Commemorazione Religiosa di Padre Umberto Bracchi nelle Celebrazioni del Ventennale dell’Eccidio di Srela

17 Luglio 1964

Premessa

Nel presentare ai Confratelli di Sacerdozio e di Religione, ai Congiunti più cari, agli Amici, a quanti Lo conobbero, stimarono e amarono in semplice veste di caro e doveroso ricordo questa commemorazione, mi permetto di anticipare questo pensiero: << il ricordo del sacrificio di tante anime nobili e generose, non vuole certo riaprire il solco amaro dei rancori e delle vendette, ma vuole portare a tutti gli uomini, a tutti voi, una parola di perdono, di dedizione, di amore. La stessa parola che Essi, i nostri Sacer­doti, i vostri Preti, dispensarono in vita e alla quale resero suprema testimonianza.

<<La loro morte è stata: 1) un sacrificio silenzioso ed eroico, dettato dall’Amore in un’ora di odio universale; 2) … un sacrificio che la Fede ha elevato ad offerta suprema di carità per Iddio e verso gli uomini: e fa sì che i Caduti, i nostri Caduti, siano additati alla ammirazione del popolo. << Possa la loro Memoria vivere in benedizione presso le gene­razioni venture; possano Essi intercedere da Dio la pace vera, quella che il mondo non può dare, la Pace di Cristo, per il no­stro popolo, per Tutti >>.

don Antonio Bracchi «et eritis mihi testes… . . . e mi sarete testimoni…,.

« … io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come serpenti semplici come colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi condurranno nei Sinedri, nelle loro sinagoghe vi flagelleranno… sarete portati a causa mia davanti ai governatori e a re;… Il fratello consegnerà il fratello a morte, i figliuoli insor­geranno contro i genitori li faranno morire… voi sarete odiati da tutti per causa del mio nome ». (S. Matteo X – 16 e segg.)

« Sentirete parlare di guerre di rumori di guerre… si solleverà infatti nazione contro nazione, regno contro regno… Allora vi sotto­porranno a torture vi uccideranno sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome ». (S. Matteo XXIV – 6 e segg.)

«Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato Me prima di voi! se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; perché invece voi non siete del mondo, ma vi ho scelto dal mondo, vi odia. Se perseguitarono Me, perseguiteranno anche voi ». (S. Giovanni  XV – 18 e segg.)

All’inizio della presente rievocazione commemorativa ho voluto di proposito rileggere con voi, alcuni brani del S. Vangelo, che mi sembrano lo sfondo, non meno utile quanto necessario, per meglio comprendere la nobile figura di P. UMBERTO BRACCHI, che questa sera, in familiare incontro, intendiamo richiamare e onorare a vent’anni ormai dalla sua tragica, eroica, gloriosa, ma cristiana scomparsa!

L’unica stonatura forse è data dalla mia presenza; ci voleva un altro al mio posto… un altro più qualificato; e mi spiego !

Quando lo scorso giugno, alla Festa del S. Cuore in Seminario Urbano a Piacenza, il Rev. Don Antonio Bracchi, nipote di P.  Umberto, mi ha invitato a tenere la presente commemorazione, io accettai con vero entusiasmo, ammettendo a base, l’affetto vivo e fraterno che mi legarono al carissimo scomparso e ancora a lui mi legano.

P. UMBERTO: benché mio coetaneo e fraternamente amico, è certamente più e meglio conosciuto da voi che non da me; di più lo avete avvicinato… molti di voi sono uniti a lui da forti vincoli del sangue, dai dolci legami di quella amicizia che << neppure la morte spezza: in morte quoque non sunt separati >>… forse tra i presenti qualcuno ha condiviso con lui il pane del dolore… l’amara­

sofferenza della prova. Ecco perchè – non per falsa modestia -­mi permetto chiedere umilmente scusa a voi, qui presenti, … della mia temerarietà, sperando anche nella provata bontà del carissimo. P. Umberto.

Non vi dirò nulla di nuovo! stretti cuore a cuore, faremo come, si usa nelle famiglie, quando qualche lutto ci colpisce, e uno dei nostri ci lascia… Allora ci si raccoglie forse in una stanza attigua a quella ove riposa la persona a noi cara…, si prega… si ricorda! Quanti episodi sono richiamati in una luce, direi, quasi nuova e più eloquente. Già abbiamo pregato…!

