Quelli del Penna Carlo Squeri

CARLO SQUERI

                           Quelli del Penna

                 Quaderno n. 2 Istituto Storico della Resistenza per la Provincia di Parma

II EDIZIONE AMPLIATA E CORRETTA

Volume pubblicato sotto gli auspici del Comitato Regionale Emilia-Romagna per le Celebrazioni del 30° anniversario della Resistenza

                    a Elena

che poco più che adolescente per salvare uno del Penna rintuzzò impavida le minacce dei carcerieri nazifascisti.

Risposta al nemico

Nell’ultima decade dell’aprile 1944 giunse al Comando da parte del Comando germanico una missiva segreta in cui, men­tre si riconosceva il valore delle nostre squadre nella recente battaglia di Tasola e il leale comportamento dei nostri uomini nei riguardi dei prigionieri, ci si invitava subdolamente a en­trare a far causa comune contro gli Anglo-americani; nel qual caso saremmo stati tenuti dal Comando della Wermacht nella massima considerazione. Ci si chiedeva sull’onore militare di conservare il segreto circa tali argomenti con qualsiasi autorità fascista. Ci spiace non essere nella possibilità di riprodurre la let­tera, vero-capolavoro di sottigliezze e di astuzie giacché, inol­trata a suo tempo al Comitato di Parma, è andata perduta in seguito ad azione aerea. La nostra risposta fu così redatta: « I partigiani del Pen­na non vengono a patti col nemico ma solo lo combattono; an­che se in condizioni d’assoluta inferiorità ».

Tana delle Volpi

L’abbiamo battezzata così noi; ne avevamo il diritto aven­dola noi stessi costruita. Era l’insieme di tre baite fatte di tron­chi; due, che si fronteggiavano vicine su uno spiazzo artificiale, servivano da caserma, una appena più in basso era adibita a tana e magazzino. Il tutto sepolto nella foresta di pini del M. Nero.

L’avevamo costruita nella seconda quindicina di aprile con la neve a mezzagamba. Non era stata impresa facile ma l’aiuto di alcuni carbonai vicini di casa ci aveva fatto superare tutti gli ostacoli. Nell’interno le baite-caserma avevano un corridoio la­terale della stessa larghezza dell’entrata con una stufa (di notte sempre accesa e spesso anche di giorno) a metà e per il resto erano occupate da due castelli alla moda militare su cui dormi­vano due squadre, una in basso l’altra in alto. Fuori, riparata da una tettoia appoggiata alla facciata, c’era la cucina: una stu­fa, un tavolaccio, alcune pentole e alcune stoviglie appese.

Di lassù dominavamo tre valli a raggiera: la Val Ceno alla destra, al centro la Val Lecca e la Val Nure alla sinistra. Per i rifornimenti i sistemi erano vari, specie in un primo tempo quan­do, a turno, due o tre partivano con gli zaini per andarsi a ri­fornire di pane a Pertuso, Rompeggio, Selva di Gambaro, Cor­nolo e gli altri tiravano la cinghia scrutando di ora in ora i sen­tieri d’arrivo. In seguito ponemmo una base logistica presso le buone donne di Selvola e a rifornirci dei carichi più pesanti provvedevano i Cortellazzo di Selvola con i muli.

La Tana delle Volpi, per le formazioni del parmense sem­plice sede di distaccamento, fu per le formazioni piacentine del­la Val Nure il nido del primo nucleo che doveva dar origine a numerose Brigate. Il primo grande caduto della Val Nure, là ancora tanto po­polare, fu « Caio » (Ferdinando Guerci), (5) caduto nella presa di Farini d’Olmo (Piacenza) agli ordini dell’Istriano. E Caio alla Tana delle Volpi era l’anima dell’entusiasmo, il più vivace, il più scapigliato di tutti; il volpacchiotto più irrequieto e più simpatico.

Guerci Ferdinando (Caio), nato il 19 gennaio 1924 a Parma, caduto il 26 giugno 1944 a Farini d’Olmo, decorato di Medaglia d’oro con la seguente motivazione: Vice Comandante di una brigata partigiana, durante un cruento combatti­mento per la conquista di un abitato tenuto da un forte presidio nazi-fascista, dopo una alterna lotta durata 36 ore, si lanciava, alla testa dei suoi uomini, in un supremo assalto che decideva le sorti della battaglia travolgendo il nemico sbaragliato dall’epico urto.

Visto un compagno cadere nel folto della mischia, accorreva per racco­glierlo e mentre ne trasportava il corpo dolorante difendendolo con lancio di bombe a mano, veniva mortalmente colpito. Esalava lo spirito eroico nel supremo gesto di fraterna abnegazione. Ful­gido esempio di superba audacia e di alto cameratismo. Farini d’Olmo, 26 giugno 1944.

Le « rocche» di Drusco

Di fronte a Drusco, più in alto verso il M. Nero, c’è un campo di battaglia che deve essere servito, una volta, a centi­naia di ciclopi in lotta, armati di massi di pietra. Non può es­sere che così. Ed è veramente difficile spiegare nella natura cer­te capricciose combinazioni di insieme senza ricorrere alla in­fantile fantasia delle favole. Qua e là si impennano verso l’alto spuntoni rocciosi affioranti dal fogliame dei faggi. Il terreno è cosparso di massi accavallati in un curioso disordine; certi sem­brano squadrati dalla mano dell’uomo e solo il loro volume ne fa escludere la possibilità.

Tra queste rocche i nascondigli, le tane, i tuguri sono in­numerevoli. In una di queste tane – la stessa di cui si era ser­vito un tempo, stando a quanto raccontano i vecchi, un intro­vabile bandito dei posti – erano stati occultati dopo lo scon­tro di Tasola i nostri due feriti Battaglia e Libero: lì erano si­curi. Assistiti dalle amorevoli cure della gente i due feriti eb­bero modo di rimettersi anche stando nella tana. Quale sia la tana in parola non vi saprei indicare di pre­ciso; mi sarebbe molto difficile trovarla anche sul posto. Se vi interessa chiedetelo ai paesani. Nessuno ormai troverà difficoltà ad indicarvela; i tempi sono cambiati.

Un amico, un giorno, mentre passavamo di là mi fece os­servare che le rocche di Drusco sembrano fatte apposta per ospi­tare un santo o un eremita. Che questo debba avvenire lo penso improbabile. Nessuno quassù lo aspetta. E questa brava gente, così vicina alla natura, presagisce i grandi avvenimenti e l’arrivo di grandi uomini; li sente venire. Quando arrivano non sono mai inaspettati. Per ora le rocche di Drusco hanno solo ospitato banditi e partigiani; non ci resta che stare a vedere.

In Canonica a Drusco

Un fiasco di vin secco genovese, una fetta di pecorino e un bel pezzo di pane, nelle notti di fame, ci chiamavano insi­stentemente trasportandoci d’un tratto in canonica a Drusco. Passare a Drusco (Drusiacum nella tavola Traiana) e non entrare in canonica per un partigiano sarebbe stato come per un prete andare a Roma senza andare in Vaticano.

Il cipiglio fiero, il trattare franco e cordiale, la voce stessa di don Viviani, avevano un certo che di militare che attirava i giovani in genere e che doveva attirare i partigiani in par­ticolare. Un giorno la canonica di Drusco restò deserta: don Vivia­ni se n’era andato in Liguria a fare il partigiano. Ma ora è ri­tornato. Passando per Drusco non mancate di fargli visita; un fiasco di vin secco genovese, una fetta di pecorino e un bel pezzo di pane non vi può mancare. In più don Viviani vi potrà rac­contare tante cose nostre che vi faranno piacere.

Dal diario di Nibbio

Stasera si va al lancio. Al tramonto la squadra tutta ar­mata in assetto di battaglia con in saccoccia un pezzo di for­maggio e mezza pagnotta si avvia su per l’erta sassosa dietro due muli carichi di paglia imballata. Si va al lancio. I conta­dini che tornano dai campi sorridono e salutano con cenni d’in­tesa e di augurio. Stanotte le mamme dovranno faticare a tener calmi i più piccoli che a orecchie tese non vorranno addor­mentarsi e al primo ronzio si precipiteranno alla finestra per salutare il colosso invisibile che volteggerà su e giù, di qua e di là, riempiendo la valle del suo ruggito rabbioso e metallico.

Due buone ore di marcia nella notte e il campo di lancio è raggiunto. La paglia e la ramaglia a mucchietti vengono di­sposte secondo il disegno d’ intesa, quindi il gruppetto si stringe a ridosso d’un ceppo gigante di faggio sotto le poche coperte che si son caricate sui muli. Fa un freddo cane. Impossibile dormire; non c’è neanche bisogno di stabilire un turno di guardia. Pedro sta parlando degli inizi e tutti lo ascoltano attenti.

– “Abbiamo fatto l’inverno con pochi moschetti; alcune rivoltelle e una mitragliatrice da carro armato scassata e senza un colpo. – Come potevate pensare di organizzarvi? Avevate già in vista il lancio? – Neanche per sogno. Non ci si pensava affatto alla pos­sibilità di un lancio.

L’entusiasmo ci rendeva ciechi. Tramavamo, preparavamo dei piani senza accorgerci ch’erano senza fondamento per mancanza di mezzi. Gli anziani ci definivano pazzi. Si andava alla caccia di vecchie rivoltelle scassate e arrugginite con l’i­stinto e l’odorato dei cani da caccia. Avevamo la malattia del­l’arma come gli affamati devono avere quella del pane. Quan­do il Comando riuscì a prendere contatto tramite il maresciallo dei carabinieri di Rezzoaglio con il servizio segreto alleato ci sembrò di toccare il cielo con un dito.

Attendemmo settimane e settimane e finalmente una sera Radio Londra trasmise il nostro messaggio. L’entusiasmo si rin­novò, divenne contagioso; l’attesa ci consumava l’anima e ci irrobustiva la fede. Poi il primo lancio. Eravamo a cavallo. Lo abbiamo avuto sull’Orocco. C’era ancora la neve sino al ginoc­chio. I primi Sten ci andarono alla testa. Con quelle armi ci sentivamo invincibili.

