
CARLO SQUERI
Quelli del Penna
Quaderno n. 2 Istituto Storico della Resistenza per la Provincia di Parma
II EDIZIONE AMPLIATA E CORRETTA
Volume pubblicato sotto gli auspici del Comitato Regionale Emilia-Romagna per le Celebrazioni del 30° anniversario della Resistenza
a Elena
che poco più che adolescente per salvare uno del Penna rintuzzò impavida le minacce dei carcerieri nazifascisti.
Risposta al nemico
Nell’ultima decade dell’aprile 1944 giunse al Comando da parte del Comando germanico una missiva segreta in cui, mentre si riconosceva il valore delle nostre squadre nella recente battaglia di Tasola e il leale comportamento dei nostri uomini nei riguardi dei prigionieri, ci si invitava subdolamente a entrare a far causa comune contro gli Anglo-americani; nel qual caso saremmo stati tenuti dal Comando della Wermacht nella massima considerazione. Ci si chiedeva sull’onore militare di conservare il segreto circa tali argomenti con qualsiasi autorità fascista. Ci spiace non essere nella possibilità di riprodurre la lettera, vero-capolavoro di sottigliezze e di astuzie giacché, inoltrata a suo tempo al Comitato di Parma, è andata perduta in seguito ad azione aerea. La nostra risposta fu così redatta: « I partigiani del Penna non vengono a patti col nemico ma solo lo combattono; anche se in condizioni d’assoluta inferiorità ».
Tana delle Volpi
L’abbiamo battezzata così noi; ne avevamo il diritto avendola noi stessi costruita. Era l’insieme di tre baite fatte di tronchi; due, che si fronteggiavano vicine su uno spiazzo artificiale, servivano da caserma, una appena più in basso era adibita a tana e magazzino. Il tutto sepolto nella foresta di pini del M. Nero.
L’avevamo costruita nella seconda quindicina di aprile con la neve a mezzagamba. Non era stata impresa facile ma l’aiuto di alcuni carbonai vicini di casa ci aveva fatto superare tutti gli ostacoli. Nell’interno le baite-caserma avevano un corridoio laterale della stessa larghezza dell’entrata con una stufa (di notte sempre accesa e spesso anche di giorno) a metà e per il resto erano occupate da due castelli alla moda militare su cui dormivano due squadre, una in basso l’altra in alto. Fuori, riparata da una tettoia appoggiata alla facciata, c’era la cucina: una stufa, un tavolaccio, alcune pentole e alcune stoviglie appese.
Di lassù dominavamo tre valli a raggiera: la Val Ceno alla destra, al centro la Val Lecca e la Val Nure alla sinistra. Per i rifornimenti i sistemi erano vari, specie in un primo tempo quando, a turno, due o tre partivano con gli zaini per andarsi a rifornire di pane a Pertuso, Rompeggio, Selva di Gambaro, Cornolo e gli altri tiravano la cinghia scrutando di ora in ora i sentieri d’arrivo. In seguito ponemmo una base logistica presso le buone donne di Selvola e a rifornirci dei carichi più pesanti provvedevano i Cortellazzo di Selvola con i muli.
La Tana delle Volpi, per le formazioni del parmense semplice sede di distaccamento, fu per le formazioni piacentine della Val Nure il nido del primo nucleo che doveva dar origine a numerose Brigate. Il primo grande caduto della Val Nure, là ancora tanto popolare, fu « Caio » (Ferdinando Guerci), (5) caduto nella presa di Farini d’Olmo (Piacenza) agli ordini dell’Istriano. E Caio alla Tana delle Volpi era l’anima dell’entusiasmo, il più vivace, il più scapigliato di tutti; il volpacchiotto più irrequieto e più simpatico.
Guerci Ferdinando (Caio), nato il 19 gennaio 1924 a Parma, caduto il 26 giugno 1944 a Farini d’Olmo, decorato di Medaglia d’oro con la seguente motivazione: Vice Comandante di una brigata partigiana, durante un cruento combattimento per la conquista di un abitato tenuto da un forte presidio nazi-fascista, dopo una alterna lotta durata 36 ore, si lanciava, alla testa dei suoi uomini, in un supremo assalto che decideva le sorti della battaglia travolgendo il nemico sbaragliato dall’epico urto.
Visto un compagno cadere nel folto della mischia, accorreva per raccoglierlo e mentre ne trasportava il corpo dolorante difendendolo con lancio di bombe a mano, veniva mortalmente colpito. Esalava lo spirito eroico nel supremo gesto di fraterna abnegazione. Fulgido esempio di superba audacia e di alto cameratismo. Farini d’Olmo, 26 giugno 1944.
Le « rocche» di Drusco
Di fronte a Drusco, più in alto verso il M. Nero, c’è un campo di battaglia che deve essere servito, una volta, a centinaia di ciclopi in lotta, armati di massi di pietra. Non può essere che così. Ed è veramente difficile spiegare nella natura certe capricciose combinazioni di insieme senza ricorrere alla infantile fantasia delle favole. Qua e là si impennano verso l’alto spuntoni rocciosi affioranti dal fogliame dei faggi. Il terreno è cosparso di massi accavallati in un curioso disordine; certi sembrano squadrati dalla mano dell’uomo e solo il loro volume ne fa escludere la possibilità.
Tra queste rocche i nascondigli, le tane, i tuguri sono innumerevoli. In una di queste tane – la stessa di cui si era servito un tempo, stando a quanto raccontano i vecchi, un introvabile bandito dei posti – erano stati occultati dopo lo scontro di Tasola i nostri due feriti Battaglia e Libero: lì erano sicuri. Assistiti dalle amorevoli cure della gente i due feriti ebbero modo di rimettersi anche stando nella tana. Quale sia la tana in parola non vi saprei indicare di preciso; mi sarebbe molto difficile trovarla anche sul posto. Se vi interessa chiedetelo ai paesani. Nessuno ormai troverà difficoltà ad indicarvela; i tempi sono cambiati.
