, Sergio Vida, Grassi e Rossi ed in qualità di ispettore Fermo Ognibene , il Reggiano, mandato dal Commissario di Liberazione di Parma.
Giovanni Sidoli << Boè >> già corrispondente del Comitato riceveva da Parma i mezzi per l’assistenza ai gruppi che si stavano formando ai quali si aggiungevano alcuni prigionieri del campo di Fontanellato, in maggior parte inglesi. Diversi di questi ultimi avevano trovato ospitalità in diverse famiglie del bardigiani dove si parlava la loro lingua per tradizione di emigrazione il Inghilterra. Vi erano anche due slavi che si sistemarono a Tosca di varsi presso la famiglia Paganizzi.
A Rocca di Varzi si era formato un gruppo autonomo, militari di servizio alla stazione di Fornovo che nella notte dell’8 settembre avevano abbandonato con le loro armi il presidio e si erano diretti nella Val Ceno, avevano trovato una casa disabitata e vi si erano accantonati per diversi giorni,vivendo di quello che offriva loro la popolazione di Rocca di Tosca.
A questo gruppo si uniranno alcuni giovani, quali Luigi Ralli di Pellegrino, tale Mario << il Pugliese >> ed io stesso, sentite le idee del gruppo, avevo mandato alcuni giovani di Noveglia: Bergazzi Albino, Giuseppe Colombani << Garibaldino >> a Nando Berzolla.
Sentito il parere di Fermo portai anche le armi e munizioni; i due ufficiali slavi davano istruzioni per la guerriglia ed il gruppo aumentava continuamente tanto che l’assistenza volontaria della popolazione non era più sufficiente. Mario il Pugliese diventato capo di questo gruppo pensò di trovarsi il necessario per provvedere al vettovagliamento svaligiando l’ufficio postale di Pianino senza avvertire il Comitato preparò il piano e l’attuò.
Dopo questo colpo ci furono discussioni perché tale bottino si appropriarono come di cosa propria un po’ tutti privatamente e non per il mantenimento della formazione, di conseguenza su ordine di Mario furono fucilati presso il mulino di Tosca, Carlo e Carmelo. A questo punto, alcuni volontari locali lasciarono il gruppo; Fermo mi fece sapere di non dare più assistenza a Mario e possibilmente ritirare le armi che in precedenza gli avevo consegnato, poiché avevano agito da banditi, e non come patrioti.
Le Armi
Intanto le armi provenienti da Parma giungono a Vischetto. Fermo non può immagazzinarle in quel luogo, perché troppo vicino a Bardi dove stava il presidio repubblichino capeggiato da Antonio Pettinati. Tramite Giovanni Sidoli le armi vengono allora affidate a Davide Villani dei Barigazzo di Gravago, il quale ne nasconde una parte nella di una cappella a Barigazzo e l’altra parte nel bosco di castagni dentro gli alberi cavi, tra Barigazzo e Colombara.
Io era stato avvisato da Fermo a che erano state affidate le armi, però non sapevo il nascondiglio. Dopo giorni, un mio amico Giuseppe Colombani, insieme al altri ragazzi, scoprì il nascondiglio ed asportarono diverse armi: per fortuna mi informò dell’ accaduto e mi aiutò a recuperarle.
Nel frattempo cercai di vedere il Villani e gli chiesi perché non avesse custodito bene le armi e questi mi rispose che non aveva nessuna intenzione di andare nei guai; allora decisi di custodire io stesso; erano una cinquantina di moschetti ed altrettante bandoliere piene di caricatori, dieci fucili di altre nazionalità, un parabellum ed una mitragliatrice Breda con due nastri, due sacchetti di juta con cartucce di vario calibro e tipo, in prevalenza calibro 9 corto.
Tutto il lavoro di recupero lo feci di notte, nascondendo tutte le armi in un fienile di Noveglia; di giorno le lubrificavo e le liberavo dalla ruggine che cominciava a logorarle. Di tale nascondiglio ne venne a conoscenza un tale di Noveglia, dedito all’alcolismo che incominciò a spifferare la scoperta. Appena capii che in troppi erano ormai al corrente della cosa, trasferii il magazzino in un fienile di Roncazuolo, senza informare i proprietari i quali erano i mie cugini: dimenticai due fucili nel fienile di Noveglia che il giorno successivo l’ubriacone consegnò ad una pattuglia di fascisti giunti a Noveglia da Bardi.
Sull’esistenza di queste armi tutti i sospetti cadevano su di me, dato che da un po’ di tempo avevo subito diverse perquisizioni ed ero già stato schedato come antifascista.
Cosimo Caramatti
Nel gennaio del 1943, provenivo dalla Grecia, via terra cioè attraverso la Jugoslavia. Ero stato mandato in congedo illimitato per esonero agricolo. nel ristoro militare della stazione di Mestre incontrai Cosimo Caramatti, anch’esso in viaggio di licenza, proveniva da Tolmezzo, dove era alpino dell’8°. Abbiamo viaggiato insieme fino a Borgotaro e parlato molto della vita militare e di tutte le umiliazioni e difficoltà passate di fronte alla Milizia.