Ora ci tuffiamo nei ricordi che da vent’anni ormai sono nella nostra mente, sono nel nostro cuore.

Il 15 luglio 1944 corre voce che le indiavolate S.S. Tedesche sono giunte a Borgo Val di Taro, che già da un mese era occupata dai Partigiani. L’allarme, naturalmente, suscita panico e trepidazione in tutte le famiglie che si rinchiudono nelle case sprangando porte e finestre.

La borgata si era fatta subito vuota. Un cuore batteva per tutti: l’Arciprete di allora, Mons. Carlo Boiardi, oggi venerato Vescovo di Apuania, uomo di polso e tempestivo, intuisce il pericolo incombente, non ammette incertezze e indugi, ma decide affrontare coraggiosamente la situazione. Agitando un bianco velino corre incontro alla formazione nemica, avvicina il Comando e riesce a con­chiudere un compromesso, in base al quale si assicura tranquillità alla popolazione e nessuna ostilità verso i Partigiani ritiratisi sulle montagne vicine.

Speranze e sollievo durano ben poco nel cuore dei borgotaresi, e nella triste realtà dei fatti. Il mattino dopo è domenica, che in quell’anno porta in più la cara festa della Madonna del Carmelo, Patrona della Parrocchia. I Tedeschi, con uno di quei gesti che li carattezzano, colgono di sorpresa i fedeli che di buon mattino si recano alla messa… arre­stano 54 uomini, lo stesso Mons. Arciprete e il coadiutore don Mario Sacchi, P. Giornelli, prete della Missione, il Chierico Galluzzi.

L’Albergo «Roma », tramutato in carcere, rinchiude i malcapitati; essi dovranno servire allo scambio con altrettanti Tedeschi, prigionieri dei Partigiani… – 48 ore di tempo – la fucilazione dei detenuti sarà la tragica conclusione, se l’ultimatum non avrà seguito. Senza fare sforzo di fantasia, possiamo ben immaginare e comprendere l’angoscia di tante famiglie. Sono ore di vera agonia, che passano lente e pesanti, e non solo nel quadrante degli orologi, tanto più che l’ultimatum sta per spirare.

A rischiarare l’orizzonte una buona notizia giunge a Borgotaro. Questo buon annuncio è portato da Padre Umberto Bracchi, che in quei giorni era ospite della famiglia Dott. Marchini-Càmia, in campagna, nella tenuta «Ghirardi di Porcicatone », ove stava pre­dicando ai numerosi sfollati. Avuta notizia del pericolo incombente sul dolce luogo natio, P. Umberto non ebbe un solo momento di incertezza.

Ai primi del mese – 2 luglio – aveva certamente meditato l’episodio evangelico che ricorda la Visita della Madonna a Santa Elisabetta; forse nel suo cuore pulsava la frase « exsurgens Maria, abiit in montana cum festinatione; si mise in viaggio Maria in tutta fretta per la montagna ». Per ore e ore camminò per sentieri impervi, sotto l’ardente solleone, scansando a bella posta le comode strade per evitare spiacevoli incontri. E possiamo, senza sforzo an­che questa volta, rivederlo così come era. Ben piantato nella sua robusta persona… passo sicuro da buon alpino… sguardo sereno… sorridente come sempre dietro le lenti degli occhiali con la faccia aperta… gioiosa che a tutti ispirava confidenza… fiducia. E mi pare rivedere quel largo gesto delle braccia, che altro non era che la materializzazione di quanto amore passava nell’intimo del suo gran cuore. In alta montagna poté raggiungere il Comando Partigiano, riuscendo a conchiudere un accordo di restituzione di prigionieri, mediante l’autorevole appoggio del compianto, indimenticabile Arci­prete di Bedonia, Mons. Paolo Checchi, al quale rivolgiamo il nostro cristiano ricordo. Da Strela P. Bracchi si affretta a comunicare con lettera la lieta notizia al Comando Tedesco, che liberò immediata­mente i 54 dell’albergo « Roma ». Ma gli avvenimenti incalzano. Pomeriggio del 18 luglio. Un contingente di truppe tedesche prove­niente da Borgo Val di Taro si accampa presso Barbigarezza. La notizia si diffonde con celerità impensata. Strela è in allarme, e i più – specialmente uomini – fuggono.