Un amico, un giorno, mentre passavamo di là mi fece osservare che le rocche di Drusco sembrano fatte apposta per ospitare un santo o un eremita. Che questo debba avvenire lo penso improbabile. Nessuno quassù lo aspetta. E questa brava gente, così vicina alla natura, presagisce i grandi avvenimenti e l’arrivo di grandi uomini; li sente venire. Quando arrivano non sono mai inaspettati. Per ora le rocche di Drusco hanno solo ospitato banditi e partigiani; non ci resta che stare a vedere.
In Canonica a Drusco
Un fiasco di vin secco genovese, una fetta di pecorino e un bel pezzo di pane, nelle notti di fame, ci chiamavano insistentemente trasportandoci d’un tratto in canonica a Drusco. Passare a Drusco (Drusiacum nella tavola Traiana) e non entrare in canonica per un partigiano sarebbe stato come per un prete andare a Roma senza andare in Vaticano.
Il cipiglio fiero, il trattare franco e cordiale, la voce stessa di don Viviani, avevano un certo che di militare che attirava i giovani in genere e che doveva attirare i partigiani in particolare. Un giorno la canonica di Drusco restò deserta: don Viviani se n’era andato in Liguria a fare il partigiano. Ma ora è ritornato. Passando per Drusco non mancate di fargli visita; un fiasco di vin secco genovese, una fetta di pecorino e un bel pezzo di pane non vi può mancare. In più don Viviani vi potrà raccontare tante cose nostre che vi faranno piacere.
Dal diario di Nibbio
Stasera si va al lancio. Al tramonto la squadra tutta armata in assetto di battaglia con in saccoccia un pezzo di formaggio e mezza pagnotta si avvia su per l’erta sassosa dietro due muli carichi di paglia imballata. Si va al lancio. I contadini che tornano dai campi sorridono e salutano con cenni d’intesa e di augurio. Stanotte le mamme dovranno faticare a tener calmi i più piccoli che a orecchie tese non vorranno addormentarsi e al primo ronzio si precipiteranno alla finestra per salutare il colosso invisibile che volteggerà su e giù, di qua e di là, riempiendo la valle del suo ruggito rabbioso e metallico.
Due buone ore di marcia nella notte e il campo di lancio è raggiunto. La paglia e la ramaglia a mucchietti vengono disposte secondo il disegno d’ intesa, quindi il gruppetto si stringe a ridosso d’un ceppo gigante di faggio sotto le poche coperte che si son caricate sui muli. Fa un freddo cane. Impossibile dormire; non c’è neanche bisogno di stabilire un turno di guardia. Pedro sta parlando degli inizi e tutti lo ascoltano attenti.
– “Abbiamo fatto l’inverno con pochi moschetti; alcune rivoltelle e una mitragliatrice da carro armato scassata e senza un colpo. – Come potevate pensare di organizzarvi? Avevate già in vista il lancio? – Neanche per sogno. Non ci si pensava affatto alla possibilità di un lancio.
L’entusiasmo ci rendeva ciechi. Tramavamo, preparavamo dei piani senza accorgerci ch’erano senza fondamento per mancanza di mezzi. Gli anziani ci definivano pazzi. Si andava alla caccia di vecchie rivoltelle scassate e arrugginite con l’istinto e l’odorato dei cani da caccia. Avevamo la malattia dell’arma come gli affamati devono avere quella del pane. Quando il Comando riuscì a prendere contatto tramite il maresciallo dei carabinieri di Rezzoaglio con il servizio segreto alleato ci sembrò di toccare il cielo con un dito.
Attendemmo settimane e settimane e finalmente una sera Radio Londra trasmise il nostro messaggio. L’entusiasmo si rinnovò, divenne contagioso; l’attesa ci consumava l’anima e ci irrobustiva la fede. Poi il primo lancio. Eravamo a cavallo. Lo abbiamo avuto sull’Orocco. C’era ancora la neve sino al ginocchio. I primi Sten ci andarono alla testa. Con quelle armi ci sentivamo invincibili.
Alcuni giorni dopo partimmo in azione contro S. Stefano e l’Osservatorio di S. Lorenzo. Furono le prime vittorie”. Un ronzio lontano fece trattenere a tutti un respiro. Qualcuno si leva di scatto: « Eccolo, arriva. – State fermi. Aspettate il segnale, prima deve prendere direzione – ».
Il ronzio.. molto alto, passa sopra e prosegue verso nord. «Va all’inferno! Deve essere tedesco. Che ora è? ». « Mezzanotte passata ». Il gruppetto si ricompone sotto le coperte a ridosso del ceppo. Qualche minuto di silenzio corroso ad un tratto da un ronzare lontano e persistente in un crescendo d’avvicinamento. « Ecco; ora è lui! La direzione è giusta. Pronti ai fuochi! » La macchina ci sorpassa, picchia sensibilmente più a nord sforzando il motore. « Fuoco! »
Il riflesso di fiamma fuga la notte intorno. Nessuno bada al gioco dei riverberi e delle ombre. Tutta l’attenzione è assorbita dal gemito metallico e rabbioso che si sprigiona da un punto invisibile roteante nella notte più alto, più basso, più a Nord, più a Sud. Ecco s’allontana. Ritorna rabbioso verso di noi a capofitto; un razzo orizzontale sfreccia e subito si spegne. Sgancia.