Mi disse che se non fosse presto finita si sarebbe fatta una rivoluzione, noi a mangiare male e loro bene, noi sul fronte loro nelle retrovie, noi stracciati loro vestiti bene. Di proposito raccontai un fatto: << Dopo il fronte d’Albania durante l’avanzata, io e altri sei compagni eravamo rimasti staccati dalla Divisione per la impossibilità di camminare, essendo con i piedi congelati e scarpe rotte, abbiamo seguito la Divisione staccandoci di parecchio in modo che non abbiamo potuto avere rifornimenti militari.
Dopo una settimana di fame siamo giunti in una località dove una freccia pitturata su una pietra indicava la direzione della nostra Divisione ed a poche centinaia di metri troviamo le tende di assistenza. Io personalmente mi avvicinai dove erano stesi alcuni fili spinati e nel recinto c’erano alcuni cani che mangiavano la pastasciutta . Li c’era un sergente della milizia che mi chiede cosa cercavo ed io gli spiego il nostro caso ed allora lui si mise a gridare e ad offendere.
Nel recinto c’erano pure diverse casse con gallette, alcune delle quali erano rotte ed erano uscite molte briciole; io gli chiesi che per noi sarebbero bastate quelle egli mi minacciò che se non mi fossi allontanato avrebbe sparato. Quindi a me questa gente fanno l’effetto che fa un drappo rosso al toro >>. Dopo questi racconti siamo diventati amici e siamo sempre stati in comunicazione finché venne il giorno di sfogare il nostro rancore verso coloro che ci hanno tanto umiliato. Alla fine del 43 Cosimo mi venne a trovare insieme ad un amico ed io gli fornii armi per cominciare la lotta in quel di Bedonia.
Il Filtro
Nonostante la mia costante attività per le formazioni ribelli io giravo ovunque a testa alta, dimostrando cordialità con tutti: << Di guerra ne ho fatto abbastanza in Grecia ora devo rimanere a casa con mia madre >>. Non avevo orario per riposare perché durante la notte facevo ciò che di giorno non potevo fare e per rimediare dei soldi uccidevo clandestinamente qualche vitello che compravo dai contadini miei amici e poi vendevo la carne ad alcuni ristoranti di bardi e qualche quarto a privati che poi ripartivano con le autorità.
Fu così che riuscii ad accumulare la somma che più tardi unii a quelle di Mario Betti per la formazione a Pianaletto che ebbe inizio il 26 dicembre’43. Per i fascisti continuavo ad essere la pecora nera: mi facevano ancora perquisizioni con l’accusa che tenevo in casa degli inglesi e non trovando nulla mi dicevano che mi avrebbero volentieri arrestato se solo avessero avuto un appiglio. Io loro dicevo. << Mi sono offeso per tale accusa, ad ogni modo comprendo il vostro dovere, però io vivo ugualmente tranquillo, perché io so di essere nel giusto >>.
Le cose che mi avrebbero compromesso erano tante ma le tenevo ugualmente custodite. Una volta accompagnai i ragazzi di Casalmaggiore da Vischetto a Roncazuolo a 500 metri da Noveglia, perché si era stabilito con Fermo che era meglio formare un gruppo a Noveglia che a Tosca, stabilendo a Roncazuolo il centro di reclutamento nel nostro gergo chiamato << filtro >> ove venivano esaminati i soggetti prima di assegnarli al gruppo di Osacca capeggiato da Giovanni Favagrossa. Per il collegamento ed informazione pensavo io, in quanto ero libero da obblighi militari, possedendo dal gennaio un esonero agricolo.
Di staffetta mandavo per Vischeto un invalido: Paolo Bertorelli e per Osacca l’anziano Giuseppe Sozzi. Anche i due ufficiali slavi che stavano a Tosca li avevo sistemati prima a Pieve e poi a Roncazuolo in casa di mio cugino tale Guido Bertorelli, quindi a Sidolo presso Rossi Severino. Dopo una sosta di alcuni giorni gli slavi scesero a Vischeto ed insieme a Fermo raggiunsero la Tosca dove trovarono il Pugliese che era rimasto con soli due uomini: Ralli Luigi e Walter Tanzi.
Fermo ordinò al Pugliese ed ai suoi uomini di seguire lui e i suoi uomini per trasferirsi a Roncazuolo : passarono per un sentiero che da Tosca porte in quel di Gravago e passato in mente Pian di Ciliegia scende poi a Venezia di Gravago. In località Casa del tedesco per mano di fermo fu fucilato il Pugliese ed io seppi che fu ucciso, ma il perché no. Il corpo fu trascinato in un cespuglio nelle vicinanze del sentiero e ricoperto di foglie secche e fu scoperto dopo una quindicina di giorni da alcune donne che passando per quel sentiero si recavano a Messa a Monastero. Informarono il parroco don Luigi Squeri che a sua volta informò le autorità di bardi ed il corpo fu sepolto nel cimitero di Gravago.