Il Prevosto, Rev. D. Alessandro Sozzi e il nostro Padre Bracchi cercano di portare calma e fiducia nei rimasti.

Alle ore 18 circa due soldati raggiungono il paese. Il Parroco li accoglie molto cortesemente in canonica, ma i due militari (un tenente e un maresciallo) guardano, osservano e si mostrano impassibili. Così scende la notte piena di tragica calma e di pesante incubo.

19 luglio 1944: alle 6 del mattino numerose pattuglie tedesche danno l’assalto a Strela, che sta per diventare la « Martire della Val Taro ». Si scatena un vero uragano di ferro e di fuoco… di furti e saccheggi: 17 vittime innocenti… 35 fra case e cascinali distrutti.

Ma… perchè?.. ancora dopo vent’anni un velo profondo di mistero copre la causa di questa terribile aggressione. Spie?… ven­dette personali?.. prigionieri di guerra Tedeschi?… Dopo la celebrazione della santa Messa don Sozzi e Padre Bracchi si rendono conto della gravità della situazione e non sanno qual partito prendere.

« Costalta è in fiamme!… uccidono!…» è l’urlo di un passante di corsa. Dalla Canonica i due potranno vedere lo scempio orribile; ma i rumori si fanno più vicini e più distinti. I due Sacerdoti in canonica stanno pregando, quando un gruppo di militari entra inco­minciano a perquisire, razziare, a incendiare. I due sono costretti da due militari armati di fucile mitragliatore ad uscire, e proseguire verso lo stradale passando davanti al cimitero.

P. Umberto avanti e dietro lui Don Alessandro… muti… trase­colati… con le lagrime agli occhi presaghi della fine, obbediscono ai loro carnefici. Fatti un centinaio di metri, oltrepassata la cinta del cimitero, un urlo bestiale li investe. Si voltano e seguono le indicazioni dei due soldati di portarsi presso il muro del cimitero. I due morituri si guardano… come per darci l’ultimo addio; si impartono vicendevolmente l’ultima assoluzione. Gli assassini puntano l’arma micidiale… parte una nutrita raffi­ca… i Martiri cadono… il loro sacrificio è compiuto!

Don Alessandro colpito alla testa, cadde bocconi; Padre Umberto colpito al petto, cadde supino…; l’uno e l’altro con il breviario in mano. A colpi di pistola le vittime sono finite, immediatamente depredate: portafogli, orologi… anche le scarpe scompaiono. 19 luglio…! proprio nella ricorrenza di S. Vincenzo de Paoli, Padre Umberto Bracchi, il degno figlio, va a raggiungere in Dio il venerato santo Fondatore della Congregazione dei Preti della Missione.

Per tre giorni le salme rimangono esposte al sole cocente. Nel pomeriggio del 22 luglio, elementi del Battaglione San Marco verranno in paese con il proposito di bruciare i cadaveri. Le preghiere, le lagrime dei congiunti spegneranno questa fiammata di odio sacrilego. Con rozze tavole donne e vecchi costruiranno casse e i Martiri avranno nel Cimitero di Strela cristiana, onorata se­poltura.

C’è un libro del compianto D. Primo Mazzolari, prete e scrit­tore di pregio, che porta il titolo «I Preti sanno morire ». Permet­tetemi di leggerne qualche riga con le quali si commemora la VII Stazione della Via Crucis, dedicata ai Preti martiri, vittime della barbarie umana. « Fascisti, tedeschi, partigiani, comunisti hanno chiamato in giu­dizio, torturato, «liquidato» parecchi sacerdoti e molti italiani, come nemici della patria, la quale cambiava volto e insegne; man mano prevalevano questi o quelli, rimanendo spietata sotto ogni mutazione. I fascisti erano l’Italia; i partigiani erano l’Italia; persino i tedeschi si arrogano il diritto di rappresente l’Italia; e… coloro che per coscienza civile e religiosa non si sentivano di confondere la parte con la Patria, e tanto meno di approvare le enormi iniquità che si commettevano in suo nome, né di mettere sul conto dell’Italia le ignominie delle fazioni, furono messi al bando e condannati come traditori. Non diversamente dai primi cristiani che venivano uccisi come nemici di Roma e del” genere umano” i Sacerdoti, che per qualsiasi motivo venivano sospettati di anticonformismo, perché non acconsentivano alle violenze delle parti e si ribellavano al male da esse compiuto, furono numerati fra i “Senza Patria, i Ribelli, i Fuorilegge” con l’aggravante non meno gratuita di ottem­perare agli ordini di una” potenza straniera “. La razza degli idolatri non si spegne e chi” adora Dio in spirito e verità” ed è ” santificato nella verità” sa cosa l’attente quando quelli riescono a imporre il Mito». (D. Primo Mazzolari)