C’è chi urla, chi comanda, chi commenta. Una teoria di informi ombre scure al limitare della zona di riflesso s’è afflosciata a terra appiattandovisi. Tutti si gettano sopra gli involucri giganti. – Queste sono armi. – Qui dentro ci devono esser indumenti. – Ecco l’esplosivo.
Diritto in mezzo ai fuochi, immobile cercavo invano d’indovinare l’ombra veloce del trimotore che volteggiava lanciando; attonito osservavo attorno l’agitarsi dei compagni, il moltiplicarsi delle immobili grosse ombre sparse per il prato e mi stropicciavo gli occhi per la paura di sognare.
Attività varia
I distaccamenti oltre ai regolamentari servizi di guardia provvedevano al continuo pattugliamento dei passi montani più battuti allo scopo di reprimere l’afflusso di bestiame verso il Genovese destinato alle FF. AA. tedesche. Nel frattempo venivano eseguiti sequestri di materiale vario, di viveri e di animali da sella, ai danni di elementi fascisti.
Unità efficiente
Nella seconda quindicina di maggio il Gruppo Penna inquadrava una forza regolare di 220 uomini suddivisi in quattro distaccamenti. Nonostante l’inspiegabile interruzione dei lanci le condizioni di armamento ed equipaggiamento, grazie all’abnegazione degli uomini e ai colpi di mano, perduravano discrete. L’armamento consisteva in armi individuali automatiche inglesi, bombe a mano, moschetti italiani e un mitragliatore leggero S. Etienne.
Rastrellamento di primavera
Questo stato di cose portato per vie traverse a conoscenza del comando germanico fu giudicato tale da far ritenere necessario per la prima volta nella nostra provincia e zone limitrofe, l’impiego in operazioni di rastrellamento di ingenti forze nazifasciste. L’attacco si iniziava improvviso la sera del 22 maggio 1944. Vi partecipavano circa otto mila uomini con armamento scelto, con l’appoggio dell’aviazione. Tutte le direttrici d’accesso al sistema montuoso del Penna erano battute dal nemico, con provenienza dalla Val Taro, dalla Val Ceno e dalla Val d’Aveto.
L’ordine di sganciamento impartito dal comandante Scarpa, appena avuto sentore delle forze dislocate in Val Ceno (circa le forze delle altre direttrici di marcia non si aveva la pur minima notizia), veniva immediatamente eseguito, con non poche difficoltà per il fatto che le punte tedesche si erano a notte fonda spinte verso l’alto raggiungendo gli ultimi paesi. Le operazioni durarono tre giorni. Grazie alla intelligenza dei comandanti di distaccamento non si verificava nessun scontro frontale, sebbene l’accerchiamento fosse completo e serrato.
Le perdite partigiane assommarono a 5 morti e un disperso. Fra la popolazione dell’alta Val Ceno una vittima. A Romezzano era distrutta la casa e venivano asportati i beni alla famiglia del com. di dist. Mario; anche a Costa d’Azzetta veniva bruciata una casa.
A Bedonia, dopo l’attacco da parte di una squadra di Bill, con l’ausilio di uomini del Gruppo Beretta, contro la macchina di punta della colonna tedesca (vari tedeschi feriti, un patriota caduto), veniva bruciata la casa del sig. Luigi Caramatti e contro i muri della stessa veniva fucilato un partigiano del Gruppo Beretta. Vari bedoniesi furono arrestati e alcuni di essi vennero deportati in Germania; tra questi vi fu il maresciallo dei CC. Giorgio Corrieri che da più mesi collaborava con le nostre formazioni. A Tomba per le delazioni di un fascista, che ferito e fatto prigioniero a Tasola non aveva esitato a denunciare anche gli stessi che l’avevano curato e ospitato, furono fatti numerosi arresti. Saccheggi, asportazioni e incendi nella zona di Alpe e Setterone. Alpe soltanto perdette più di cinquanta tra case e cascine.
Dal diario di Bert
22 maggio 1944 – Si dice che Bill sia stato attaccato a Bedonia mentre transitava con alcuni uomini diretto nel Borgotarese. Volevamo correre di rinforzo, ma un contadino trafelato ci ha raggiunti gridandoci che una lunga colonna di macchine stava risalendo il passo di Montevacà diretta in VaI Ceno. Un polverone esteso e denso segna infatti il tracciato dello stradale. Arrivano in forza. C’è rastrellamento.
22 maggio tarda sera – E’ tardi. Fuori piove. Qui a Selvola con l’lstriano e Fanfulla stiamo aspettando il distaccamento mandato a chiamare alla Tana delle Volpi. Loro stanno ancora arrivando ad Anzola. Laggiù è una fantasmagoria movimentata di fari e di luci che si stempera nella nebbia; uno spettacolo che potrebbe essere quasi divertente; gli automezzi devono essere veramente molti.
Qui nella cucina dei Cortellazzo si sono riuniti gli uomini del paese; in giro c’è agitazione, nessuno è andato a dormire. Dev’essere passata non di poco la mezzanotte. Nessuno più parla, molti sonnecchiano. Un ragazzotto si precipita nella stanza: « Vengono su; c’è una colonna di lampadine sulla strada di Casalporino ». L’lstriano è andato a vedere e ritorna quasi subito tutto bagnato: « Bisogna partire. Sono loro. Mandano avanti le punte forse per bloccare i paesi prima del giorno. Noi raggiungiamo il distaccamento, tu partirai per Costa d’Azzetta e riferirai al Comando che tento di portare i miei uomini in VaI Nure ».
La cucina si è fatta deserta. A me fa male qualcosa dentro il petto. Bisogna partire subito.