Il Vino Col Fondo
A Osacca il gruppo raggiunse la consistenza di 27 elementi più tre di Casalmaggiore a Roncazuolo; gli stessi slavi però lasciarono di nuovo Roncazuolo ed il più giovane si stabilisce in privato a Tosca, dove aveva una relazione con una ragazza mentre il più anziano parte per raggiungere Roma a piedi attraverso i monti e Fermo ritorna a Vischeto. Il 22 dicembre arrivò da me un individuo proveniente da Parma, il quale in possesso della parola d’ordine da noi usata << T-34 >> mi disse di accompagnarlo o di indicargli la strada per Osacca. Mi disse anche che gli era stato detto da me dai fratelli Boni di bardi che anch’essi lavoravano per la stessa causa.
Perciò io lo accompagnai al cosiddetto << Filtro >> a Roncazuolo. Durante il cammino mi fece qualche domanda che ridestò sospetti, la prima se mi fidavo a viaggiare disarmato, io allora mostrai la pistola che tenevo sempre con me; egli allunga la mano come per invitarmi a consegnargliela ed io dissi. << Mi dispiace è sacra e inviolabile ><.
La seconda domanda mi chiese cosa pensavo di Mussolini ed io gli dissi di non aver mai pensato a quell’uomo. Giunti a Roncazuolo lo presentai ai ragazzi di Casalmaggiore che lo avrebbero portato il giorno successivo a Osacca. Nel licenziarmi da loro dissi: << il vino che vi ho portato ritengo che dovete filtrarlo bene deve avere il fondo >>.Lo fecero dormire con loro ed il mattino successivo lo portarono ad Osacca dove appena giunto incominciò ad accusare disturbi di febbre; Giuseppe Colombani che aveva un giubbotto di pelle glielo prestò. Questo individuo usciva spesso, dicendo che aveva necessità corporee, cosicché all’alba del 24 dicembre uscì e non ritornò.
Dopo un ora dalla sua assenza il comandante Favagrossa diede ordine di rastrellare i dintorni temendo per salute del nuovo arrivato, ma dopo molte ricerche si capì che era fuggito verso Borgotaro, dalle impronte lasciate sul fango. Era stato visto passare a Porcigatone dagli abitanti della zona e quindi a Borgotaro. Da Osacca mi avvisarono che il nuovo era fuggito ed immediatamente ho provveduto ad avvisare il << Filtro >>, quindi in bicicletta raggiunsi Vischeto per informare Fermo.
Natale a Noveglia
Ormai sapevamo tutti che era una spia e si decise che era opportuno spostarci, ma essendo il giorno di Natale, si pensò si potesse rimandare al giorno successivo. Alle 6,30 della mattina di Natale, io dormivo ancora quando mia sorella Luigia mi svegliò dicendomi che ci sono i fascisti alla porta che bussano con i calci dei fucili. Mi alzai di scatto impugnando la pistola che tenevo sotto il cuscino e dissi che ero stufo di quella gente. Mia sorella mi fece notare che otre a quelli della mia porta ce n’erano sparsi per tutti il paese: nascosi allora sotto a delle castagne la pistola e due bombe a mano e mi affrettai ad aprire la porta; senza dimostrare alcun timore, chiedo loro se hanno bisogno di me.
Un ufficiale si fa avanti dicendo; << sono il tenente fava e lei è Giuseppe il Merlo? >>. Gli risposi: << Si, sono Giuseppe Fulgoni >>. Proseguì:<<È in arresto dobbiamo perquisire la casa >>. Io risposi: << Sono spiacente soprattutto perché mia madre è a letto per l’infarto >>. Li invitai a entrare dicendo che la cucina era più calda: in quattro stettero con me a sorvegliarmi, gli altri procedettero alla perquisizione della casa e quando scesero mi accorsi che non avevano trovato nulla.
Nel frattempo uno dei militi che mi sorvegliava mi fece capire chi era stato la spia; dicendomi che l’uomo che l’uomo che a informato la legione indossava un giubbotto di pelle; la spia mi sembra si chiamasse Stelio Giovanardi, studente universitario residente a Reggio Emilia via Regina Margherita N 4. Il rastrellamento era fatto dalla 87 Legione Camicie Nere di Parma che era partita alle 4 con tre torpedoni ed aveva preso tre fascisti dal presidio di Varsi fra i quali il sergente maggiore Pelagatti.
Erano passati da Bardi senza avvertire il presidio dubitando che qualcuno fra di loro avesse cordiali rapporti con i ribelli. Dopo il mio arresto si avviarono in direzione di Osacca, sorprendendo i compagni del << Filtro >> senza che questi potessero opporre resistenza. Arrestarono pure i vicini Guido Bertorelli e la sorella Esterina, solo una ventina si fermarono a Noveglia e circa cento puntarono su Osacca.