Ma in questa dura, se volete, ma chiara esposizione che non teme né smentita, né giudizio alcuno perchè è la verità, voi senza difficoltà potete trovare il lugubre scenario storico e morale « dell’odio contro Dio e contro i fratelli» e vedere sullo sfondo insan­guinato ritte le croci e ardere i roghi degli innocenti giustiziati.

Ma torniamo ai nostri. Se il Vangelo fa testo, ne abbiamo qui la piena realizzazione. Così S. Giovanni al cap. XV: «Questo è il comandamento mio: che vi amiate scambievolmente come lo ho amato voi – Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici». Così è stato detto, così è stato scritto, e così, ancora una volta, e in questo senso fosse almeno l’ultima, è stato pienamente realizzato.

Il cuore nobile di P. Bracchi, il pacere generoso, l’apostolo e la vittima di carità eroica risulta dalle sue memorie scritte, che possono essere come il suo testamento spirituale. Nel libretto delle sue preghiere, pochi giorni prima aveva segnato: « Gesù, ti chiedo tre cose: l’umiltà per piacerti, la purezza per amarti, il sacrificio per immolarmi nel compimento diuturno del mio dovere – fa que­sto, é vivrai». A soli quarantasette anni il Signore accoglie la sua preghiera e lo chiama al suo eterno gaudio.

Arrivati a questo punto noi possiamo e dobbiamo farci una domanda. Che frutto è mai questo?.. a quale albero appartiene?… Richiamiamo un’affermazione del Vangelo. Gesù parlando dei buoni e dei falsi profeti insegna: «Voi lo conoscerete dai loro frutti…, ogni albero buono dà frutti buoni… ogni albero cattivo dà frutti cattivi »… e deve ben essere buono quell’albero che ha dato questo ottimo frutto!

P. Umberto è nato a Borgo Val di Taro (Parma) il 17 giugno 1897, ultimo dei diciotto figli dei coniugi Giuseppe Bracchi e Luigia Stefanini, che lo consacrarono immediatamente alla Madonna del Carmelo, affinchè ne facesse il suo cantore e il suo missionario. E noi ci troviamo subito in un ambiente di fede e di fiducia nella Divina Provvidenza. Si vede, e ben chiaramente, che certe discussioni sul numero dei figli non avevano presa… e che la mamma non si serviva della balia per essere libera dagli impegni della maternità. Fede e amore per Iddio e per il prossimo venivano istillati nel cuore del piccolo che all’età buona iniziava i suoi studi a Siena nella Scuola Apostolica dei Figli di San Vincenzo de’ Paoli.

Nel 1916 vestì il grigioverde e prese parte alla Guerra 1915-18, come sergente di Fanteria – Reparto Sanità. Congedato nel 1920, il ventitreenne con la licenza liceale bril­lantemente conseguita, ritorna alla famiglia religiosa per terminare il seminario interno a Roma (Collegio Leoniano). Compie successiva­mente gli studi di teologia nel Collegio Alberoni a Piacenza, dove il 20 dicembre 1924 viene ordinato Sacerdote.

Ancora studente aveva esercitato il delicato incarico di direttore di camerata, e i suoi collegiali di allora lo ricordano per la sua bontà, intelligenza vivissima, memoria prodigiosa, diligenza a tutta prova, brillante e allegra conversazione, generosità senza limiti e un coraggio straordinario, oltre alla sua forza erculea (il tavolino di ferro a Veano alzato con una sola mano…).