23 maggio – Sono nascosto in una macchietta di faggi appena fuori dal sentiero. Loro stanno passando là a una ventina di passi. Dev’essere mezzogiorno. Stanotte sono stato fortunato; li ho incontrati nel buio alla croce di SeIvola. « Chi va là, alto là! » E giù una bomba a mano. «Chi va là, alto là! » E giù raffiche di mitra. Io via come un cerbiatto inseguito, poche volte devo essere stato così veloce; la tensione mi faceva vedere anche nel buio reso più denso dalla pioggia: saltavo muriccioli, scavalcavo fili spinati, superavo dirupi senza mai cadere. Tutt’occhi e denti stretti. All’alba non ho più potuto proseguire. Li avevo attorno da tutte le parti. Mi son buttato qui fuori strada. Ho fatto appena in tempo, sono sbucati alla svolta subito dopo. Hanno anche l’appoggio dell’aviazione. Gli aerei ronzano su e giù, di qua e di là, insistono particolarmente sulle rocce del Penna. Chissà cosa sarà degli altri! Verso il Penna sparano. Continuano a passare sul sentiero a squadre. Passando ciangottano nel loro linguaggio duro e metallico come i loro elmi che affiorano dalle siepi mentre passano.
24 maggio – Ho fame. Stanotte non ho potuto dormire per il freddo e l’umidità. Gli aerei ronzano in su ed in giù come ieri. Loro continuano a passare per il sentiero. Verso il Penna sparano. . .
Una seconda scissione
Il rastrellamento di primavera produsse la scissione del Gruppo Penna in tre distaccamenti autonomi: Scarpa-Mario, Bill, Istriano. Quest’ultimo portatosi in VaI Nure (Piacenza) organizzava ivi la 59a Brigata Garibaldi che si trasferirà alcuni mesi dopo in Val d’Aveto.
Il distaccamento Scarpa-Mario in azione
Il distaccamento Scarpa-Mario, riorganizzate le file, passava all’azione con una forza di una cinquantina di uomini discretamente armati. La notte del 14 giugno 1944 dopo l0 ore di marcia il distaccamento faceva brillare due grosse mine disposte dal genio tedesco sulla strada Chiavari-Bedonia in zona Montemoggio. L’azione aveva ottimi risultati, l’interruzione era assai grave: ben 30 metri di scarpata abbattuti. Il 15 giugno il distaccamento procedeva all’occupazione di S. Stefano d’Aveto (Genova) con grande bottino. Buona parte di viveri rinvenuti negli ammassi era distribuita, a razioni, alla popolazione. Da rilevarsi l’entusiastica accoglienza della cittadinanza.
Il giorno 19 giugno 1944, dopo un breve riposo in Val Nure, si procedeva all’interruzione della linea ad alta tensione La Spezia-Bobbio. Tre pali in ferro erano fatti saltare in zona montana su scoscendimenti tali da rendere assai precaria l’opera di riattivazione. Indi il distaccamento ritornava in Val d’Aveto, scelta come zona di partenza per nuovi colpi. Il capo squadra Turco (Giovanni Maglia) con alcuni volontari si portava nella zona di Rapallo, ivi agendo. Nell’attacco alla postazione della milizia di Montallegro cadeva gloriosamente. Il giorno 1-7-’44 il distaccamento occupava Rezzoaglio e il giorno 10 la squadra sabotatori con brillante azione faceva saltare completamente il ponte della Squazza presso Borzonasoa interrompendo la strada Chiavari- Piacenza. Il giorno 9-7, in seguito ad attacco nemico al Passo del Bocco con conseguente pressione verso Bedonia, il distaccamento si spostava a sorvegliare le provenienze che dal Passo del Bocco attraverso il Monte Penna portano in Val Ceno e in Val Taro.
Il distaccamento Bill in azione
Nel frattempo anche il distaccamento Bill, entrava in azione. Con una marcia ininterrotta dal monte Segarino a Tiedoli, raggiungeva Ostia e poneva due grosse mine sul ponte parabolico della linea ferroviaria Parma-La Spezia. Lo scoppio violentissimo faceva abbassare il ponte di 70 cm. e la linea era così interrotta. Al ritorno il distaccamento entrava in Borgotaro senza trovare alcuna resistenza, poiché il presidio di militi, avendo avuto sentore dell’attacco, aveva abbandonato poco prima il paese. Secondo accordi presi col Comandante Beretta il giorno successivo doveva essere occupata Bedonia. Sennonché Beretta durante la notte attaccava ed occupava il paese. Il distaccamento Bill entrava in Bedonia quando il presidio era già stato sopraffatto. Durante il mese di giugno il distaccamento compiva numerose azioni: faceva saltare il ponte Malanotte sulla strada Bedonia-Chiavari e il ponte di Pelosa sulla stessa strada; operava un’altra interruzione facendo saltare in prossimità del Passo del Bocco un tratto di strada; attaccava, ma veniva respinto da rinforzi giunti da Chiavari, il presidio di Borzonasca; faceva saltare il ponte di Isola di Borgonovo sempre sulla strada Bedonia-Chiavari.
In questo periodo il distaccamento Bill aveva una forza di 60 uomini e presidiava i comuni di Bedonia e di Compiano e il paese di S. Maria del Taro sino al passo del Bocco. L’armamento era insufficiente, così pure l’equipaggiamento. Il morale e lo spirito combattivo non erano intaccati dai continui allarmi e conseguenti spostamenti.
Bedonia comune libero
Bedonia fu per la prima volta Comune libero dall’oppressione nazi-fascista, dalla seconda decade del giugno 1944 al giorno 17 luglio.
Primo Sindaco del libero Comune fu il Sig. Luigi Serpagli.