A circa un chilometro da Osacca, in località Cabino, furono visti da Fulgoni, il quale già militava nella nostra formazione e si trovava in famiglia per natale, in casa teneva un moschetto, lo imbracciò e si avviò per un sentiero che sovrasta osacca. Temendo poi di non fare in tempo ad avvertire i compagni diede l’allarme sparando qualche colpo di moschetto. Gli spari furono uditi da una ragazza del posto Cristina beniamino che si affrettò ad avvisare il gruppo che stava ancora dormendo.
Si prepararono allora a difendersi formando un fronte alla metà del paese contro un muricciolo e quando le prime pattuglie di militi arrivarono dalla mulattiera che entra in paese, immediatamente iniziò la battaglia. La parte avversa possedeva parecchi fucili mitragliatori mentre la parte nostra aveva una mitragliatrice Breda con pochi nastri ed un Parabellum che fu immobilizzato, perché sotto il tiro di due fucili mitragliatori avversari quindi in pratica la difesa è stata di soli fucili.
La battaglia durò un paio d’ore perché i militari si ritirarono convinti che senza cannoni e mortai non avrebbero potuto avanzare, dalla parte nostra solo 17 uomini perché il resto aveva raggiunto le famiglie per passare natale, mentre gli avversari erano circa sei volte di più. Intanto io e gli altri arrestati eravamo tenuti sotto sorveglianza a Noveglia quando nel frattempo giunsero anche i militari del presidio di bardi, ma alle 14’30 quando cominciarono ad arrivare a Noveglia curiosi di spere come era andata si attorniavano a chiedere notizie agli altri ed io pensai che era il momento buono per la fuga.
Uscii dal cerchio che mi sorvegliava e mi precipitai in un vicolo stretto che conoscevo l’uscita ed in breve mi misi al sicuro. Mi seguirono e spararono , perquisirono ogni angolo della casa di Noveglia: io sentivo tutto persino quando il sergente Pelagatti diceva: << portatemi solo la testa >>. Poi diedero ordine di sospendere le ricerche, perché era necessario abbandonare la zona per timore di accerchiamento.
Portarono a Parma i tre giovani di Casalmaggiore, Guido e Giuseppe Bertorelli, quest’ultimo arrestato mentre andava alla Messa. A Bardi arrestarono la famiglia Boni, il padre e due figli Luigi e Giuseppe, a Gazzo Nello Ossiprandi e la signora Dorina e tutti furono rinchiusi in San Francesco.
Dopo Osacca
Appena i fascisti lasciarono Noveglia uscii dal mio nascondiglio raccolsi le armi che avevo nascosto, la pistola e le bombe a mano e mi avvia in direzione del monte barigazzo, sostando a Copelli da Guido Sbottoni, al quale, al quale avevo precedentemente consegnato due moschetti e munizioni. Me ne feci dare uno, poi raggiunsi Pareto; pernottai presso i miei parenti, certi Ricci ed al mattino successivo, 26 dicembre, mi raggiunse Gildo Sbottoni e Giovanni Marchesini e con essi decido di raggiungere il gruppo a Osacca.
Erano circa le dodici quando ci avviamo attraverso il Monte Tagliata scendemmo in paese che trovammo deserto. Solo un anziano, Giovanni Castello, mi disse che erano scappati; sia i ribelli che la popolazione, per le voci che si sentivano che avrebbero bombardato il paese, intanto mi indicò quale direzione avevano seguito i ribelli e ci avviammo sperando di raggiungerli.
Incontrai un conoscente, proprietario dell’osteria a Porcigatone che mi informò che i ribelli erano andati in direzione di Bedonia e che lui stesso aveva mandato una guida. Decisi allora di ritornare a Pareto non intendevo abbandonare il Val Noveglia perché era necessaria una difesa a tutta la popolazione e tutta la popolazione era dello stesso parere. Il mattino successivo andai a Mariano di Valmozzola dove erano alcuni amici e con me venne Giovanni marchesini mentre Sbuttoni era tornato a casa promettendoci di ritornare.
La popolazione di Mariano con quella della Val Noveglia era per la Resistenza ed il 28 parto per Tiedoli di Borgotaro ed anche là ebbi una calorosa accoglienza, diversi di quella zona mi conoscevano ed rallegrati dalla mia fuga. Pernottai a Fontanelle presso un mio amico Achille Gandolfini e ci inamidammo per Pareto, ma ci fermammo in una casa colonica nella prossimità del comune di Bardi, dato che aveva cominciato a nevicare. Li abitavano cinque fratelli col padre ed il maggiore di essi, allora diciottenne, aveva capito chi eravamo vedendoci armati e si offrì di venire con noi, ma essendo il padre all’ospedale ci promise di raggiungerci dopo.
Quella notte pernottammo per il maltempo in quella casa. Questa famiglia era molto povera e non aveva da mangiare tanto che mandava il padre con un biglietto a Pieve di Gravago da Ricci per prendere degli alimenti. Il mattino seguente riprendemmo il cammino giungendo a Pareto verso mezzogiorno.