Sacerdote, si dette, sarei tentato di dire, disperatamente alla predicazione, al ministero vincenziano per il quale aveva spiccate doti sia fisiche che morali. Bella presenza, buona voce bassa ma sonora, parola calda, avvincente, che elettrizzava e conquistava le folle che constatavano il suo cuore, la sua carità, la grande sua gene­rosità di Sacerdote, e lasciatemelo dire, di borgotarese.

Egli ad ogni costo voleva arrivare a tutti, a portare a tutte le anime, specialmente le più bisognose, la luce della verità, il calore dell’amore, la grazia di Gesù Cristo. Come Paolo Apostolo, darsi tutto, darsi a tutti per guadagnare tutti a Cristo. Sui ventiquattro anni di vocazione vincenziana, per circa vent’anni percorse più volte l’Italia con oltre 226 missioni. Dal 1925 al 1929 è di casa a Roma, e campo del suo ministero saranno i più umili villaggi del Lazio e degli Abruzzi, e non soltanto le Chiese della capitale. Dal 1929 al 1932 risiede a Firenze e lo vedono e lo ascoltano maestro di fede e di amore, oltre la città del Giglio, i popolosi borghi della Toscana. E… poi Marche, Puglie, Calabria, Campania, Sicilia, Torino, Milano, Genova, Perugia, Brindisi, Bari, Taranto, Napoli, Palermo… benefi­ceranno del suo apostolato. E dobbiamo anche aggiungere che spe­cialmente la nostra Diocesi Piacentina, dalle chiese cittadine ai centri maggiori sino alle chiesette dei nostri monti, tanto cari quanto belli, ha visto questo instancabile Missionario vincenziano.

Nonostante tutto questo correre apostolico Borgo Val Taro è sempre stato al centro del cuore di P. Umberto. Troviamo buone testimonianze dell’attaccamento e dell’affetto al luogo natio nel suo ritornarvi ogni anno. Vi ha lasciato l’impronta viva ed eloquente del suo amore e della sua carità con l’istituzione e fondazione della Compagnia delle Dame della Carità e Conferenze di S. Vincenzo.

Quante anime affrante e cuori angosciati sono stati rasserenati! quante lagrime asciugate! e come è dolce ricordare quelle semplici, ma chiare e precise affermazioni di Gesù che formeranno per noi il metro, la misura del nostro giudizio: << avevo fame e mi avete dato da mangiare… nudo e mi avete vestito… ammalato, mi avete visitato >>. Opere nascoste e silenziose che continuano oggi nel suo ricordo.

Mi piace leggere a questo punto le ultime righe con le quali << La Giovane Montagna >> di Parma nel numero del l° dicembre 1944 ricordava Padre Bracchi: <<… quanti, e sono senza numero, dal cuore e dal labbro di P. Umberto Bracchi hanno attinto la parola sacerdotale di conforto, di consolazione e perdono, non potranno non elevare all’Altissimo il grido di cristiano dolore, di rimpianto che accompagna la suprema offerta di immolazione di questo vero Ministro di Dio >>.

Abbiamo ricordato poco fa le ultime ore della sua esistenza terrena. Quando l’odio e il disprezza del Sacerdote serpeggiava nelle stesse contrade, sugli stessi monti, vicino a quella chiesa che non molto prima l’aveva udito dire a tutti la parola dell’amore e del perdono, lui, P. Umberto, nel disprezzo della sua vita per la sal­vezza degli altri, nella dimenticanza di se stesso per il solo bene dei bisognosi, cadeva sulla breccia, attuando in pieno l’insegnamento del Maestro Divino. Convinto e coerente: ecco il martire… ecco il testimone di Cristo: << Sacerdos alter Christus» in questo caso anche nella realtà di cruenta immolazione.

Giunti a questo punto, facciamo, o carissimi, una breve sosta; anzi mi pare doverosa questa sosta per aggiungere al nome di colui che oggi in particolare abbiamo voluto onorare, altri nomi gloriosi, altri nomi a noi cari e familiari. La strage di Strela non fu la sola di quei tristissimi giorni. La colonna degli assassini, non ancora sazia di sangue e di rovine, proseguì per Bardi, capoluogo della Val Ceno. Ed eccoci a Sidolo: altro Calvario glorioso e dolo­roso – 20 luglio 1944! Ci sono Tre Croci che attirano il nostro sguardo e fanno sussultare il nostro cuore.