Rastrellamento d’estate Battaglie di Grifola e di Pelosa
I primi di Luglio aveva inizio con puntate di assaggio il grande rastrellamento concentrico dell’estate. Venerdì 7 luglio formazioni nemiche si spingevano sino al Passo del Bocco e trovavano quivi resistenza per opera della squadra comandata da Fortunin (Fortunato Serventi) del distaccamento Bill e di una squadra di Beretta, che infliggevano loro alcune perdite. Sabato 8, verso le 10, veniva segnalato che una colonna tedesca partita da Pontremoli puntava attraverso i monti verso Borgo Taro. Il distaccamento Bill dietro richiesta del comandante Dragotte si spostava nei pressi di S. Vincenzo dove prendeva contatto con una squadra di Beretta e una dello stesso Dragotte destinate all’operazione. Verso le 16 e 10 veniva avvistata una colonna appiedata di un centinaio di uomini chescendeva in direzione della stazione ferroviaria di Borgo Taro. Alle 17 detta colonna assalita da più parti dai patrioti delle tre formazioni si ritirava nell’abitato di Grifola. Quivi i tedeschi si difendevano con accanimento finché, presi alle spalle da una squadra composta in prevalenza da uomini del distaccamento Bill e morto il capitano che li comandava, si sbandavano. Verso le 22 e 30 il combattimento poteva dirsi terminato. Da parte nostra si ebbe, un ferito, mentre una decina di tedeschi rimanevano sul terreno ed una trentina venivano fatti prigionieri. Il bottino consistette in due mortai, alcuni mitraglia tori e molti fucili.
Il lunedì successivo reparti tedeschi partiti da Chiavari raggiungevano il Passo del Bocco ed una avanguardia appiedata di oltre 200 uomini, raggiunta S. Maria del Taro, si apprestava a proseguire per Bedonia. Il nostro presidio di Santa Maria del Taro impossibilitato, data la notevole inferiorità di uomini e di mezzi, a resistere, si era ritirato fin verso l’abitato di Pelosa. Quivi giungevano pure il distaccamento di Bill, reduce dalla battaglia di Grifola, e l’ottava squadra Beretta comandata da Nino. Si. dispose per l’imboscata. Al mattino del giorno successivo, le vedette segnalavano che la colonna procedeva sullo stradale in direzione di Pelosa. Il nemico cadde nell’imboscata. Dopo tre ore di combattimento l’attacco a bombe a mano, condotto con decisione, sgominava interamente l’avversario. Sul campo rimanevano una quarantina di morti nemici, oltre 100 erano i prigionieri (fra questi molti i feriti che furono ricoverati e assistiti in alcuni locali del Seminario di Bedonia adibiti all’uopo). Il bottino fu ingente: sei mitragliatori Mauser, mitra, pistole mitragliatrici, un’ottantina di fucili, munizioni, bombe a mano e una motocicletta. Il distaccamento ebbe tre morti e un ferito: il bedoniese Fortunato Serventi, Fioravante Piazza (da Cassego di Va rese Ligure) e Lino Pecunia (da Rio Maggiore-La Spezia).
Il giorno successivo nuove unità raggiungevano Pelosa. Il distaccamento schierato sulla costa dell’osservatorio di Alpe manteneva per tre giorni la posizione. Sabato 15 luglio puntate tedesche, provenienti da Borgotaro e da Bardi, rendevano la posizione insostenibile. Con ordine si attuava l’operazione di sganciamento verso l’alta Val Ceno.
Guerra agli inermi
Mons. Checchi “Padre di Bedonia”
Le truppe nazi-fasciste, forzate le entrate della Val Taro, ne occuparono in forza i punti strategici predisponendosi per il rastrellamento duro e serrato. Le rappresaglie contro i civili furono assai gravi. Questo fu uno dei rastrellamenti più sanguinosi che siano stati fatti in Italia. Parecchie decine di civili inermi di ogni età furono fucilati. Parecchi paesi andarono completamente distrutti dal fuoco, altri furono ripetutamente cannoneggiati. Circa 500 capi di bestiame furono asportati.
Le rappresaglie sarebbero state certamente molto più gravi, specie contro il centro di Bedonia, senza il paterno, coraggioso e intelligente intervento di Monsignor Paolo Checchi, arciprete di questa località, cui spetta il merito di aver, in più riprese, salvato le sorti della popolazione e delle cose. In detti frangenti Mons. Checchi ebbe quale collaboratore l’avv. Angelo Silva, del servizio informazioni, che il Comando della Brigata aveva lasciato in Bedonia per questo scopo.
Merita di rilevare che l’amministratore del seminario, Mons. Silvio Ferrari, mi riferì di aver personalmente udito il Colonnello comandante tedesco (proveniente da Chiavari) dichiarare che era ben lieto di poter evitare la distruzione del paese di Bedonia (distruzione che era già stata disposta) grazie al comportamento umano e civile della popolazione e del comando partigiano a favore dei feriti tedeschi catturati a Pelosa.
Infatti i feriti tedeschi furono ricoverati nei locali del seminario e trattati dalla popolazione alla stessa stregua dei partigiani feriti. In tale occasione si distinse nell’ambito delle relazioni tra popolazione e prigionieri tedeschi l’Avv. Angelo Silva che agiva come interprete.
Gli aguzzini all’opera
Vice Federale fascista di Genova, Vito Spiotta, con la sua cricca di aguzzini, sotto la protezione delle armi nazi-fasciste, si insediò nei locali del Seminario di Bedonia procedendo all’interrogatorio degli ostaggi, che ammontavano a circa un centinaio, tra i quali parecchi sacerdoti. Gli ostaggi continuamente oppressi dalla minaccia di fucilazione in massa, erano sottoposti a snervanti e violenti interrogatori durante i quali alcuni furono torturati e fustigati a sangue, fra i quali il dottor Angelo Squeri, medico del Gruppo Penna, al quale, nonostante le torture, non si riuscì a strappare una parola. Pure la guardia comunale Ferruccio Bertolotti resistette fortemente alle torture. Nel frattempo i militi del famigerato Btg. Lupo scorrazzavano nella zona depredando e terrorizzando la popolazione già tanto provata.