Alcuni giorni dopo partimmo in azione contro S. Stefano e l’Osservatorio di S. Lorenzo. Furono le prime vittorie”. Un ronzio lontano fece trattenere a tutti un respiro. Qual­cuno si leva di scatto: « Eccolo, arriva. – State fermi. Aspet­tate il segnale, prima deve prendere direzione – ».

Il ronzio.. molto alto, passa sopra e prosegue verso nord. «Va all’inferno! Deve essere tedesco. Che ora è? ». « Mezzanotte passata ». Il gruppetto si ricompone sotto le coperte a ridosso del ceppo. Qualche minuto di silenzio corroso ad un tratto da un ronzare lontano e persistente in un crescendo d’avvicinamento. « Ecco; ora è lui! La direzione è giusta. Pronti ai fuochi! » La macchina ci sorpassa, picchia sensibilmente più a nord sforzando il motore. « Fuoco! »

Il riflesso di fiamma fuga la notte intorno. Nessuno bada al gioco dei riverberi e delle ombre. Tutta l’attenzione è assor­bita dal gemito metallico e rabbioso che si sprigiona da un punto invisibile roteante nella notte più alto, più basso, più a Nord, più a Sud. Ecco s’allontana. Ritorna rabbioso verso di noi a capofitto; un razzo orizzontale sfreccia e subito si spe­gne. Sgancia.

C’è chi urla, chi comanda, chi commenta. Una teoria di informi ombre scure al limitare della zona di riflesso s’è afflo­sciata a terra appiattandovisi. Tutti si gettano sopra gli involucri giganti. – Queste sono armi. – Qui dentro ci devono esser indumenti. ­ – Ecco l’esplosivo.

Diritto in mezzo ai fuochi, immobile cercavo invano d’in­dovinare l’ombra veloce del trimotore che volteggiava lancian­do; attonito osservavo attorno l’agitarsi dei compagni, il molti­plicarsi delle immobili grosse ombre sparse per il prato e mi stropicciavo gli occhi per la paura di sognare.

Attività varia

I distaccamenti oltre ai regolamentari servizi di guardia provvedevano al continuo pattugliamento dei passi montani più battuti allo scopo di reprimere l’afflusso di bestiame verso il Ge­novese destinato alle FF. AA. tedesche. Nel frattempo venivano eseguiti sequestri di materiale vario, di viveri e di animali da sella, ai danni di elementi fascisti.

Unità efficiente

Nella seconda quindicina di maggio il Gruppo Penna in­quadrava una forza regolare di 220 uomini suddivisi in quat­tro distaccamenti. Nonostante l’inspiegabile interruzione dei lanci le condizioni di armamento ed equipaggiamento, grazie all’abnegazione degli uomini e ai colpi di mano, perduravano discrete. L’armamento consisteva in armi individuali automati­che inglesi, bombe a mano, moschetti italiani e un mitragliatore leggero S. Etienne.

Rastrellamento di primavera

Questo stato di cose portato per vie traverse a conoscenza del comando germanico fu giudicato tale da far ritenere neces­sario per la prima volta nella nostra provincia e zone limitrofe, l’impiego in operazioni di rastrellamento di ingenti forze nazi­fasciste. L’attacco si iniziava improvviso la sera del 22 maggio 1944. Vi partecipavano circa otto mila uomini con armamento scelto, con l’appoggio dell’aviazione. Tutte le direttrici d’acces­so al sistema montuoso del Penna erano battute dal nemico, con provenienza dalla Val Taro, dalla Val Ceno e dalla Val d’Aveto.

L’ordine di sganciamento impartito dal comandante Scar­pa, appena avuto sentore delle forze dislocate in Val Ceno (cir­ca le forze delle altre direttrici di marcia non si aveva la pur minima notizia), veniva immediatamente eseguito, con non po­che difficoltà per il fatto che le punte tedesche si erano a notte fonda spinte verso l’alto raggiungendo gli ultimi paesi. Le ope­razioni durarono tre giorni. Grazie alla intelligenza dei coman­danti di distaccamento non si verificava nessun scontro fron­tale, sebbene l’accerchiamento fosse completo e serrato.

Le perdite partigiane assommarono a 5 morti e un disper­so. Fra la popolazione dell’alta Val Ceno una vittima. A Romezzano era distrutta la casa e venivano asportati i beni alla famiglia del com. di dist. Mario; anche a Costa d’Az­zetta veniva bruciata una casa.

A Bedonia, dopo l’attacco da parte di una squadra di Bill, con l’ausilio di uomini del Gruppo Beretta, contro la macchina di punta della colonna tedesca (vari tedeschi feriti, un patriota caduto), veniva bruciata la casa del sig. Luigi Caramatti e con­tro i muri della stessa veniva fucilato un partigiano del Gruppo Beretta. Vari bedoniesi furono arrestati e alcuni di essi vennero deportati in Germania; tra questi vi fu il maresciallo dei CC. Giorgio Corrieri che da più mesi collaborava con le nostre for­mazioni. A Tomba per le delazioni di un fascista, che ferito e fatto prigioniero a Tasola non aveva esitato a denunciare anche gli stessi che l’avevano curato e ospitato, furono fatti numerosi arresti. Saccheggi, asportazioni e incendi nella zona di Alpe e Setterone. Alpe soltanto perdette più di cinquanta tra case e cascine.

Dal diario di Bert

22 maggio 1944 – Si dice che Bill sia stato attaccato a Bedonia mentre transitava con alcuni uomini diretto nel Bor­gotarese. Volevamo correre di rinforzo, ma un contadino trafe­lato ci ha raggiunti gridandoci che una lunga colonna di mac­chine stava risalendo il passo di Montevacà diretta in VaI Ceno. Un polverone esteso e denso segna infatti il tracciato dello stradale. Arrivano in forza. C’è rastrellamento.

22 maggio tarda sera – E’ tardi. Fuori piove. Qui a Sel­vola con l’lstriano e Fanfulla stiamo aspettando il distacca­mento mandato a chiamare alla Tana delle Volpi. Loro stanno ancora arrivando ad Anzola. Laggiù è una fantasmagoria movi­mentata di fari e di luci che si stempera nella nebbia; uno spet­tacolo che potrebbe essere quasi divertente; gli automezzi de­vono essere veramente molti.

Qui nella cucina dei Cortellazzo si sono riuniti gli uomini del paese; in giro c’è agitazione, nessuno è andato a dormire. Dev’essere passata non di poco la mezzanotte. Nessuno più par­la, molti sonnecchiano. Un ragazzotto si precipita nella stanza: « Vengono su; c’è una colonna di lampadine sulla strada di Casalporino ». L’lstriano è andato a vedere e ritorna quasi subito tutto bagnato: « Bisogna partire. Sono loro. Mandano avanti le pun­te forse per bloccare i paesi prima del giorno. Noi raggiungia­mo il distaccamento, tu partirai per Costa d’Azzetta e riferirai al Comando che tento di portare i miei uomini in VaI Nure ».

La cucina si è fatta deserta. A me fa male qualcosa den­tro il petto. Bisogna partire subito.

23 maggio Sono nascosto in una macchietta di faggi appena fuori dal sentiero. Loro stanno passando là a una ven­tina di passi. Dev’essere mezzogiorno. Stanotte sono stato for­tunato; li ho incontrati nel buio alla croce di SeIvola. « Chi va là, alto là! » E giù una bomba a mano. «Chi va là, alto là! » E giù raffiche di mitra. Io via come un cerbiatto inseguito, poche volte devo essere stato così veloce; la tensione mi faceva vedere anche nel buio reso più denso dalla pioggia: saltavo mu­riccioli, scavalcavo fili spinati, superavo dirupi senza mai ca­dere. Tutt’occhi e denti stretti. All’alba non ho più potuto pro­seguire. Li avevo attorno da tutte le parti. Mi son buttato qui fuori strada. Ho fatto appena in tempo, sono sbucati alla svolta subito dopo. Hanno anche l’appoggio dell’aviazione. Gli aerei ronzano su e giù, di qua e di là, insistono particolarmente sulle rocce del Penna. Chissà cosa sarà degli altri! Verso il Penna sparano. Continuano a passare sul sentiero a squadre. Passando ciangottano nel loro linguaggio duro e metallico come i loro elmi che affiorano dalle siepi mentre passano.

24 maggio Ho fame. Stanotte non ho potuto dormire per il freddo e l’umidità. Gli aerei ronzano in su ed in giù come ieri. Loro continuano a passare per il sentiero. Verso il Penna sparano. . .

Una seconda scissione

Il rastrellamento di primavera produsse la scissione del Gruppo Penna in tre distaccamenti autonomi: Scarpa-Mario, Bill, Istriano. Quest’ultimo portatosi in VaI Nure (Piacenza) organizzava ivi la 59a Brigata Garibaldi che si trasferirà alcuni mesi dopo in Val d’Aveto.

Il distaccamento Scarpa-Mario in azione

Il distaccamento Scarpa-Mario, riorganizzate le file, pas­sava all’azione con una forza di una cinquantina di uomini di­scretamente armati. La notte del 14 giugno 1944 dopo l0 ore di marcia il distaccamento faceva brillare due grosse mine di­sposte dal genio tedesco sulla strada Chiavari-Bedonia in zona Montemoggio. L’azione aveva ottimi risultati, l’interruzione era assai grave: ben 30 metri di scarpata abbattuti. Il 15 giugno il distaccamento procedeva all’occupazione di S. Stefano d’Aveto (Genova) con grande bottino. Buona parte di viveri rinvenuti negli ammassi era distribuita, a razioni, alla popolazione. Da rilevarsi l’entusiastica accoglienza della cittadinanza.