BEOTTI D. GIUSEPPE, arciprete di soli trentadue anni, quello che chiamavano e chiameranno << l’Apostolo della Val Toncina >>. Reo di che cosa?.. di aver spezzato il pane con chi aveva fame… di aver spalancato la porta di casa a chi era pellegrino. E non è questo il comando divino? E questo precetto urgeva nel suo spirito e lo portava all’azione. La domenica precedente aveva espressamente dichiarato in predica che egli << desiderava il martirio ed era pronto a dare la vita per la salvezza del suo popolo >>. Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle. Don Giuseppe lo sapeva e lo ha fatto.

Accanto a Lui

D. FRANCESCO DELNEVO: altro vostro illustre concittadino che, trovandosi casualmente a Sidolo, viene investito e trascinato a morte dalla brutale valanga dell’odio umano. Cane non mangia cane, ma l’uomo riesce a mangiare l’uomo! DON FRANCESCO è per me un caro e buon ricordo dei miei anni di Seminario. Lui studente di teologia, io povero studente di ginnasio. C’era quindi separazione di età, di studio, ma soprattutto di camerata, e su questa la vigilanza severa dei superiori. Ma alla scuola di canto si confondevano, si armonizzavano non solo le voci canore, ma si fondevano i cuori. E ricordo che Don Francesco divertiva noi piccoletti, perché aveva sempre qualcosa di nuovo da dire. Ridevano i minori, ma non stavano seri i così detti « gran­di» (la voce « grandi» aveva altro significato, non certo quello d’oggi, che corrisponde, troppo spesso alle piccole dimensioni di un cervello e quelle ancor più piccole di un cuore). Così a 56 anni si chiude anche questa esistenza sacerdotale che da un ventennio reggeva la Parrocchia di Porcigatone, alla quale lui, avveduto ed esperto, aveva consacrato generosamente intelligenza e cuore. Accanto ai sacerdoti, un giovane chierico, nativo di Bardi, ma alunno del Seminario Vescovile di Parma:

ITALO SUBACCHI, fio­rente giovinezza al suo 22° anno. Era a Sidolo per riposo e vi trovò la morte. Rileggo l’ultima parte dell’epigrafe che fu stesa a sua memoria: « Nella sua ascesa gioiosa verso l’altare – fu stroncato dal cieco furore nemico – morì perdonando e sorridente – e volò al Cielo Vittima innocente – a celebrare con l’Agnello Immacolato la Prima eterna Messa ». Di lui è stato detto, e trascrivo: « Viva il ricordo della sua dolce visione in questa terra che lo vide fanciullo e ne raccolse il sangue generoso – Resti l’esempio della sua vita come luce ai compagni di studi e a tutta la gioventù cristiana – Valga il suo sacrificio a ottenere all’amato paese e a tutta la nazione una rinnovellata era di virtù cristiane e civiche ». Aggiungo: preghiamo, perché il triplice augurio diventi realtà; e ne abbiamo bisogno!

Il ricordo particolare dei nostri amati Sacerdoti non ci impe­disce certo di rivolgere in questo momento il nostro cristiano ricordo alle vittime note o sconosciute di quei tragici giorni, in particolare, a quanti furono travolti nell’immane disumano barbaro conflitto, e preghiamo il Signore perché il sangue di tanti innocenti non gridi vendetta, ma misericordia, e non sia stato inutilmente versato!

Riprendiamo, per concludere, il nostro cammino. Fra i tremila, e forse più, << Sacerdoti Vittime >> abbiamo voluto ricordare oggi P. UMBERTO BRACCHI. Lo scorso 12 marzo 1964, alla inaugurazione del monumento eretto in San Pietro alla venerata figura di Papa Pio XII, Sua Santità Papa Paolo VI chiudeva così la sua magistrale commemorazione: « Ricordarlo è pietà… ricono­scerlo è giustizia… seguirne gli insegnamenti e gli esempi sarà con­forto… e ripensarlo a noi vicino, ancora amico, ancora maestro, ancora padre della Comunione dei Santi, sarà per tutti non falsa speranza ».