Il 19 luglio a Strela
Giornata di sangue il 19 luglio 1944 per Strela e per Compiano. Già dalle prime ore del mattino le squadre nazi-fasciste muovevano dalla provinciale Bedonia-Borgotaro, a catena, verso le pendici del monte Pelpi per il rastrellamento. Per quale ragione si sia incrudelito particolarmente contro la popolazione della zona di Strela non è dato sapere. Gli ordini dovevano essere però assai precisi se le squadre, raggiunta la località, senza alcuna discriminazione, iniziarono il massacro. Gli uomini venivano fucilati dove si trovavano; se in casa, erano strappati dalle mani dei familiari, condotti fuori e uccisi. Intorno le abitazioni e i cascinali erano in fiamme. Dai paesi dell’alta VaI Taro si vedevano le fiamme e le colonne di fumo e tutti sgomenti si dicevano: «Strela brucia, domani forse sarà la nostra volta ».
Il Parroco D. Alessandro Sozzi e il missionario Padre Umberto Bracchi furono condotti innanzi al cimitero e uccisi. Strela sotto il sole infuocato di quella giornata di luglio subiva il suo martirio tra il pianto delle donne e il terrore dei bambini, affannati a spegnere gli incendi e a salvare le masserizie a pochi passi dai corpi ancora caldi degli uccisi. Alla fine del massacro diciassette corpi insanguinati ingombravano i sentieri e i viottoli di Strela. Nessuno poteva avvicinarsi a ricomporli. E in quei giorni a Strela vi fu gran pianto e per l’aria odor di bruciato e di putrefatto, in un’atmosfera di terrore e di martirio
Vittime e rovine
Nei Comuni di Bedonia, Tornolo e Compiano furono uccisi per rappresaglia 61 civili. Furono distrutte completamente 196 case e parzialmente 76; distrutti oltre 200 cascinali; asportati circa 500 capi di bestiame; asportate, nelle numerosissime case svaligiate, cose per un valore di parecchie diecine di milioni.
Si ricompone il Gruppo Penna
Il giorno 22 luglio veniva decisa la fusione del Gruppo Penna comandato da Scarpa col distaccamento Bill. La nuova formazione prendeva la denominazione di Raggruppamento Monte Penna con: comandante Bill (Alfredo Moglia), commissario Rolando (Ottavio Braga), vice comandante Aldo (EugenioSolari), intendente Scarpa (Gianni Moglia), ispettore Mario (Albino Monteverdi). Il raggruppamento viene diviso in cinque distaccamenti comandati rispettivamente da d’Artagnan, Cleps, Lupo, Firpo, Catone.
Difficoltà notevoli sorgevano, causate principalmente da deficienza di vestiario. Molti uomini del distaccamento Catone erano addirittura scalzi; ciò nonostante il morale dei partigiani e il loro spirito di sacrificio rimasero sempre intatti. La notte del 23 luglio fu fatto un lancio sul nostro campo della Piana del Principe, nella zona del monte Tornado. Scendevano paracadutisti della divisione Nembo, comandati dal tenente Roberto, in missione alle dipendenze del Servizio Informazioni Alleato.
Brig. Garibaldi – Divisione Cichero
Ai primi di agosto con la fusione del nostro Raggruppamento con distaccamenti liguri di recente formazione si formava la 57a Brigata Garibaldi (dipendente dalla III Divisione ligure Cichero comandata da Bisagno), Il Comando della Brigata fu così composto: Bill comandante, Aldo vicecomandante, Rolando commiss. politico, Franco vicecommissario politico, Banfi capo di Stato Maggiore, Mario Ispettore, Scarpa intendente.
La Brigata era composta di quattordici distaccamenti divisi in due battaglioni. Difficoltà notevoli sorsero subito; prima fra tutte la grande estensione di terreno occupata; i distaccamenti dislocati a notevole distanza (dall’alta Val Ceno Emilia al Passo della Forcella nella Val d’Aveto Liguria) rendevano difficili i contatti e il Comando, a causa degli scarsi mezzi di comunicazione di cui era provvisto, non poteva esercitare il controllo che si riprometteva sulla Brigata. Ciò nonostante l’andamento generale dei distaccamenti era buono e la disciplina notevolmente migliorata. L’equipaggiamento era però assai scarso in fatto di vestiario e di scarpe. L’armamento e il munizionamento erano ancora insufficienti.
A S. Stefano d’Aveto
Nel luglio-agosto 1944 controllavamo gran parte della Va d’Aveto da S. Stefano al Passo della Forcella sopra Borzonasca. I nostri distaccamenti del Raggruppamento Penna erano accantonati nell’alta Val d’Aveto nelle vicinanze di S. Stefano, più uno staccato a Volpara, nell’alta Val Ceno, col compito di controllare i movimenti offensivi del forte presidio nemico di Bedonia.