Il giorno 19 giugno 1944, dopo un breve riposo in Val Nu­re, si procedeva all’interruzione della linea ad alta tensione La Spezia-Bobbio. Tre pali in ferro erano fatti saltare in zona mon­tana su scoscendimenti tali da rendere assai precaria l’opera di riattivazione. Indi il distaccamento ritornava in Val d’Aveto, scelta come zona di partenza per nuovi colpi. Il capo squadra Turco (Giovanni Maglia) con alcuni volontari si portava nella zona di Rapallo, ivi agendo. Nell’attacco alla postazione della milizia di Montallegro cadeva gloriosamente. Il giorno 1-7-’44 il distaccamento occupava Rezzoaglio e il giorno 10 la squadra sabotatori con brillante azione faceva saltare completamente il ponte della Squazza presso Borzonasoa interrompendo la strada Chiavari- Piacenza. Il giorno 9-7, in seguito ad attacco nemico al Passo del Bocco con conseguente pressione verso Bedonia, il distaccamento si spostava a sorvegliare le provenienze che dal Passo del Bocco attraverso il Monte Penna portano in Val Ceno e in Val Taro.

Il distaccamento Bill in azione

Nel frattempo anche il distaccamento Bill, entrava in azio­ne. Con una marcia ininterrotta dal monte Segarino a Tiedoli, raggiungeva Ostia e poneva due grosse mine sul ponte parabo­lico della linea ferroviaria Parma-La Spezia. Lo scoppio violen­tissimo faceva abbassare il ponte di 70 cm. e la linea era così interrotta. Al ritorno il distaccamento entrava in Borgotaro sen­za trovare alcuna resistenza, poiché il presidio di militi, avendo avuto sentore dell’attacco, aveva abbandonato poco prima il paese. Secondo accordi presi col Comandante Beretta il giorno successivo doveva essere occupata Bedonia. Sennonché Beretta durante la notte attaccava ed occupava il paese. Il distaccamen­to Bill entrava in Bedonia quando il presidio era già stato so­praffatto. Durante il mese di giugno il distaccamento compiva numerose azioni: faceva saltare il ponte Malanotte sulla strada Bedonia-Chiavari e il ponte di Pelosa sulla stessa strada; ope­rava un’altra interruzione facendo saltare in prossimità del Pas­so del Bocco un tratto di strada; attaccava, ma veniva respinto da rinforzi giunti da Chiavari, il presidio di Borzonasca; faceva saltare il ponte di Isola di Borgonovo sempre sulla strada Be­donia-Chiavari.

In questo periodo il distaccamento Bill aveva una forza di 60 uomini e presidiava i comuni di Bedonia e di Compiano e il paese di S. Maria del Taro sino al passo del Bocco. L’armamento era insufficiente, così pure l’equipaggiamento. Il morale e lo spirito combattivo non erano intaccati dai continui allarmi e conseguenti spostamenti.

Bedonia comune libero

Bedonia fu per la prima volta Comune libero dall’oppres­sione nazi-fascista, dalla seconda decade del giugno 1944 al giorno 17 luglio.

Primo Sindaco del libero Comune fu il Sig. Luigi Serpagli.

Rastrellamento d’estate Battaglie di Grifola e di Pelosa

I primi di Luglio aveva inizio con puntate di assaggio il grande rastrellamento concentrico dell’estate. Venerdì 7 luglio formazioni nemiche si spingevano sino al Passo del Bocco e tro­vavano quivi resistenza per opera della squadra comandata da Fortunin (Fortunato Serventi) del distaccamento Bill e di una squadra di Beretta, che infliggevano loro alcune perdite. Sabato 8, verso le 10, veniva segnalato che una colonna tedesca partita da Pontremoli puntava attraverso i monti verso Borgo Taro. Il distaccamento Bill dietro richiesta del comandante Dragotte si spostava nei pressi di S. Vincenzo dove prendeva contatto con una squadra di Beretta e una dello stesso Dragotte destinate al­l’operazione. Verso le 16 e 10 veniva avvistata una colonna ap­piedata di un centinaio di uomini chescendeva in direzione del­la stazione ferroviaria di Borgo Taro. Alle 17 detta colonna assalita da più parti dai patrioti delle tre formazioni si ritirava nell’abitato di Grifola. Quivi i tedeschi si difendevano con ac­canimento finché, presi alle spalle da una squadra composta in prevalenza da uomini del distaccamento Bill e morto il capitano che li comandava, si sbandavano. Verso le 22 e 30 il combatti­mento poteva dirsi terminato. Da parte nostra si ebbe, un ferito, mentre una decina di tedeschi rimanevano sul terreno ed una trentina venivano fatti prigionieri. Il bottino consistette in due mortai, alcuni mitraglia tori e molti fucili.

Il lunedì successivo reparti tedeschi partiti da Chiavari raggiungevano il Passo del Bocco ed una avanguardia appie­data di oltre 200 uomini, raggiunta S. Maria del Taro, si apprestava a proseguire per Bedonia. Il nostro presidio di Santa Maria del Taro impossibilitato, data la notevole infe­riorità di uomini e di mezzi, a resistere, si era ritirato fin verso l’abitato di Pelosa. Quivi giungevano pure il distaccamento di Bill, reduce dalla battaglia di Grifola, e l’ottava squadra Be­retta comandata da Nino. Si. dispose per l’imboscata. Al mattino del giorno successivo, le vedette segnalavano che la colonna procedeva sullo stradale in direzione di Pelosa. Il nemico cadde nell’imboscata. Dopo tre ore di combattimento l’attacco a bombe a mano, condotto con decisione, sgominava interamente l’avversario. Sul campo rimanevano una quaranti­na di morti nemici, oltre 100 erano i prigionieri (fra questi molti i feriti che furono ricoverati e assistiti in alcuni locali del Seminario di Bedonia adibiti all’uopo). Il bottino fu ingente: sei mitragliatori Mauser, mitra, pistole mitragliatrici, un’ottan­tina di fucili, munizioni, bombe a mano e una motocicletta. Il distaccamento ebbe tre morti e un ferito: il bedoniese Fortu­nato Serventi, Fioravante Piazza (da Cassego di Va rese Ligure) e Lino Pecunia (da Rio Maggiore-La Spezia).

Il giorno successivo nuove unità raggiungevano Pelosa. Il distaccamento schierato sulla costa dell’osservatorio di Alpe manteneva per tre giorni la posizione. Sabato 15 luglio puntate tedesche, provenienti da Borgotaro e da Bardi, rendevano la po­sizione insostenibile. Con ordine si attuava l’operazione di sgan­ciamento verso l’alta Val Ceno.

Guerra agli inermi

Mons. Checchi “Padre di Bedonia”

Le truppe nazi-fasciste, forzate le entrate della Val Taro, ne occuparono in forza i punti strategici predisponendosi per il rastrellamento duro e serrato. Le rappresaglie contro i civili furono assai gravi. Questo fu uno dei rastrellamenti più sangui­nosi che siano stati fatti in Italia. Parecchie decine di civili iner­mi di ogni età furono fucilati. Parecchi paesi andarono comple­tamente distrutti dal fuoco, altri furono ripetutamente canno­neggiati. Circa 500 capi di bestiame furono asportati.

Le rappresaglie sarebbero state certamente molto più gra­vi, specie contro il centro di Bedonia, senza il paterno, corag­gioso e intelligente intervento di Monsignor Paolo Checchi, ar­ciprete di questa località, cui spetta il merito di aver, in più ri­prese, salvato le sorti della popolazione e delle cose. In detti frangenti Mons. Checchi ebbe quale collaboratore l’avv. Angelo Silva, del servizio informazioni, che il Comando della Brigata aveva lasciato in Bedonia per questo scopo.

Merita di rilevare che l’amministratore del seminario, Mons. Silvio Fer­rari, mi riferì di aver personalmente udito il Colonnello comandante tedesco (proveniente da Chiavari) dichiarare che era ben lieto di poter evitare la distruzione del paese di Bedonia (distruzione che era già stata disposta) gra­zie al comportamento umano e civile della popolazione e del comando par­tigiano a favore dei feriti tedeschi catturati a Pelosa.

Infatti i feriti tedeschi furono ricoverati nei locali del seminario e trat­tati dalla popolazione alla stessa stregua dei partigiani feriti. In tale occa­sione si distinse nell’ambito delle relazioni tra popolazione e prigionieri te­deschi l’Avv. Angelo Silva che agiva come interprete.

Gli aguzzini all’opera

Vice Federale fascista di Genova, Vito Spiotta, con la sua cricca di aguzzini, sotto la protezione delle armi nazi-fasci­ste, si insediò nei locali del Seminario di Bedonia procedendo all’interrogatorio degli ostaggi, che ammontavano a circa un centinaio, tra i quali parecchi sacerdoti. Gli ostaggi continua­mente oppressi dalla minaccia di fucilazione in massa, erano sottoposti a snervanti e violenti interrogatori durante i quali al­cuni furono torturati e fustigati a sangue, fra i quali il dottor Angelo Squeri, medico del Gruppo Penna, al quale, nonostante le torture, non si riuscì a strappare una parola. Pure la guardia comunale Ferruccio Bertolotti resistette fortemente alle torture. Nel frattempo i militi del famigerato Btg. Lupo scorrazzavano nella zona depredando e terrorizzando la popolazione già tanto provata.

Il 19 luglio a Strela

Giornata di sangue il 19 luglio 1944 per Strela e per Com­piano. Già dalle prime ore del mattino le squadre nazi-fasciste muovevano dalla provinciale Bedonia-Borgotaro, a catena, ver­so le pendici del monte Pelpi per il rastrellamento. Per quale ragione si sia incrudelito particolarmente contro la popolazione della zona di Strela non è dato sapere. Gli ordini dovevano es­sere però assai precisi se le squadre, raggiunta la località, senza alcuna discriminazione, iniziarono il massacro. Gli uomini ve­nivano fucilati dove si trovavano; se in casa, erano strappati dalle mani dei familiari, condotti fuori e uccisi. Intorno le abi­tazioni e i cascinali erano in fiamme. Dai paesi dell’alta VaI Taro si vedevano le fiamme e le colonne di fumo e tutti sgomen­ti si dicevano: «Strela brucia, domani forse sarà la nostra volta ».