Perdonate se da queste auguste parole traggo lo spunto per chiudere la presente conversazione. Non so che cosa si sia fatto o si intenda fare, per più degna­mente onorare la memoria del nostro P. Umberto e degli altri. Forse noi abbiamo un torto, lasciatemelo dire sinceramente; il tono di una… non buona modestia che alle volte ci prende, ci investe, per cui quasi con difficoltà ci determiniamo a onorare i Nostri. Gli altri con il loro chiasso e con la loro propaganda, qualche volta prendono il tono di avere il monopolio dell’eroismo… di essere i soli, degni di rispetto e di memoria, come avessero fatto tutto loro e solo loro. Sistema sbagliato il nostro… conviene ripensarci e provvedere.

P. Umberto Bracchi, Don Sozzi, Don Beotti, Don Delnevo. Ch. Subacchi: sono un Nome… una Figura… un Tipo..! Sono Martiri autentici… sono Sacerdoti Martiri…! e non suona profanazione se ripeto per loro la frase di Sant’Ambrogio: «Appellabo martyrem, praedicavi satis – Ho detto martire, ho detto abbastanza» e po­tremmo anche dire: « Ho detto tutto ».

Nella nebulosità della nostra vita, della nostra mediocrità al­ziamo gli occhi… in alto i cuori. Gli Astri risplendono di vivida luce ed emanano vivificante calore. Il loro esempio ci sproni a maggiore generosità…! Il loro nome ci sia bandiera nelle lotte che ci stringono…! Il loro ricordo, perchè segnato di sangue, ci sia non solo spe­ranza, ma certezza di radiosa vittoria!

d. Carlo M. Aphel

« Montagne insanguinate» (Molinari d. Riccardo)

«Eroismo e Carità» (Ziliani Luigi)

« I Preti sanno morire» (D. Primo Mazzolari)

« Giovane Montagna» (Giornale di Parma)

«Annali della Missione» (1948, pagg. 103-4 )

 «Azione Cattolica» (Libro)

PENSIERI DI COMMEMORAZIONE DEL VENTENNALE

« DELL’ ECCIDIO               DI     STRELA      –         19 LUGLIO 1944″

Mi sento onorato, ma nello stesso tempo confuso e commosso, nel prendere la parola in questa circostanza, che ci raccoglie tutti, oggi, attorno a questa Cappella-Monumento: inaugurato dalle Auto­rità, e su cui è scesa la benedizione del Signore. Monumento innal­zato dalla vostra pietà e fede cristiana, dal vostro amore di fami­glia e di patria, per ricordare un tragico episodio, che degrada nella sua dignità umana chi l’ha compiuto. Per ricordare, commemorare e onorare i Vostri Caduti, i Nostri Morti, che il sublime olocausto della loro vita Li innalza al cielo degli Eroi della Patria, dei Martiri della Fede!

Mentre un’onda di commozione pervade tutti i nostri cuori, e forse… ancora lagrime amare solcano i volti di tanti di noi, che rivivono quel tragico 19 luglio, lontano nel tempo, ma sempre pre­sente nel dolore: vogliamo raccogliere il pensiero che sincero e spontaneo nasce nel contemplare questo monumento, rileggendo quei cari Nomi che il marmo ricorda nel tempo, e l’affetto Li per­petua alla nostra memoria in un ricordo che è Preghiera – Amore ­Perdono!

Contempliamoli quei volti, che in dolce visione sembrano me­stamente sorriderei dalle loro tombe ancor roride di sangue, e ci invitano a sollevare i nostri sguardi alla Croce, ove il Divin Cro­cifisso li ha stretti Tutti in un ampleso fraterno, e identica sale dal labbro comune la grande preghiera: la Preghiera di Gesù: « Padre, perdona loro… ». Mirabile lezione a noi, a tutti: lezione di carità divina, di perdono cristiano! Rinnoviamola e ripetiamola per noi la cristiana e divina preghiema dell’Amore e del Perdono ai piedi di questa Croce fatta: l) Simbolo di Vita e di Resurrezione per i Nostri Morti, i Vostri Caduti. 2) Vessillo di lotta, programma di vita, promessa di premio per noi che sorretti da una forte fede cristiana

ci conforta la dolce speranza del Loro e Nostro eterno arrivederci in Dio!

don Antonio Bracchi

SONETTO

A ricordo dell’ Eroico Sacrificio

di P. Umberto Bracchi c.m.

di Sozzi D. Alessandro – Parroco di Strela

delle Vittime Innocenti

nell’inumano eccidio di Strela del 19-7-1944

D’orridi giorni per la Patria tutta

or son vent’anni, rievoca la scena

questo commosso rito e in cor la pena

rinnova, amici, quale allor, distrutta

la libertà, sentimmo in cor straziante

pel furor d’una guerra fratricida:

e il rogo delle case e l’alte grida

di spose e bimbi sono a noi davante!