Mario Betti
Intanto a Pareto era venuto Celeste Bertorelli di Pianellato insieme ad un altro individuo a cercare me. Quest’uomo si congratulò con me perché ero sfuggito agli << sbirri >> e disse di avermi già visto altre volte a Bardi dove veniva a vendere stoviglie al mercato; anche a me sembrava un viso già noto però non ricordavo dove e quando l’avevo già visto. Rimanemmo insieme a conversare per diverse ore ed egli mi disse di essere un fuggiasco per ragioni politiche e mi raccontò di aver picchiato duramente un tal di Fiorenzuola che lo aveva in precedenza mandato al << confino >>.
Raccontò che durante l’occupazione della Jugoslavia aveva fatto parte di un reparto di carristi e di essere un ufficiale, ma io dubitavo di questo perché il suo modo di parlare italiano non era del tutto corretto. Mi fece diversi nomi di gente antifascista della Val d’Arda tra i quali diversi di mia conoscenza. Prima di confidarmi indagai di più sul suo conto e dalle informazioni seppi che era giunto a Bardi il 1° dicembre proveniente da Fiorenzuola ed aveva sostato in una trattoria vicino al castello dove aveva conosciuto Belloli Angelo abitante a Gravago in località << Casa del Tedesco >>.
Il Belloli un pò preso dal suo viso, esaltava con simpatia i << Ribelli << dicendo che a Tosca c’erano molti e questo individuo che disse di chiamarsi << Mario >> confidò di essere anche pure lui di quel parere e che intendeva rifugiarsi in zona sicura e voleva aggregarsi ai <<Ribelli >>. A questo punto il Belloli lo invitò in casa sua, in un luogo seminascosto, perché faceva il carbonaio, doveva stava con la moglie e tre bambini ed il Mario accettò l’invito dicendogli che aveva sufficienza denaro per provvedere agli alimenti per sé e per chi l’avesse ospitato.
Però dopo qualche giorno di permanenza, cominciò ad annoiarsi essendo isolato ed una sera il Belloli lo accompagnò dal cognato Celeste Bertorelli dove si trovò subito meglio, più compagnia perché c’era un gruppo di case ed una dozzina di famiglie ed alla sera si riunivano a giocare a carte ed a parlare di cose come la pensava anche lui. Da quel giorno che l’ho incontrato stetti molto in relazione con lui e dato che non era armato mi chiese di procurargli una arma ed io gli trovai una Maser 7,65.
Io gli chiesi: << Se formiamo un gruppo ti senti di essere il comandante, perché se lo faccio io rischio di mettere in pericolo la mia famiglia , potremmo incominciare in questa zona e vedrai che non sarà difficile trovare dei giovani ed incominciare la simpatia della popolazione, essendo molto stimato e conosciuto. Sarà un po’ duro all’inizio, perché non so come potremo avere i primi alimenti, ma io dispongo di una decina di mille lire >>. Mario disse di disporre altrettanto, dopodiché mi allungò un mazzo di biglietti da cinquecento lire, che però non accettai dicendo di tenere ognuno i suoi e quando avremo fatto delle spese mettevamo metà ciascuno.
Così nacque la formazione del gruppo Al termine della prima settimana del gennaio’44 mandai ad avvisare i due cugini Frazioni: Aldo ed Edoardo a Tosca che avevamo in precedenza militato col gruppo del Pugliese ed essi accettarono. Da Pianelleto Mario Bertorelli, da Lavachielli, Gildo e Francesco Baccarini, a Pareto vi erano tre inglesi ed anch’essi accettarono l’invito e le armi; da Mariano Occhi Pietro, Manfredi Cirillo e Pascquarelli Amedeo.
Appena giunta la notizia al gruppo Fermo tre componenti di esso si unirono a noi: Giuseppe Colombani, Albino Bergazzi, Ralli Luigi; da Sestri Levante due giovani di cui non ricordo il nome: il biondo ed il moro, da Parma i due cugini Ferrari e fanti ed un meridionale Piccirillo. Moschetti e bombe a mano ne avevo a sufficienza, un mitra lo abbiamo avuto da un mugnaio di Tosca pagandolo 1000 lire ed alcuni fucili da caccia che abbiamo avuto in prestito. Mandai da Sidoli mio cugino per chiedergli aiuti, specialmente per il vettovagliamento, essendo egli in contatto con Comitato di Liberazione di Parma.
Egli mi mandò a dire di essere pedinato e temeva di essere scoperto ed avrebbe provveduto in seguito. Intanto conobbi un tecnico dell’Arsenale di La Spezia, si chiamava << Riccardo >> il quale ogni settimana veniva a Campora di Valmozzola dove aveva due bambini presso una famiglia a casa Rosoli; egli ci offrì il suo aiuto dicendo che ci avrebbe mandato degli esplosivi per mine ed altro armamento ed avrebbe mandato anche alcuni dei giovani volontari.Io accettai, gli esplosivi giunsero poco dopo mentre i volontari giunsero quando io ero già prigioniero.