Il Parroco D. Alessandro Sozzi e il missionario Padre Um­berto Bracchi furono condotti innanzi al cimitero e uccisi. Stre­la sotto il sole infuocato di quella giornata di luglio subiva il suo martirio tra il pianto delle donne e il terrore dei bambini, affannati a spegnere gli incendi e a salvare le masserizie a pochi passi dai corpi ancora caldi degli uccisi. Alla fine del massacro diciassette corpi insanguinati in­gombravano i sentieri e i viottoli di Strela. Nessuno poteva av­vicinarsi a ricomporli. E in quei giorni a Strela vi fu gran pianto e per l’aria odor di bruciato e di putrefatto, in un’atmosfera di terrore e di martirio

Vittime e rovine

Nei Comuni di Bedonia, Tornolo e Compiano furono uc­cisi per rappresaglia 61 civili. Furono distrutte completamente 196 case e parzialmente 76; distrutti oltre 200 cascinali; aspor­tati circa 500 capi di bestiame; asportate, nelle numerosissime case svaligiate, cose per un valore di parecchie diecine di milioni.

Si ricompone il Gruppo Penna

Il giorno 22 luglio veniva decisa la fusione del Gruppo Penna comandato da Scarpa col distaccamento Bill. La nuova formazione prendeva la denominazione di Raggruppamento Monte Penna con: comandante Bill (Alfredo Moglia), commis­sario Rolando (Ottavio Braga), vice comandante Aldo (EugenioSolari), intendente Scarpa (Gianni Moglia), ispettore Mario (Albino Monteverdi). Il raggruppamento viene diviso in cinque distaccamenti co­mandati rispettivamente da d’Artagnan, Cleps, Lupo, Firpo, Catone.

Difficoltà notevoli sorgevano, causate principalmente da deficienza di vestiario. Molti uomini del distaccamento Catone erano addirittura scalzi; ciò nonostante il morale dei partigiani e il loro spirito di sacrificio rimasero sempre intatti. La notte del 23 luglio fu fatto un lancio sul nostro campo della Piana del Principe, nella zona del monte Tornado. Scendevano paracadu­tisti della divisione Nembo, comandati dal tenente Roberto, in missione alle dipendenze del Servizio Informazioni Alleato.

Brig. Garibaldi Divisione Cichero

Ai primi di agosto con la fusione del nostro Raggruppa­mento con distaccamenti liguri di recente formazione si formava la 57a Brigata Garibaldi (dipendente dalla III Divisione ligure Cichero comandata da Bisagno), Il Comando della Brigata fu così composto: Bill comandante, Aldo vicecomandante, Rolan­do commiss. politico, Franco vicecommissario politico, Banfi capo di Stato Maggiore, Mario Ispettore, Scarpa intendente.

La Brigata era composta di quattordici distaccamenti di­visi in due battaglioni. Difficoltà notevoli sorsero subito; prima fra tutte la grande estensione di terreno occupata; i distacca­menti dislocati a notevole distanza (dall’alta Val Ceno Emilia al Passo della Forcella nella Val d’Aveto Liguria) rendevano difficili i contatti e il Comando, a causa degli scarsi mezzi di comunicazione di cui era provvisto, non poteva esercitare il con­trollo che si riprometteva sulla Brigata. Ciò nonostante l’andamento generale dei distaccamenti era buono e la disciplina no­tevolmente migliorata. L’equipaggiamento era però assai scarso in fatto di vestiario e di scarpe. L’armamento e il muniziona­mento erano ancora insufficienti.

S. Stefano d’Aveto

Nel luglio-agosto 1944 controllavamo gran parte della Va d’Aveto da S. Stefano al Passo della Forcella sopra Borzonasca. I nostri distaccamenti del Raggruppamento Penna erano accan­tonati nell’alta Val d’Aveto nelle vicinanze di S. Stefano, più uno staccato a Volpara, nell’alta Val Ceno, col compito di con­trollare i movimenti offensivi del forte presidio nemico di Bedonia.

S. Stefano – pittoresco e rigurgitante di sfollati – era il centro della zona libera da noi controllata. Una capitale in mi­niatura d’uno dei tanti Comuni montani autonomi, com’erano a quei tempi le zone sotto il controllo partigiano. Per quanto ri­guarda la vita civile era nostro intendimento aprire la strada ad ogni corrente democratica e perciò antifascista che si facesse avanti, decisa ad assumersi le responsabilità inerenti alla cosa pubblica, ma la mancanza di organi precostituiti – i C.L.N. pe­riferici erano ancora rudimentali e inadeguati – che fossero all’altezza non di reggere soltanto ma anche di innovare, e più ancora la necessità del controllo militare di ogni settore della vita civica – per ragioni di sicurezza – ci metteva di fatto in mano tutto il governo, se così si può dire, delle zone strappate alla tirannide fascista e tedesca. S. Stefano poi rappresentava un campo del tutto nuovo, non avendo avuto ivi il movimento par­tigiano, alcun sviluppo locale. I primi tempi almeno eravamo riguardati alla stregua di uomini della montagna scesi verso l’abitato, a somiglianza dei lupi che s’avvicinano spinti dalla fama agli ovili. Quando per la prima volta alla luce del sole, nel giugno 1944, eravamo scesi a S. Stefano c’eravamo trovati di fronte una popolazione stupefatta ed incredula che non sapeva rendersi conto del come i ribelli potessero essere ragazzi comuni, niente affatto ineducati, spesso imberbi, soltanto un po’ più ab­bronzati e scalcinati degli altri. Rotto l’incanto, molta fu la cor­dialità popolare, molte le bottiglie, molti i canti in comune con le comitive spensierate di giovani eleganti d’un tratto entusia­smati: nella notte ripartivamo per la montagna.

Tornammo altre volte e agli ultimi di luglio, cacciati dalla Val Taro, finalmente ci decidemmo a presidiare fino alla fine di agosto. Da allora la Val d’Aveto ha avuto modo di farsi le sue espe­rienze di guerriglia intrecciate di incubi, di scontri, di rastrella­menti, di distruzioni: è divenuta una valle partigiana anche essa, ma S. Stefano non dimenticherà tanto facilmente i primi partigiani che ha veduti e ospitati; e questi erano “quelli del Penna”.

Alla Casermetta dell’Incisa

Ci eravamo portati lassù, nella foresta del Penna, ai primi di agosto. Il distaccamento Fortunin al completo. La Monte Rosa stava predisponendo si nella riviera per l’attacco e il Co­mando aveva dovuto prendere delle misure di sicurezza. Noi dovevamo sorvegliare le provenienze dalla Valle del Taro e dal Passo del Bocco. La casermetta, messa a soqquadro dai Tedeschi nel rastrellamento del maggio, mancava di porte e finestre, so­stituite subito da noi con mezzi di fortuna: assi, frasche e altri arnesi. I giacigli furono improvvisati con ramaglia di pino, otti­ma per la preservazione dai pidocchi – buoni amici dei parti­giani anche loro -. Il problema più duro era quello del vitto: senza stufa, senza mezzi di cucina, senza una regolare base logi­stica, con mezzi di trasporto a soma assolutamente inadeguati. Cinquanta ragazzi con lo stomaco di vent’anni darebbero lavoro a più muli al giorno e lassù ne arrivava, sì e no, uno ogni due giorni con pane e carne lessata, carne lessata e pane. In com­penso i mirtilli, le fragole, i lamponi non mancavano e cinquanta scorpacciate al giorno decimavano attorno a noi, a vista d’oc­chio, quella grazia di Dio.

I turni di guardia alle postazioni dell’Incisa in vista del Passo del Bocco si alternavano ininterrottamente giorno e notte. L’acqua torrenziale di certe notti d’uragano non riusciva ad aver ragione di quei ragazzi che montavano per ore e ore la guardia a mezz’ora di strada dalla casermetta senza fiatare; nonostante il freddo nelle ossa, l’umidità addosso e in pancia il solo pastone giornaliero di mirtilli e di fragole.

« Quando fanno questi tempi è più facile la sorpresa. Sareb­be da sciocchi fare il loro gioco ». Questo lo capivano tutti. An­che Balilla con i suoi riccioloni ancora sulla fronte, sapeva e ca­piva questo; e si faceva la sua guardia di notte, « sbarbelendo »- diceva lui – dal freddo mentre il vento rompeva violente­mente a ondate la nebbia contro le rocce del Penna. Lì sopra, a un tiro di fucile.

La “Monte Rosa” all’attacco

Nell’ultima decade di agosto i vecchi distaccamenti del Raggruppamento erano schierati a cavallo del crinale Penna-To­rnado, mentre i distaccamenti liguri erano schierati nel senso della Val d’A veto in modo da poter fronteggiare un eventuale attacco che si sviluppasse con provenienza da Borzonasca. La sera del 25 agosto 1944 aveva inizio un’estesa operazione di rastrellamento contro la nostre forze con la partecipazione di SS e di forti contingenti della Divisione alpina Monte Rosa ap­pena rientrata dall’addestramento in Germania. L’attacco era condotto da varie direzioni con provenienze oltre che frontali – Val d’Aveto – anche laterali dal Passo del Bocco – Val Taro -. La superiorità di armi pesanti di cui si valeva l’avver­sario gli permise di aver ragione della nostra resistenza. S’im­pose la necessità di uno sganciamento generale. Sin dal pri­mo giorno l’avversario subì perdite particolarmente gravi nell’attacco all’Incisa (Monte Penna). Il giorno 27 la colonna ne­mica proveniente dal Penna fu attaccata dai vecchi distacca­menti del Raggruppamento sulle rocce del Tornado. Dopo al­cune ore di combattimento, sopraffatti, ci dovemmo ritirare verso il Piacentino lasciando sul terreno due morti: Leonardo Fortunato da Marsala e Giovanni Zacconelli da Ferrara. Impre­cisate le perdite nemiche.