S. Stefano – pittoresco e rigurgitante di sfollati – era il centro della zona libera da noi controllata. Una capitale in miniatura d’uno dei tanti Comuni montani autonomi, com’erano a quei tempi le zone sotto il controllo partigiano. Per quanto riguarda la vita civile era nostro intendimento aprire la strada ad ogni corrente democratica e perciò antifascista che si facesse avanti, decisa ad assumersi le responsabilità inerenti alla cosa pubblica, ma la mancanza di organi precostituiti – i C.L.N. periferici erano ancora rudimentali e inadeguati – che fossero all’altezza non di reggere soltanto ma anche di innovare, e più ancora la necessità del controllo militare di ogni settore della vita civica – per ragioni di sicurezza – ci metteva di fatto in mano tutto il governo, se così si può dire, delle zone strappate alla tirannide fascista e tedesca. S. Stefano poi rappresentava un campo del tutto nuovo, non avendo avuto ivi il movimento partigiano, alcun sviluppo locale. I primi tempi almeno eravamo riguardati alla stregua di uomini della montagna scesi verso l’abitato, a somiglianza dei lupi che s’avvicinano spinti dalla fama agli ovili. Quando per la prima volta alla luce del sole, nel giugno 1944, eravamo scesi a S. Stefano c’eravamo trovati di fronte una popolazione stupefatta ed incredula che non sapeva rendersi conto del come i ribelli potessero essere ragazzi comuni, niente affatto ineducati, spesso imberbi, soltanto un po’ più abbronzati e scalcinati degli altri. Rotto l’incanto, molta fu la cordialità popolare, molte le bottiglie, molti i canti in comune con le comitive spensierate di giovani eleganti d’un tratto entusiasmati: nella notte ripartivamo per la montagna.
Tornammo altre volte e agli ultimi di luglio, cacciati dalla Val Taro, finalmente ci decidemmo a presidiare fino alla fine di agosto. Da allora la Val d’Aveto ha avuto modo di farsi le sue esperienze di guerriglia intrecciate di incubi, di scontri, di rastrellamenti, di distruzioni: è divenuta una valle partigiana anche essa, ma S. Stefano non dimenticherà tanto facilmente i primi partigiani che ha veduti e ospitati; e questi erano “quelli del Penna”.
Alla Casermetta dell’Incisa
Ci eravamo portati lassù, nella foresta del Penna, ai primi di agosto. Il distaccamento Fortunin al completo. La Monte Rosa stava predisponendo si nella riviera per l’attacco e il Comando aveva dovuto prendere delle misure di sicurezza. Noi dovevamo sorvegliare le provenienze dalla Valle del Taro e dal Passo del Bocco. La casermetta, messa a soqquadro dai Tedeschi nel rastrellamento del maggio, mancava di porte e finestre, sostituite subito da noi con mezzi di fortuna: assi, frasche e altri arnesi. I giacigli furono improvvisati con ramaglia di pino, ottima per la preservazione dai pidocchi – buoni amici dei partigiani anche loro -. Il problema più duro era quello del vitto: senza stufa, senza mezzi di cucina, senza una regolare base logistica, con mezzi di trasporto a soma assolutamente inadeguati. Cinquanta ragazzi con lo stomaco di vent’anni darebbero lavoro a più muli al giorno e lassù ne arrivava, sì e no, uno ogni due giorni con pane e carne lessata, carne lessata e pane. In compenso i mirtilli, le fragole, i lamponi non mancavano e cinquanta scorpacciate al giorno decimavano attorno a noi, a vista d’occhio, quella grazia di Dio.
I turni di guardia alle postazioni dell’Incisa in vista del Passo del Bocco si alternavano ininterrottamente giorno e notte. L’acqua torrenziale di certe notti d’uragano non riusciva ad aver ragione di quei ragazzi che montavano per ore e ore la guardia a mezz’ora di strada dalla casermetta senza fiatare; nonostante il freddo nelle ossa, l’umidità addosso e in pancia il solo pastone giornaliero di mirtilli e di fragole.
« Quando fanno questi tempi è più facile la sorpresa. Sarebbe da sciocchi fare il loro gioco ». Questo lo capivano tutti. Anche Balilla con i suoi riccioloni ancora sulla fronte, sapeva e capiva questo; e si faceva la sua guardia di notte, « sbarbelendo »- diceva lui – dal freddo mentre il vento rompeva violentemente a ondate la nebbia contro le rocce del Penna. Lì sopra, a un tiro di fucile.
La “Monte Rosa” all’attacco
Nell’ultima decade di agosto i vecchi distaccamenti del Raggruppamento erano schierati a cavallo del crinale Penna-Tornado, mentre i distaccamenti liguri erano schierati nel senso della Val d’A veto in modo da poter fronteggiare un eventuale attacco che si sviluppasse con provenienza da Borzonasca. La sera del 25 agosto 1944 aveva inizio un’estesa operazione di rastrellamento contro la nostre forze con la partecipazione di SS e di forti contingenti della Divisione alpina Monte Rosa appena rientrata dall’addestramento in Germania. L’attacco era condotto da varie direzioni con provenienze oltre che frontali – Val d’Aveto – anche laterali dal Passo del Bocco – Val Taro -. La superiorità di armi pesanti di cui si valeva l’avversario gli permise di aver ragione della nostra resistenza. S’impose la necessità di uno sganciamento generale. Sin dal primo giorno l’avversario subì perdite particolarmente gravi nell’attacco all’Incisa (Monte Penna). Il giorno 27 la colonna nemica proveniente dal Penna fu attaccata dai vecchi distaccamenti del Raggruppamento sulle rocce del Tornado. Dopo alcune ore di combattimento, sopraffatti, ci dovemmo ritirare verso il Piacentino lasciando sul terreno due morti: Leonardo Fortunato da Marsala e Giovanni Zacconelli da Ferrara. Imprecisate le perdite nemiche.