Verso la metà di gennaio’44 i fascisti di Bardi e Varsi, con rinforzi da Fidenza, hanno fatto una puntata sul Monte Barigazzo, dividendosi in tre gruppi in modo da circondare la zona per prenderci di mezzo. In quel giorno non ci eravamo tutti perché gli elementi locali avevano raggiunto le loro abitazioni per il cambio degli indumenti, perciò eravamo solo in dieci e la nostra tattica era stare nei boschi fuori dall’abitato. Ci portammo sulle alture per dominare la valle della tosca e di Gravago ed intanto ci avvertirono da Castagnorfa che un gruppo di fascisti puntava in direzione di Pianellato, però la staffetta non ci aveva trovato.
Nel frattempo mia zia, che abitava a Parete sapeva dove eravamo, ci mandò la colazione per mezzo di sua figlia Marina Ricci. Per un caso capimmo di avere i fascisti nelle vicinanze, perché sentimmo chiamare Rabaiotti e noi sapevamo che così si chiamava uno dei militari di bardi e così ci siamo messi all’erta. Non passarono che pochi minuti che vedemmo spuntare dal bosco un gruppo di militi ed immediatamente un gruppo alle nostre spalle.
Mario imbroccò il fucile da caccia per sparare ed io lo fermai perché mi resi conto che non ci avevano visto: vi era una via per uscire dal cerchio ed io ritenni meglio uscire che sparare e così riuscimmo senza che se ne accorgessero. Proprio li dove eravamo si radunarono i tre gruppi: erano quarantatré e noi eravamo in dieci e scarsi di munizioni e presi da tre lati la peggio sarebbe stata per noi.
strisciando fra i cespugli abbiamo raggiunto un luogo sicuro, con la visibilità di osservare le mosse degli avversari, i quali sono scesi in direzione di Boè, convinti che non ci fossero ribelli in quella zona.
Gildo Sbuttoni
Con Gildo Sbuttoni eravamo amici e fin dal primo giorno in cui mi misi in collaborazione con Fermo, mi confidavo con lui ogni qual volta ci incontravamo. Egli dimostrò subito la sua collaborazione che appena ho avuto le armi, ho consegnato a lui due moschetti e munizioni. Il giorno di natale’ 43 quando riuscii a scappare dopo il mio arresto, il primo che avvicinai fu Gildo che incontrai a Boè e volle che andassi a casa sua e così accettai: io ero armato di una pistola e qualche bomba a mano e mi feci dare uno dei suoi moschetti e mi avviai verso Pareto.Il giorno dopo mandò con me suo figlio Gino e non mancò mai di collaborare fornendomi ogni notizia.
Spesso arrivava a Pianalleto a visitarci.
Una Spia
Il 18 gennaio 1944 giunse da noi a Pianelleto un giovane, circa diciannovenne, il quale disse di chiamarsi Adamo Pagani, nativo di Calestano e residente a Parma in Borgo Riccio. Disse che intendeva aggregarsi al nostro gruppo che altrimenti lo avrebbero arruolato coi fascisti essendo egli contrario. Chiese di essere possibilmente armato di armi automatiche, perché sentiva molto il desiderio di combattere e noi lo accettammo, ma come nostra abitudine prendemmo informazioni della provenienza prima di dargli piena fiducia.
Dalle informazioni prese a Parma risultò che già militava nella compagnia Ettore Muti ed intanto che si attendevano informazioni lo armammo ugualmente con un arma innocua. In uno spostamento approfittò di scambiare l’arma con una efficiente e tentò di allontanarsi in direzione di Valmozzola; visto fuggire non si fermò all’alt, allora gli fu sparato da Mario Bertorelli alla distanza di 400 metri, fu ferito alla spalla destra e quindi catturato, però la ferita non era grave essendo di striscio.
Nello stesso tempo interrogato egli confessò di essere entrato a far parte del nostro gruppo con l’intenzione di essere armato con arma automatica ed alla prima occasione di sparare su di noi giacché il comando della milizia, gli aveva promesso 2.000 lire per ogni partigiano che avesse ucciso. Ne frattempo giunsero le informazioni che corrispondevano precisamente alla deposizione dello stesso. Fu scritto un verbale in duplice coppia, di cui una fu spedita al suo indirizzo, con la condanna che gli era stata imposta. Fatto un consiglio di tutti i membri del gruppo, si decide di condannarlo a morte.
La condanna fu eseguita il 24 gennaio 1944
Acquerello*
Il 31 gennaio, un bel pomeriggio di sole, sembrava primavera, ci siamo portati sul Monte Pian di Ciliegia, di lì si dominava sia la Val Noveglia che il Val Ceno, il paese di Bardi e di Varsi. Nei boschi sottostanti dei due versanti vi erano delle persone a tagliare la legna …… * È un capitolo in cui Giuseppe Fulgoni avrebbe voluto raccontare di una congiura per uccidere Mario Betti.
I Mitra
L’ 11 febbraio al pomeriggio viene a Pianellato la signorina Occhi di Mariano informandoci che il fascista di Valmozzola, tale Mazzetti erano arrivati mitra e munizioni che teneva sotto il banco della tabaccheria da lui gestita presso la stazione ferroviaria. Lo stesso giorno mi ero fratturato la mano destra e rimandammo quindi l’impresa al giorno successivo, per poter strappare queste armi a noi tanto necessarie.