Un funerale (dal diario di Venor)

28 agosto 1944. – Ieri c’è stata battaglia su al Tomarlo. Orlando è caduto. Stamane sono andati su a prenderlo. Con una treggia han portato su della corda, una scala e una cassa improvvisata stanotte. Legato sulla scala lo porteranno giù dalle rocce sino al sentiero dove lo attenderà la cassa legata sulla treggia. Qui a Volpara le donne guardano verso il monte, parandosi con le mani gli occhi. Aspettano il morto. Ecco ar­riva. I buoi sbuffando s’impuntano con le gambe rigide per non scivolare sulla distesa sassosa. Passano via attraverso il paese mentre le donne si segnano e i bimbi scalzi stanno a guardare, imbronciati, con gli occhi dilatati, a gruppetti presso gli spigoli delle case. Guardano la cassa che perde sangue. E’ mezzogiorno. Vanno verso il cimitero di Romezzano. Un ra­gazzotto arriva di corsa dalla mulattiera di Casalporino: « Ven­gono da Anzola. Ci sono i tedeschi che arrivano da Anzola! ».

L’allarme è per gli uomini. Tutti devono sparire. Farsi prendere significa la morte o la deportazione in Germania: nel cervello di questa gente l’una cosa vale l’altra. Non resta che staccare i buoi, trascinare la treggia sotto il fogliame fuori strada e mettersi in salvo. Più tardi notizie più precise riferiscono che i tedeschi sono fermi a Chiesiola. Nel pomeriggio, disposte le vedette ai posti più adatti, col prete innanzi, un chierichetto, alcuni compagni al seguito, la cassa sarà portata a spalla per l’erta sassosa su fino a Romezzano, per essere interrata nel piccolo cimitero di fronte alla chiesa. Le rocce del Penna si levano là di fronte quasi a rinsaldare, con la loro incrollabile saldezza, la fede dei vivi nella vita dei morti.

     

32ª Brigata Garibaldi “Monte Penna”

Per l’opera di riorganizzazione dopo il rastrellamento di fine agosto a causa dell’occupazione e del presidio da parte del

nemico dei comuni di Bedonia e di S. Stefano d’Aveto fummo costretti a ritirarci in VaI Lecca. Ricomposto il Comando a Cor­nolo si dovette prendere in considerazione il desiderio degli uo­mini di mettersi alle dipendenze del Comando Unico Operativo della Provincia di Parma, da poco costituitosi. Si formò così la 32.a Brigata Garibaldi « Monte Penna ».

Il Comando fu composto da: Bill comandante, Rolando commissario poI., Aldo vice comandante, Marco vicecommissa­rio poI., Mario ispettore, Scarpa intendente. Il vicecommissario politico Marco nell’ottobre veniva sostituito da Venor al quale nel febbraio 1945 era affiancato l’Apuano. La forza effettiva era suddivisa in quattro distaccamenti: Turco, Cosimo, For­tunin, Orlando, più una squadra di polizia.

I n azione

L’attività di guerriglia fu ripresa immediatamente. Il gior­no 13 settembre il distaccamento Fortunin disarmava sulla stra­da Bedonia-Chiavari una squadra di alpini catturando 5 cavalli. Il giorno 17 il distaccamento Cosimo catturava un’altra squadra di alpini con due muli e una carretta. Il giorno 24 una squadra del distaccamento Turco faceva brillare alcune mine che provo­cano l’interruzione stradale sulla strada Bedonia-Chiavari.

Bloccata poi una macchina al servizio repubblicano, il di­staccamento Turco si portava a Tarsogno dove prelevava dopo breve sparatoria un tenente medico, una squadra di alpini con due muli e una carretta. Intensa la reazione dell’artiglieria che continuava nella notte a far fuoco con pezzi da 75/13. Il 29 settembre la squadra sabotatori del Comando bruciava intera­mente il ponte di Pelosa ricostruito in legno da reparti del genio tedesco. Il 30 settembre la stessa squadra faceva saltare intera­mente il ponte di Roncareggio sulla strada Bedonia-Chiavari. Il giorno 4 ottobre una pattuglia del distaccamento Orlando cattu­rava nell’interno dell’abitato di S. Stefano d’Aveto presidiato dalla Monte Rosa una pattuglia alpina armata al completo. Il giorno 11una pattuglia dello stesso distaccamento entrava in Rezzoaglio in pieno giorno catturando tre sergenti alpini e un interprete tedesco. All’uscita dal paese la nostra pattuglia era attaccata in forze e di disimpegnava senza perdite. Il giorno 10 ottobre, la seconda squadra del distaccamento Fortunin portatasi sulla strada Varese Ligure-La Spezia attaccava un’autocolonna delle brigate nere di ritorno dal Passo di Cento Croci, dove aveva disarmato gli alpini del presidio perché sospetti di collaborazio­ne con i partigiani. Un autocarro carico di materiale e di truppa veniva fatto saltare con lancio di cariche esplosive. La reazione nemica era intensa specialmente da parte dell’artiglieria dei pre­sidi vicini: la squadra rientrava senza perdite. Il giorno 13 ot­tobre una squadra del distaccamento Turco mentre rientrava da una missione nel versante ligure era circondata ed attaccata da oltre 280 tra alpini e bersaglieri nell’abitato di S. Stefano d’Ave­to. Lo scontro violento per intensità di fuoco – i fascisti aveva­no mitragliatrici e mortai – aveva breve durata; i nostri, rotto il cerchio, riuscivano a raggiungere il distaccamento. Il patriota Brin (Fulvio Fiori da La Spezia) cadeva prigioniero perché fe­rito ed era immediatamente fucilato alla schiena sul sagrato del­la chiesa di S. Stefano d’Aveto. Due altri dei nostri rientravano feriti, tra i quali il commissario del distaccamento, Stefano (Er­nesto Braga).

Il mattino del 17 ottobre, elementi dei distaccamenti Cosi­mo e Fortunin, attaccavano il presidio tedesco di Bertorella sulla strada Borgotaro-Bedonia. La reazione tedesca era intensa. A colpi di bombe a mano erano messe a tacere le postazioni delle mitraglie. Dopo alcune ore di combattimento il presidio era so­praffatto con bottino di armi. Perdite avversarie, 4 morti, alcuni feriti è due prigionieri. Il grosso approfittando della bassa neb­bia riusciva a fuggire attraverso il Taro. Da parte nostra rima­neva ferito L’Apuano (Giuliano Vittori) commissario del distac­camento Cosimo. Nel bottino si rinvennero importanti docu­menti militari. Nella notte del 20 ottobre una squadra di pochi uomini al comando di Bill e di Rolando si recava nell’accampa­mento degli alpini al Passo del Bocco e prelevava un’intera. squa­dra di mitraglieri; complessivamente otto uomini armati: una mitragliatrice tedesca P. 42 e molte cassette di munizioni. In­tensa la reazione nemica con fuoco di 75/13 che batteva la zona circostante per più ore.

In Val Lecca

Autunno 1944. – Gli attacchi e i rastrellamenti susseguiti­si nell’estate: in luglio: Val Taro e Val Ceno; in agosto-settem­bre: Val d’Aveto – e la tattica delle zone centrali fortemente presidiate adottata dal nemico, ci avevano costretti a compri­merei in Val Lecca. Fu un accantonamento di ripiego. Dopo il controllo di vaste estensioni e di centri abitati di una certa im­portanza – Bedonia, S. Stefano d’Aveto – essere chiusi in quella valle stretta e tetra c’era da sentirsi mancare il respiro. Per di più si era in autunno e pioveva assai di frequente. Certi giorni i viottoli erano tutto fango e a molti mancavano le scarpe. La prospettiva d’un inverno per nulla facile ci stava innanzi. Tra i molti problemi quelli del vestiario, delle calzature e del munizionamento erano i più spinosi. Molti chiedevano di par­tire in missione per la Val d’A veto e la Val Taro con lo scopo precipuo di avere le scarpe degli alpini uccisi o fatti prigio­nieri; e per partire spesso bisognava farsi imprestare le scarpe, scalzi non si andava tanto lontani.

Il tempo in cui fummo in Val Lecca segnò la percentuale massima delle diserzioni alpine della Monte Rosa. Dai presidi vicini fuggivano numerosi soldati per passare nelle nostre file. Buoni ragazzi di tutte le regioni dell’Italia centro-settentrionale, i quali al primo contatto s’immedesimavano delle nostre stesse idealità e quasi sempre divenivano nelle varie squadre elementi distinti per disciplina e per spirito combattivo. Arrivavano da noi disorientati, quasi spauriti, un’ora dopo fraternizzavano come vecchi compagni di avventura.

Dalla Val Lecca quando già la prima neve aveva preso po­sizione – come un nemico insidioso e temuto – sui monti at­torno, ci spostammo più in basso in alta VaI Ceno spingendoci sino nei dintorni di Bedonia.

Giustizia partigiana

Fin dai primi tempi della organizzazione del Gruppo Pen­na, quando le formazioni erano autonome e senza precise diret­tive da parte di comandi superiori, per la garanzia della disci­plina interna e la punizione dell’attività anti-partigiana fun­zionò il Tribunale militare di Gruppo. Le disposizioni superiori uscite in proposito molto più tardi non richiesero da parte nostra una vera e propria modifica.

Tra le varie sentenze emesse dal nostro Tribunale militare, alcune delle quali capitali, va ricordata quella a carico di An­drea Sabini reo confesso di aver arbitrariamente soppresso mi­litari disertori dalle file nemiche e di essersi arbitrariamente per­messo di procedere a requisizioni di materiale vario nella zona di Pontestrambo. Il Sabini fu condannato alla fucilazione alla schiena. La sentenza venne eseguita nel Cimitero di Illica.

Grandi aviolanci

Le condizioni di equipaggiamento perduravano preoccu­panti e si acuivano sempre più coll’avanzare dell’inverno. Du­rante il dicembre 1944, finalmente, tramite la missione Roche­ster, con noi sempre collegata nel servizio reciproco di infor­mazioni, ricevemmo, nella zona di Strela, diversi aviolanci grazie ai quali le condizioni d’equipaggiamento e d’armamento migliorarono sensibilmente.