Nè valse dei Pastor la voce mite,

chè proprio sopra quest’ameno colle

DON ALESSANDRO E P. UMBERTO, unite

l’alme loro sante, spense l’odio folle!

Ma ancora il loro amor, che a Dio s’ispira,

ci unisca tutti sopra queste zolle;

e questo marmo l’inconsulta ira

plachi ai contrasti; il loro sacrificio

e dei fratelli, mentre il mondo ammira,

d’un liber progredir sia sempre auspicio!

don Ottavio Pettenati

A  ZIA CARMELA

Eri l’ardente fiaccola di un lare antico

l’unico emblema di noi tutti

e t’ergevi superba d’umiltà

a mostrarci nella vita

il retto cammino.

E con la tua parola flebile e persuasiva

che sentiva dell’ Amor del Cristo gl’ideali

infondevi nei nostri cuori

coraggio e novella speranza

per sopportare con rassegnazione i nostri lai.

E nell’appartato tuo compito divino

più che sorella ti mostrasti madre

verso i tuoi fratelli, i nipoti tutti

che in questo giorno santo

in lagrime ti sono vicino

per porgerti l’ultimo saluto.

Ma ancor più vicino

e stretto sul tuo cuore

in un amplesso d’amore santo

è lo spirito di Don Umberto

il tuo beniamino

che sorride dal suo avello

con quel volto rorido di sangue

e dell’aureola del Martirio cinto

che fu in vita il sacro tuo orgoglio

la tua unica speranza.

Ed or congiunti nell’eterna gloria

in quei empirei spazi immortali

al seggio divino recate, o anime sante

 i nostri doni

di lagrime, di preci, di speranza!

un nipote

13 – VII – 1953

STRELA DI COMPIANO (PARMA)

LA MARTIRE DELLA VAL TARO

STATO DI FAMIGLIA

DEI CONIUGI

BRACCHI GIUSEPPE E STEFANINI LUIGIA

BORGO VAL DI TARO (PROV. DI PARMA)

BRACCHI GIUSEPPE fu Giovanni                           n. 29- 8-1855 – m. 12- 2-1922

STEFANINI T. LUIGIA fu Bernardo                         n. 18- 5-1855 – m. 25-11-1928

Bracchi Luigiafu Giuseppe n.1- 8-1876 – m. 14- 4-1961
Bracchi Leone»»n.3-11-1877 – m.6- 4-1880
Bracchi Giovanni»»n. 22- 2-1878 – m. 14- 9-1878
Bracchi CarmeIina»»n. 12- 7-1879 – m. 13- 7-1953
Bracchi Giovanni»»n. 27-11-1880 – m. 18- 9-1942
Bracchi Teresa»»n. 17-10-1881 – m. 19- 2-1896
Bracchi Camillo»,.n.9- 1-1883 – m.6- 3-1888
Bracchi Ernesto»»n. 17- 5-1884 – m. 22- 2-1956
Bracchi Giuseppina»»n. 15-11-1885 – m.3-12-1885
Bracchi AIfonso»»n. 20- 2-1887 – m. 23- 2-1887
Bracchi Giuseppina-Camilla»»n. 16- 2-1888 
Bracchi Ines»»n. 19- 2-1889 – m. 23- 4-1964
Bracchi Benvenuto»»n. 30-10-1890 
Bracchi Giuseppa»»n. 16- 1-1892 
Bracchi Rosanna  »»n.1-10-1893 
Bracchi Ida  »»n. 27-10-1894 – m. 29-11-1897
Bracchi Francesca»»n.6- 2-1896 – m.2- 8-1940.
BRACCHI UMBERTO»»n. 16- 6-1897 – m. 19- 7-1944
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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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