Il giorno 12 era sabato e prepariamo il piano per raggiungere la stazione di valmozzola; si decide di partire alla sera in modo di fare il colpo verso le ore 23 ripartendo di nuovo subito in modo da essere a Pianellato alle ore tre circa, poiché l’alba si temeva sempre qualche puntata del nemico. Presenti eravamo circa trenta perché quattro non potevano partecipare; tre ammalati, uno senza scarpe, io con la mano totalmente invalida.
Raccomando a Mario Betti che seguisse il piano prestabilito e che facesse in modo di rientrare il più presto possibile. Non era in programma di passare all’osteria di Mariano, ma Mario gli piace sempre bere un bicchiere di vino quindi deviò e perse un poco di tempo. Lì trovò qualcuno che gli disse che a pieve di Valmozzola stavano ballando e vi erano tre carabinieri e un brigadiere. Con questa notizia Mario si fa un nuovo piano e decide di passare a Pieve, dove stavano ballando a disarmare i carabinieri.
Così fu, però il brigadiere con astuzia e cordialità si inginocchiò affinché gli fossero restituite le armi lasciando le munizioni e Mario acconsentì e riprese il cammino verso la stazione. Ma intanto passò molto tempo e giunse alla stazione verso le quattro del mattino, circondò la casa del Mazzetti, il quale si gettò dalla finestra insieme alla moglie, riportando ferite tanto gravi da essere ricoverato in ospedale. Nella perquisizione furono trovate armi e munizioni e raccolto il bottino, Mario riprese il cammino.
Di ritorno però si perse un uomo, certo Piccirillo che più tardi è arrestato dai fascisti ed io intanto con i quattro uomini rimasti a Pianellato a turno abbiamo fatto la guardia. Ormai era l’alba ed il gruppo doveva rientrare. Io cominciavo a preoccuparmi, e mando su monte Bertorelli Mario e Colombani da dove si poteva osservare una buona parte della zona di Valmozzola per ascoltare se sentivano degli spari e se lungo il sentiero si poteva notare il ritorno dei compagni mentre ordinai ai due inglesi di preparare la colazione per il gruppo.
Io sempre col braccio legato al collo per la frattura decido di arrivare sino a Pareto, dove mi avevano mandato a casa delle sigarette: non persi tempo, circa 15 minuti e ripresi subito la strada per Pianellato. Giunto a trecento metri, dove la strada si distende attraverso il prato, stretto tra due palizzate, nascosti dietro alcuni alberi secolari stavano in agguato i fascisti ed i tedeschi di modo che io caddi nelle loro mani senza possibilità di difesa: ero armato di pistola e di bombe a mano: mi saltarono addosso mettendomi le canne dei mitra nel petto ed alla tempia.
Un maggiore della Feld Gendarmeria, tale Kalcoff mi disse: << Ordine di Hitler, fucilare sul posto chi si trova armato, due minuti se vuoi dire qualcosa >>, poi continuò >> Portiamolo avanti che risono gli altri così una raffica sola basterà >>. Vi era anche un interprete che si chiamava Gino di Varano Melegari, però il maggiore parlava bene l’italiano. Mi portarono più avanti contro una casa già stavano allineati i due inglesi con Colombani e Bertorelli, con le mani in alto ed il viso contro il muro.
Dopo averci allineati tutti, stavano in diversi alle nostre spalle con le armi puntate, come se avessero dovuto tirare il grilletto da un momento all’altro, mentre altri di loro dopo aver raccolto ogni cosa nella nostra dimora, applicarono il fuoco alla nostra casa. Tra i fascisti vi era anche Tebaidi Costante, elemento strano del presidio di bardi, il quale discusse con i tedeschi e sconsigliò di fucilarci perché era meglio portarci con loro così nessuno avrebbe osato ostacolarci, o attaccarli.
E cosi studiarono la via migliore da seguire, ci portano per un sentiero che va da Mariano, parallelo al sentiero che i nostri compagni dovevano seguire per il ritorno da Valmozzola, di fatti mentre noi si scendeva a circa 500 metri nel sentiero di Campora vedevamo tutto il nostro gruppo che camminava verso Pianellato ed io pensavo che appena informati della nostra cattura avrebbero cercato di liberarci.
Il gruppo infatti a Pianellato incontra una vecchia che dice a Mario che ci avevano presi tutti e portati via indicando però la strada opposta a quella fatta da noi e Mario senza esitare prende la via con il gruppo per raggiungerci pensando di bloccare la strada tra Noveglia e Monti mentre noi ci stavano portando a Valmozzola. Nel frattempo il gruppo abbandona il blocco sulla strada per Noveglia dopo aver attaccato alcuni gruppi di Nazifascisti liberando alcuni prigionieri prelevati a Noveglia tra i quali anche mia sorella Luigia arrestata col pretesto di non averli informati dove io mi trovavo, e quindi informati che ci avevano portati a Valmozzola si dirigono da quella parte proprio mentre i tedeschi abbandonata Valmozzola ci riportavano a Bardi attraverso Mariano.