Rastrellamento invernale

La notte del 31 dicembre 1944 s’iniziò il grande rastrella­mento dell’inverno. Una colonna nemica, forte di parecchie cen­tinaia di uomini, attaccava le nostre posizioni nei pressi di Carniglia difesa dal distaccamento Orlando. Dopo alcune ore di combattimento il nemico, che evidentemente aveva esatte infor­mazioni sulle nostre postazioni e sulla nostra forza, riusciva a sfondare aprendosi così la strada per Bedonia; nello scontro su­biva, però, diverse perdite. Da parte nostra un prigioniero ed un mulo carico di materiale da casermaggio catturato. Si dispose, allora, per una linea di difesa che correva sul crinale tra l’alta Val Ceno e la Val Lecca. La mattina dal 2 gennaio 1945 gli al­pini entravano nella valle del Ceno congiungendosi con altre forze provenienti da S. Stefano d’Aveto. Una puntata dalla Val d’Aveto ci minacciava alle spalle. Ogni resistenza sarebbe stata contraria al più elementare criterio strategico. Tuttavia, pur di mantenere la compattezza della formazione, ci si ritirava su una linea più arretrata verso le pendici del monte Ragola. Il giorno 7 la Brigata al completo, esclusi due distaccamenti che si sgan­ciavano verso Cereseto, tentava di rientrare in Val Ceno in parte già rastrellata. Una colonna di tedeschi e mongoli partita da Per­tuso e scesa a Cornolo, attraverso la Zoallo, e la presenza di for­ze alpine a Illica e Ponteceno, nonché la nevicata eccezionale, impedivano il passaggio in massa. La sera del giorno 7 la Bri­gata veniva frazionata in gruppi di lO uomini guidati ognuno da un caposquadra pratico del luogo, per poter più agevolmente durante la notte, eludere la sorveglianza delle truppe accerchian­ti. Un gruppo di 80 uomini col Comando di Brigata essendo stato avvistato e inseguito da colonne avversarie riusciva sola­mente dopo due giorni e due notti di marcia nella neve a raggiun­gere la zona già rastrellata, nell’alta Val Ceno.

Nostre perdite complessive furono: 7 partigiani caduti (in combattimento o per assideramento); quaranta tra ammalati e congelati tra cui il comandante e il commissario di Brigata. Du­rante la marcia sulle montagne un distaccamento composto di soldati russi che avevano disertato dalle file tedesche si distinse particolarmente nell’aprire la strada, nella neve assai alta, al resto della Brigata; senza la preziosa opera di questi generosi uomini, temprati al freddo e al gelo, ben più gravi sarebbero state le nostre perdite.

Aviolancio di medicinali

Le preoccupanti condizioni fisiche in cui versavano molti nostri uomini distribuiti presso le ospitali famiglie di vari paesi dell’alta Val Ceno o raccolti nell’ospedaletto di Casa Iaroli (or­ganizzato e diretto dall’instancabile Barbariccia Maoli Elvio) ci indussero a richiedere d’urgenza al Comando Alleato un lancio di medicinali. Questo fu effettuato alla fine di gennaio, presso l’abitato di Cese (Romezzano).

Riorganizzazione e azione

Al rastrellamento dell’inverno seguì un lungo laborioso la­voro riorganizzativo. Si procedette a una severa epurazione di elementi che il rastrellamento aveva rilevato di scarso spirito partigiano.

Riorganizzati i reparti si passò all’azione. Nella notte del 7 marzo uomini del Btg. Cosimo attaccarono in azione di di­sturbo le munite postazioni nemiche del Passo del Bocco. La reazione avversaria appoggiata dal fuoco di 75/13 fu intensa e durò per tutta la notte. Il Btg. Turco portatosi nella zona della Via Emilia attaccava a più riprese automezzi nemici. Il giorno 8 marzo distruggeva un’autobotte; la sera del 10 attaccava due camions carichi di truppa distruggendoli e provocando la morte di 14 nemici; il giorno 12 sulla strada Salsomaggiore-Fidenza attaccava e distruggeva un camion infliggendo al nemico tre perdite e catturando un prigioniero; la mattina del 16 una pat­tuglia dello stesso Btg. si spingeva nella piazza di Salsomaggiore e attaccava il presidio delle Brigate Nere durante l’istruzione: i militi si sbandarono in preda a panico. Il giorno 20 marzo una pattuglia del Btg. Cosimo in collaborazione con elementi della la Julia attaccava un pattuglione tedesco nei pressi di Valmoz­zola causandogli perdite e mettendolo in fuga.

Costituzione della Divisione “Val Ceno”

Ai primi di marzo 1945 veniva costituita la Divisione« Val Ceno» formata dalle Brigate: 32a Garibaldi «Monte Penna », 32a Garibaldi « Coppelli », 31a Garibaldi « Forni », 135a Ga­ribaldi « Mario Betti », 78a Brigata S.A.P. Garibaldi.

Il Capo di Stato Maggiore della 32a Mario Squeri era chia­mato al Comando di Divisione con l’incarico di Capo di Stato Maggiore e Vicecomandante e veniva rimpiazzato presso il no­stro Comando da Mario, già Ispettore.

Generosi fino all’ultimo col fratello nemico

Ecco il testo di una missiva fatta pervenire 1’11 marzo 1945 al comandante il presidio alpino del Passo del Bocco e rimasta senza risposta.« Sappiamo che lei, comandante, è una persona onesta e leale e vogliamo quindi darle modo di rivedere la sua posizione e di cooperare, sebbene in ritardo, alla rinascita della nostra Italia, poiché vogliamo credere che lei non sia in malafede.

Il vostro destino di soldati del fascismo è segnato ormai: la Germania non ha che le armi segrete, frutto esclusivo della sua propaganda, sulle quali contare; gli Anglo-americani hanno passato il Reno, i Russi premono su Berlino, il nazismo è sul­l’orlo del precipizio. Pensate che domani potrebbe essere troppo, tardi per decidere della vostra salvezza. Noi siamo Italiani; con noi c’è tutta la nazione che aspira alla sua libertà, alla democrazia. Noi non siamo soldati senza idea o mercenari: siamo patrioti nel vero senso della parola, e se ora ci appoggiamo agli Alleati, lo facciamo solo perché questo è nell’interesse della nostra Patria, per porla domani, ad una con­ferenza della pace, in una condizione non già di nazione vinta ma alleata, e questa sarà esclusivamente per il sangue versato dai suoi migliori figli che sono denominati dalla propaganda fascista « ribelli ». Questo per noi non è denigrazione; il nostro ideale è ben preciso e sappiamo morire felici per la grandezza della no­stra Patria.

Ma voi per chi combattete? Vi siete legati a una cricca di politicanti che cercano di salvare il loro salvabile, di rimandare il più possibile la loro morte e a sé stessi sacrificano cinicamente tutti voi. E’ ora che apriate gli occhi: presto sarete soli perché i te­deschi andranno a cercare di difendere il loro paese e il penti­mento potrebbe essere troppo tardivo. Se voi amate l’Italia, se nell’interesse di essa saprete sacri­ficare qualsiasi altra idea ammesso che ne abbiate è pos­sibile intenderei e noi la preghiamo di voler dare un appunta­mento in un luogo che verrà stabilito ove secondo le convenzioni internazionali, saranno rispettate le libertà personali e speriamo di riuscire a comprenderci. Non vi è spettacolo più triste di ve­dere il fratello contro il fratello: uniamoci e riformiamo sotto sani principi la nostra Italia che dovrà essere veramente libera. Noi da parte nostra garantiamo sul nostro onore il massimo se­greto e la massima rettitudine. Attendiamo riscontro. Saluti ».

Il Passo del Bocco espugnato

Secondo i piani prestabiliti dai nostri Comandi Superiori, d’intesa col Comando Supremo Alleato, nel quadro delle azioni in grande stile per appoggiare l’ultima offensiva alleata sul fron­te appenninico, la 32a Brigata Garibaldi la notte dal 7 all’8 aprile 1945 prendeva posizione sulla strada del Passo del Bocco. La mattina del 9 nostre pattuglie avanzate entrate nei campi minati avversari mitragliavano e colpivano ripetutamente con colpi di Batzuoka le postazioni nemiche. Una postazione di mitraglia era sconvolta. Il giorno l0 mattina 40 tedeschi partivano dal Passo per far saltare la strada, in località Giaiette, dove in preceden­za avevano scavato profonde buche per la sistemazione dell’e­splosivo. Attaccati dal distaccamento Cosimo, dovevano desi­stere dall’impresa subendo varie perdite in morti e feriti. Nella previsione che nuovi rinforzi giungessero al Bocco si pensò di prevenirli attaccando immediatamente. Alle 13,30 s’iniziò l’at­tacco contro le postazioni nemiche sistemate anche in caverne. Il tiro preciso dei nostri mortai metteva a tacere i mortai loro e il pezzo da 75/13. Un deposito di munizioni colpito saltava e una casa adibita a caserma bruciava provocando nuove esplo­sioni. Pure due boschi vicini prendevano fuoco ed un campo minato saltava. Vista l’impossibilità di un’ulteriore difesa i tede­schi e gli alpini si ritiravano dopo aver innescato la miccia per far saltare i 70 quintali di esplosivo che dovevano servire a in­terrompere la strada; la distruzione era così completa. Le per­dite nemiche assommarono a vari morti, numerosi feriti e quin­dici prigionieri. Da parte nostra due feriti. Il giorno 11 nostre pattuglie si spingevano sulla strada Borzonasca-Borgonovo e at­taccavano una colonna che si ritirava dal Passo della Forcella occupato dalle Brigate Liguri. Il giorno 12 il distaccamento Fortunin appoggiato dai mortaisti attaccava in azione di distur­bo il nemico concentrato in Borgonovo. In questo periodo al Passo del Bocco furono ricuperate e rese innocue oltre 2000 mine.

In Val Padana

Ricevuto l’ordine di spostarci verso il Po, durante la mar­cia, il giorno 27 aprile a Pieve di Cusignano, i distaccamenti si incontrarono con una colonna tedesca che si ritirava dal fronte di Fornovo. Attaccata, la colonna si sbandava e veniva successi­vamente rastrellata da noi e da altri reparti. La Brigata prose­guiva verso il Po incontrandosi con le truppe alleate avanzanti sulla via Emilia. Raggiunto il fiume, in operazioni che duravano più giorni, procedeva il rastrellamento della zona tra la via Emi­lia e il Po nel territorio compreso tra Castelguelfo e Roccabian­ca con ingente bottino in prigionieri, armi, materiale e cavalli.

Glianziani fra i territoriali

Allorché la 32a Brigata Garibaldi dovette lasciare la zona dell’Appennino, per portarsi verso il Po, il presidio della zona venne affidato alla squadra locale di Polizia e a un distaccamen­to di territoriali. Tra i territoriali si distinse una squadra di an­ziani agli ordini del quasi settantenne sig. Antonio Bertelli ­Motta, più volte accorsa nei dintorni su allarme per la temuta presenza di sbandati armati. Questa squadra all’arrivo degli Alleati a Bedonia, armata al completo, rese gli onori militari.

Alla sfilata a Parma

Il giorno 9 maggio la 32a Brigata Garibaldi « Monte Pen­na » in assetto di marcia prendeva parte alla sfilata generale del­le formazioni patriottiche della provincia di Parma per le vie cittadine. Subito dopo, secondo le disposizioni superiori, conse­gnava alle autorità militari designate le armi strappate al nemi­co o ricevute dagli Alleati tenute in pugno con onore per quasi 20 mesi di lotta.

Saluto alla Città

Ecco il testo del volantino lanciato all’arrivo della 32a Brigata in Parma col titolo: «Dal Penna a Parma ». Guardali mentre passano. Osservane l’andatura, Tra tutti ci riconosci? Abbiamo il passo più pesante e più stanco. Siamo quelli che vengono da più lontano. Abbiamo il fare più impac­ciato e più rude. Siamo i più montanari di tutti. Da dove veniamo? Dal Penna, dal Tomarlo, dal Maggiorasca, dai monti più alti dell’Appennino Ligure-Emiliano.

Sorridi nel vederci così spaesati? Da più di quindici mesi non vediamo vie cittadine. Ci par d’essere in un altro mondo. Cosa abbiamo fatto in tutto questo tempo? Abbiamo agito nel Parmense, nel Piacentino, in Liguria. Dal nostro piccolo nucleo di sedici mesi or sono, sono nate varie Brigate.

E noi siamo rimasti quelli del Penna. Il fardello dei ricordi che s’andava sempre più appesantendo ci fermava là vicino a quelle rocce, vicino ai nostri morti, sotto il nostro Penna.

Ci si voleva snidare anche di lassù. Si sapeva che lassù c’era il nido e per realizzare qualcosa loro sapevano che bisognava mettere le mani nel nido. Vennero in forza a più riprese. Brucia­rono i paesi nell’intento di toglierci un tetto, uccisero gli inermi con l’intenzione di toglierci col terrore l’appoggio del popolo. Abbiamo tenuto duro a denti stretti, a pugni stretti, abbia­mo sventato i piani avversari fino a insediarci nelle loro rocca­forti difese, oltre che dalle armi segrete da terribili micidiali iscrizioni. . .

Ed eccoci qua! Siamo eleganti, bene armati? Lo siamo soltanto da pochi mesi. Gli stracci, le scarpe sbrin­dellate furono per mesi e mesi anche nei più rigidi nostre gloriose uniformi. Non ci siamo tutti. Mancano i migliori sepolti nei cimiteri di montagna. Mancano i feriti, i congelati, gli ammalati super­stiti del duro rastrellamento del gennaio, delle sessanta ore di marcia ininterrotta nella neve.

Cosa portiamo nel cuore? Un’esasperata necessità di rinnovamento, una nostalgia in­ soddisfatta di fratellanza, una tempra rotta a tutte le prove, a tutti i sacrifici. Noi del Penna, i più montanari, portiamo alla città il saluto più montanaro e, ne siamo certi, sarà tra i più cari e più apprez­zati.

Ritorno alla normalità

Cessati i rumori della guerriglia, scomparso il terrore, la vita della montagna si è andata normalizzando a passo a passo. I partigiani son tornati alle loro case, i morti ai loro cimiteri; qua e là per i sentieri montani sono sorte o sorgeranno rozze croci con inciso un nome a ricordare ai viandanti il martirio di una giovinezza.

Nei cori nostalgici delle sere d’estate han preso posto i no­stri canti. Quel che è passato di volta in volta inconsciamente affidato dai ricordi alle rimembranze senza forma né colore, nelle incallite menti dei vecchi e nelle irrequiete fantasie dei giovani, sta fermentando; la favola, la leggenda più che la storia metteranno mano sul fermento e ne trarranno spunti e argo­menti. Nelle lunghe serate invernali i nonni delle generazioni fu­ture della montagna avranno di che interessare i piccoli che, a occhi sbarrati, tratterranno il respiro per ascoltare le avventure di tempi tanto duri e diversi.

Ma ora non c’è tempo per i ricordi e le rievocazioni e non ce n’è neanche la voglia. Troppe ferite negli animi non sono ancora rimarginate, troppe mancanze non sono ancora divenute abituali. Molti stanno rimettendo in piedi, con mezzi di fortuna, le macerie dei loro casolari e delle loro cascine; e sono gente quasi dimentica ormai delle avventure passate e del tutto inconscia della grandezza di cui ha dato evidente prova.

Una lapide sul Penna

Il giorno 12 agosto 1945 veniva inaugurata sul monte Penna una lapide commemorativa per i Caduti della 32″ Bri­gata Garibaldi e per i civili della nostra zona uccisi per rap­presaglia. La lapide, fissata nel piedistallo della monumentale statua della Madonna di S. Marco, porta scolpita la seguente iscrizione:

I NOMI DEI CADUTI I

NNALZATI SU QUESTE ROCCE

NIDO DEL PATRIOTTISMO NOSTRO

 RICORDINO NEI SECOLI

QUANTO SANGUE COSTARONO

ALLE POPOLAZIONI DEL BEDONIESE

DELL’ALTE VAL TARO E VAL CENO

E ALLA LORO 32′ BRIGATA GARIBALDI

«MONTE PENNA»

VENTI MESI DI DURA IMPARI

VITTORIOSA LOTTA PER LA LIBERTA’

1943 SETTEMBRE – APRILE 1945

Presenziavano al rito di stretto carattere religioso patriot­tico il Comando di Brigata, la rappresentanza del C.L.N. di Bedonia e, un folto gruppo di valligiani. Officiava il primo cappellano del Gruppo Penna D. Domenico Dallacasa. Il par­tigiano C. Squeri tenne la seguente orazione ufficiale:

« Sarebbe forse più consono allo spirito del rito del mo­mento reprimere in gola ogni parola e lasciare parlare solo il cuore e lo sguardo fisso nell’altrui sguardo, commosso e co­sciente. Ma, Compagni Caduti, che aleggiate oggi intorno a que­sta roccia, a questo altare, che sono la roccia e l’altare ideale del vostro martirio, concedeteci ancora per oggi il ripiego della parola.

Qui oggi ci siamo dati convegno per sentirvi parlare e per parlarvi. La terra già arrossata dal vostro sangue è arida e asciutta: le armi che vi hanno ucciso tacciono ammonticchiate nella ruggine, i vostri corpi si stanno dissolvendo assorbiti dalla terra avida e mai sazia; i vostri nomi vengono scolpiti nel marmo e nel sasso e innalzati sui monumenti; il pianto delle vostre mamme si è fatto più pacato e rassegnato.

Noi siamo tornati alla vita di un tempo, fatta di piccole idee e di piccole cose; ci siamo lasciati riprendere dall’ingra­naggio delle misere passioni umane intrecciate di egoismo e di interesse; siamo ritornati piccoli uomini che si arrabattano affannosamente alla ricerca d’una poltrona più alta e più sof­fice o di un desco più fornito e più invidiato. Voi, nel vostro martirio, vi siete alzati, noi siamo ritor­nati in basso, alla vita piatta di tutti i giorni. Ci si potrebbe chiedere se sia più da invidiare la nostra o la vostra sorte. Né io oso rispondere apertamente perché troppo dubito del con­senso e dell’approvazione dei vivi.

Sta di fatto, che in questo ritorno alla piccola vita nor­male, nessuno di noi può nascondere la delusione. A noi per esservi meno lontano è dato solo di salire fati­cosamente le erte nelle ascese dello spirito. Siamo saliti su questa vetta con la stessa trepidazione con cui la scalavano, e ne sono testimonianza certa i millenari sen­tieri incavati nella roccia, i primi Liguri portando le vittime espiatorie per qui immolarle alla divinità.

Abbiamo portato con noi il simbolo del vostro martirio, perché qui resista nei secoli e faccia di questa vetta, già altare di una religione pagana, già altare della Religione di Cristo, anche immensa naturale ara dedicata ai valori più profondi ed eterni della dignità umana che tutti si accentrano intorno all’ideale per cui vi siete battuti e siete caduti.

Come i vostri nomi sono qui scolpiti nel marmo e alzati nel cielo, così i nomi di tutti i Martiri caduti in ogni tempo per ideali puri e umani, siano scolpiti nel cuore d’ogni uomo e alzati sulle vette dello spirito davanti a tutta l’umanità, vin­dici dei diritti e dei doveri dell’uomo. Sul Calvario del vostro martirio e del nostro ideale formuliamo il voto che a voi sia pace, a noi virtù, concordia e benessere. Nel nome del vostro sangue» .

Quando si cantava

Il sentimento umano quando s’accende per un ideale cerca nel canto uno sfogo e uno stimolo insieme. Così era fra i partigiani specialmente nei primi tempi, fra i primi « ribelli », quando il desiderio di Libertà, di Pace e di Giustizia appariva più vivo che mai.

Quando si cantava, nelle giornate di pioggia e nelle fredde serate della primavera 1944, sul Monte Nero alla «Tana delle volpi», alla melodia di un vecchio inno anarchico, portato fra di noi da un antifascista di Parma Ettore Merusi « Zio », volli adat­tare nuove parole che mi parvero atte a rappresentare gli ideali che ci animavano nella lotta. Nacque così un canto partigiano che di­venne ben presto popolare presso le formazioni liguri nostre confi­nanti e presso quelle del Nord-Emilia, mutando spesso, tramandato oralmente com’era, qualche verso o addirittura qualche strofa.