Come prima si sfilò in sentieri paralleli ed il gruppo di Mario era esaurito di energia dopo più di trenta ore di marcia percorrendo tanti chilometri. Arrivati a Noveglia troviamo altri tedeschi e fascisti ed una corriera dove ci hanno caricati per portarci a Bardi. Era Domenica 13 febbraio all’imbrunire e a Noveglia non ci si vedeva nessuno: io ero tenuto in mezzo a due militi Biacca e Pelagatti che mi tenevano la pistola alle tempie ed io diedi una occhiata alla mia casa, le luci erano spente ed io ignoravo quello che poteva essere accaduto a mia madre e a mia sorella.
Quando la corriera passò per il canale di mangia lupo un milite mi guardò e mi disse: in questo punto abbiamo ucciso tutti i tuoi compagni, ci volevano solo noi per estirpare i ribelli, ci siete solo voi vermi che fra poco passerete davanti alla canna di questo mitra, ma a te ti caverò gli occhi con questo pugnale >>.
Io sembravo tanto timido, ma ero forte e nulla mi scomponeva e più tardi lo confermò anche il maggiore Kalcoff.
La prigionia
Giunta a Bardi la corriera si fermò davanti ai portici della posta, stesero i cordoni a baionetta innestata e ci fecero salire per la scala del teatro introducendoci nella sala della musica, dove all’estremità vi era uno stanzino adibito ad ufficio, li entrarono gli ufficiali tedeschi e quattro militi i quali erano Biacca, Pelagatti, Ferri e Bacchini. Il primo a essere interrogato fui io ed appena entrato, prima di chiedermi alcuna cosa, in quattro uomini ben robusti, incominciarono a darmi pugni ai quattro venti, in modo detenermi in piedi; il viso era diventato una maschera di sangue con varie ferite.
È dopo tale battuta che il maggiore Kalcoff disse << non ho mai visto un tipo del genere da non scomporsi >> e poi verso di me << e se domani come dice il tenente Mazzieri, verrai fucilato nella vicina piazza cosa dirai? >>. << Che questo è il mio destino >>. << Non ti hanno fatto male i pugni che ai preso? >>. << Ho già alcuni anni di guerra e quindi sono abituato a sopportare tutto >>.
Dopo l’interrogatorio dove non dissi niente Kalcoff disse: << Questi prigionieri rimarranno per ostaggio al mio comando chiamate i carabinieri >>. E ai carabinieri appena arrivati disse << Vi consegno questi prigionieri, li tratterete normalmente, ne siete responsabili, finché non verrò io a prenderli, però non li avvicini nessuno, all’infuori de custode, dico nessuno nemmeno Mussolini.
Ci presero in consegna i carabinieri e con la scorta dei fascisti ci portarono nella prigione del castello. Il giorno 16 febbraio’44 era un mercoledì ed entrarono alle ore tredici nell’atrio della prigione, circa venti fascisti, cinque tedeschi fra i quali Kalcoff e di li ci fecero uscire: Colomani, Bertorelli, Piccirillo ed io; i militi avevano le baionette innestate e sembrava che fosse giunta l’ora. Dal castello ci condussero alla sede del fascio vicino alla posta le lungo via Pietro Colla. Non si vedeva nessuno sembrava che stesse passando un funerale.
La nella sede ci legarono le mani con le corde e ci caricarono su un camioncino coperto che aveva due panche di legno e vi erano due tedeschi armati di mitra. Al mio fianco si sedette il fascista Pelagatti del presidio di Varsi il quale non fece altro che insultarmi e minacciarmi con il pugnale, sceso a varsi, prima di lasciarmi, mi guardò fisso e disse: << Domani quanto te lo faranno finire, sarò presente anch’io e con questo pugnale ti taglierò la lingua e ti caverò gli occhi >>.
Salutò romanamente i tedeschi che però mi sembrò che non gli dessero importanza. Il camioncino riprese la marcia ed io pensavo che in qualche punto, della zona tra Varsi – Pianino, fosse bloccata la strada per liberarci, contavo nello spirito di Mario che per me avrebbero fatto ogni cosa. Invece non erano stati informati del nostro trasferimento e ci portarono a Parma indisturbati.
In Cittadella quando ci fecero scendere dal camioncino vidi in un recinto il maresciallo dei carabinieri che era stato arrestato in precedenza dai tedeschi a Bardi dove comandava la stazione. Mi conobbe e mi disse di stare tranquillo che li non trattavano male, mi disse pure che avrebbe pensato di avvisare la mia famiglia, dove mi trovavo perché suo figlio gli portava ogni giorno da mangiare. E così dentro la pastasciutta mi arrivavano dei biglietti che mi informavano di quello che avveniva da noi, finché non sono stato portato in Germania a Mathausen.