Questo il testo originale:

E noi farem del monte un baluardo

saprem morire e disprezzar la vita

per noi risorgerà la nuova Italia

con la guerriglia.

Per le nostre vittime tutte invendicate

Per liberar l’oppressa nostra gente

 Ritorna sempre invitto nella lotta

il patriotta.

Il nostro grido è libertà o morte

 sull’aspro PENNA ci siam fatti lupi

al piano scenderem per la battaglia

 per la vittoria.

Famelici di pace e di giustizia

 annienterem ‘l fascismo ed i tiranni

 rossi di sangue e carichi di gloria

 nel fior degli anni.

Ai nostri Morti scaverem la fossa

 sulle rupestri cime sarà posta.

Per Loro sorgerà la nuova Italia

 con la guerriglia.

Informazioni del Comando Germanico sull’organiz­zazione partigiana della zona di Parma (Il docu­mento portava la data dei primi di luglio 1944 ed era destinato alla Compagnia Wallenstein II. annien­tata a Pelosa il giorno 11 luglio 1944)

Gegend P a r m a .

l) Fuehrer: Englischer General.

2) Staerke: 3000 Mann.

3) Zusammensetzung und polit. Einstellung: Italiener aus den an­ grenzenden Gebieten. Sueditaliener und einige Englaender.

4) Ausruestung: Amerik. I.M.G., Gewehre, Pistolen, Handgrana­ten, 4,5 cm. Gra.-Werf., Funkstelle.

Bekleidung: Militaerische und buergerliche Kleidung, gutes Schuhwerk. Reit- und lasttiere.

5) Taetigkeitsgebiet: Raum Monte Penna. (Spora-Bedonia-Alpe­ Setterone-Strepeto-Santa Maria del Taro).

6) Einzelangaben: Wahrscheinlicher Sitz des Hauptquertiers im « Convente Diruto» auf Monte Penna.

Diese Banden stellen die « Brigata Garibaldini Julia» dar. Dem Stab unterstehen die beiden vorgeschobenen.

3) Bedonia:

1. Batf. « Penna»

Kommandant: « Scarpa»

Polito Komm.: «Annibale»

Staerke: etwa 220 Mann, einget. in 3 Komp.: « Scarpa », « Mes­sina » und « Bill ».

2. Batf. « Istriano »

Stearke: etwa 100 Mann, die sich in der Gegend Ferriere auf­halten. Vertrauensleute fuer Befehlsuebermittlung und Melde­gaenger sollen sich in Scapolo un Ceresto befinden.

(Traduzione)

ZONA DI PARMA

1) Comandante: Un generale inglese.

2) Forza: 3000 uomini

3) Composizione: italiani, dei territori confinanti, italiani del sud e alcuni inglesi.

4) Armamento: 1 M.G. americana, fucili, pistole, granate a mano, lanCiagranate e stazioni radio. Cavalli da sella e da tiro. Equipaggiamento: abiti militari e borghesi. Bene calzati.

5) Zona di attività del Monte Penna (Spora, Bedonia, Strepeto, Set­terone, Alpe, S. Maria del Taro).

6) Informazioni particolari: Probabilmente il Comando Generale ri­siede in « Convento diruto» sul Monte Penna.

            Queste bande formano la « Brigata Garibaldina Julia ».

BEDONIA

1. BATTAGLIONE « Penna»

Comandante: Scarpa.

Commissario Politico: Annibale.

Forza: Circa 220 uomini suddivisi in tre compagnie: Scarpa, Mes­sina, Bill.

2. BATTAGLIONE « ISTRIANO »

Forza: Circa 100 uomini che presidiano i dintorni di Ferriere. Fi­duciari e staffette si trovano in Scopolo e Cereseto.

NOTA

Da questo documento appare evidente che il Comando germanico, an­cora nel luglio 1944, riteneva la zona del Penna il centro dell’organizzazio­ne partigiana della Provincia di Parma.

Le notizie esagerate circa la nostra forza sono dovute oltre che a false informazioni a errate deduzioni tratte dall’avversario, in seguito al risultato di certi nostri fatti d’arme.

Basti pensare che nell’azione del rabbioso contrattacco di Tasola, il gior­no della Pasqua 1944, portata a compimento con un drappello di dodici ra­gazzi, l’avversario ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a centinaia di ar­mati all’attacco. E fu questa convinzione che ne provocò la rotta memorabile.

La Battaglia di Pelosa nei documenti segreti catturati al nemico

Geheim

14-7-1944

Sicherungskommandant d. Lfl. 2

-IC-

­Az.: Wallenstein

Br. B. Nr.: W 54/44 geh.

Feindnachrichten (Wallenstein) Nr. 4

V orbemerkung: Alle Ortsangaben werden nach der

Deutschen Heereskarte1: 100 000 gemacht, alle

Meldungen ueber Bandentaetigkeit, eigene Gefechts­taetigkeit usw.,

sind ebenfalls nur nach dieser Karte zu machen. W. gilt als Abkuerzung fuer Wallenstein.

I. Allgemeines.

1) Beim Marsch in die Ausgangsstellungen zu Wallenstein Il sind z.T. erhebliehe Verluste enstanden. Einzelne Gruppen bis zu Kompaniestaerke gerieten in feinfliche Hinteralte und wurden durch schlagartig einsetzeninde Feuerueberfaelle aus leichten und mittleren Waffen (Granatwerfer) ausser Gefecht gesetzt. In allen Faellen hat es zweifellos an der erforderlichen Sicherung und Aufmerksamkeit gefehIt. Der V ormasch im Ban­dengebiet darf auf keinen Fall in geschlossenen Formationen auf den Talstrassen erfolgen, sondern muss aufgelockert, mit ent­sprechender Sicherung nach vorn und naeh den Seiten, moe­glichst uniter Benutzungder Hoehenzuege zu beiden Seiten eines Flusstales erfolgen.

An unuebersichtlichen Strassenstellen, z.B. bei Umgehung gesprengter Bruecken, ist besondere Vorsicht geboten. In regel­maessigen Abstaenden sind namentlich die Hoehenzuege nach M.G. – und Granatwerferatellungen (meist geschickt getarnt angelegt) mit Fernglaesern abzusuchen. Die Truppedarf sich beim Einmarsch in eine Ortschaft oder Haeusergruppe durch scheinbare Ruhe nicht in Sicherheit wiegen, sondern muss ge­rade hier besonders misstrauisch und vorsichtig sein. Trosse sind genuegend weit abgesetzt und ebenfalls kriegsmaessig ge­sichert nachzuziehen.

                                                                             (Traduzione)

Disposizioni generali

Durante la marcia nelle posizioni di uscita sono derivate alla Wallenstein II notevoli perdite. Singoli gruppi sino alla forza di una compagnia s’imbatterono in agguati nemici, fatti segno ad aggressioni con armi leggere e medie (lancia-granate), furono posti fuori combattimento. In ogni caso verificatosi è mancata senza dubbio, la sicurezza e l’attenzione necessaria. La penetrazione in territori occupati da bande non deve avvenire su strade a fondo valle con formazioni compatte ma deve ese­guirsi in ordine sparso con corrispondente sicurezza davanti, dietro, e ai fianchi, possibilmente utilizzando le alture che, d’am­bo i lati seguono, una vallata.

Deve porsi particolare attenzione ai punti stradali difficil­mente visibili quali per esempio le località circostanti ai ponti saltati. E’ importante ispezionare regolarmente con binocoli le alture munite spesso di M.G. e postazioni lanciagranate nel mag­gior numero dei casi abilmente appostate. Durante l’avanzata in un paese o gruppo di case, la truppa non deve credersi, con perfetta calma, al sicuro ma deve proprio qui essere diffidente e attenta.          .

COPIA  (traduzione)

FONOGRAMMA

            Luogo, 23 .2 . 1 945

Alla 148 Div. Fant.

Il Maresciallo Kesselrin Qsserva fra l’altro in una comunicazione telefonica che, in ordine agli attuali decisivi com­battimenti sul fronte italiano, egli esi­ge uno sforzo supremo.         

Noi quì non difendiamo il suolo italiano ma difendiamo la Germania. Nessun palmo di terreno deve essere abbandonato al nemico senza combattere. Comandanti e truppa devono essere convinti di ciò.

F.to Generale  Feurstein

                                                                                                   Luogo,6.3.1945

Al 1014 Batt. Terr. Difesa

  BORGO

Per conoscenza e informazione del precedente ordine.

Il Capit. Comando Comp.

(seguono nel retro firme per presa cono­scenza)

                                                                                           Firma illeggibile

(traduzione)

BEDONIA                  (JD 5)

3-04-45

(Capibanda e persone antinazionali)

Moglia Alfredo,   Capobanda

Moglia Gianni,     Capobanda

Pappadà Gino

Dino, (Figlio (del già noto Michelucci)

Beccarelli Angiolino,

Beccarelli Danilo,

Biolzi Ugo,

Moglia Giovanni,

“Giorgio”(residente in Caneso di Bedonia)

Braga,Dr. ,Figlio del Prof .Braga,Parma

Squeri  Mario. Insegnante

Musa Flaminio,Figlio del Dr.Musa

Musa Alice, sposata Molinari,

pseudonimo”Pantera Grigia”

Lagasi Primino,

Dr. Micheli Marco

Avv . Raggi

Avv.Silva

Carpano Lino e Figli

Della Rina,Direttore della Ditta Carpano

Lagasi,sposata Rossi,”Petaccio”

Dr. Musa, Medico condotto Membro del C.L.N.

Dr. Squeri , Medico Membro del C.L.N.

Del campo, Direttore delle Poste, membro del  C.L.N.

  

Avatar di Sconosciuto

Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

Libri giornali interviste canti foto della Resistenza in Valtaro Val Ceno ANPI ALPI APC

Lascia un commento