Un funerale (dal diario di Venor)
28 agosto 1944. – Ieri c’è stata battaglia su al Tomarlo. Orlando è caduto. Stamane sono andati su a prenderlo. Con una treggia han portato su della corda, una scala e una cassa improvvisata stanotte. Legato sulla scala lo porteranno giù dalle rocce sino al sentiero dove lo attenderà la cassa legata sulla treggia. Qui a Volpara le donne guardano verso il monte, parandosi con le mani gli occhi. Aspettano il morto. Ecco arriva. I buoi sbuffando s’impuntano con le gambe rigide per non scivolare sulla distesa sassosa. Passano via attraverso il paese mentre le donne si segnano e i bimbi scalzi stanno a guardare, imbronciati, con gli occhi dilatati, a gruppetti presso gli spigoli delle case. Guardano la cassa che perde sangue. E’ mezzogiorno. Vanno verso il cimitero di Romezzano. Un ragazzotto arriva di corsa dalla mulattiera di Casalporino: « Vengono da Anzola. Ci sono i tedeschi che arrivano da Anzola! ».
L’allarme è per gli uomini. Tutti devono sparire. Farsi prendere significa la morte o la deportazione in Germania: nel cervello di questa gente l’una cosa vale l’altra. Non resta che staccare i buoi, trascinare la treggia sotto il fogliame fuori strada e mettersi in salvo. Più tardi notizie più precise riferiscono che i tedeschi sono fermi a Chiesiola. Nel pomeriggio, disposte le vedette ai posti più adatti, col prete innanzi, un chierichetto, alcuni compagni al seguito, la cassa sarà portata a spalla per l’erta sassosa su fino a Romezzano, per essere interrata nel piccolo cimitero di fronte alla chiesa. Le rocce del Penna si levano là di fronte quasi a rinsaldare, con la loro incrollabile saldezza, la fede dei vivi nella vita dei morti.
32ª Brigata Garibaldi “Monte Penna”
Per l’opera di riorganizzazione dopo il rastrellamento di fine agosto a causa dell’occupazione e del presidio da parte del
nemico dei comuni di Bedonia e di S. Stefano d’Aveto fummo costretti a ritirarci in VaI Lecca. Ricomposto il Comando a Cornolo si dovette prendere in considerazione il desiderio degli uomini di mettersi alle dipendenze del Comando Unico Operativo della Provincia di Parma, da poco costituitosi. Si formò così la 32.a Brigata Garibaldi « Monte Penna ».
Il Comando fu composto da: Bill comandante, Rolando commissario poI., Aldo vice comandante, Marco vicecommissario poI., Mario ispettore, Scarpa intendente. Il vicecommissario politico Marco nell’ottobre veniva sostituito da Venor al quale nel febbraio 1945 era affiancato l’Apuano. La forza effettiva era suddivisa in quattro distaccamenti: Turco, Cosimo, Fortunin, Orlando, più una squadra di polizia.
I n azione
L’attività di guerriglia fu ripresa immediatamente. Il giorno 13 settembre il distaccamento Fortunin disarmava sulla strada Bedonia-Chiavari una squadra di alpini catturando 5 cavalli. Il giorno 17 il distaccamento Cosimo catturava un’altra squadra di alpini con due muli e una carretta. Il giorno 24 una squadra del distaccamento Turco faceva brillare alcune mine che provocano l’interruzione stradale sulla strada Bedonia-Chiavari.
Bloccata poi una macchina al servizio repubblicano, il distaccamento Turco si portava a Tarsogno dove prelevava dopo breve sparatoria un tenente medico, una squadra di alpini con due muli e una carretta. Intensa la reazione dell’artiglieria che continuava nella notte a far fuoco con pezzi da 75/13. Il 29 settembre la squadra sabotatori del Comando bruciava interamente il ponte di Pelosa ricostruito in legno da reparti del genio tedesco. Il 30 settembre la stessa squadra faceva saltare interamente il ponte di Roncareggio sulla strada Bedonia-Chiavari. Il giorno 4 ottobre una pattuglia del distaccamento Orlando catturava nell’interno dell’abitato di S. Stefano d’Aveto presidiato dalla Monte Rosa una pattuglia alpina armata al completo. Il giorno 11una pattuglia dello stesso distaccamento entrava in Rezzoaglio in pieno giorno catturando tre sergenti alpini e un interprete tedesco. All’uscita dal paese la nostra pattuglia era attaccata in forze e di disimpegnava senza perdite. Il giorno 10 ottobre, la seconda squadra del distaccamento Fortunin portatasi sulla strada Varese Ligure-La Spezia attaccava un’autocolonna delle brigate nere di ritorno dal Passo di Cento Croci, dove aveva disarmato gli alpini del presidio perché sospetti di collaborazione con i partigiani. Un autocarro carico di materiale e di truppa veniva fatto saltare con lancio di cariche esplosive. La reazione nemica era intensa specialmente da parte dell’artiglieria dei presidi vicini: la squadra rientrava senza perdite. Il giorno 13 ottobre una squadra del distaccamento Turco mentre rientrava da una missione nel versante ligure era circondata ed attaccata da oltre 280 tra alpini e bersaglieri nell’abitato di S. Stefano d’Aveto. Lo scontro violento per intensità di fuoco – i fascisti avevano mitragliatrici e mortai – aveva breve durata; i nostri, rotto il cerchio, riuscivano a raggiungere il distaccamento. Il patriota Brin (Fulvio Fiori da La Spezia) cadeva prigioniero perché ferito ed era immediatamente fucilato alla schiena sul sagrato della chiesa di S. Stefano d’Aveto. Due altri dei nostri rientravano feriti, tra i quali il commissario del distaccamento, Stefano (Ernesto Braga).
Il mattino del 17 ottobre, elementi dei distaccamenti Cosimo e Fortunin, attaccavano il presidio tedesco di Bertorella sulla strada Borgotaro-Bedonia. La reazione tedesca era intensa. A colpi di bombe a mano erano messe a tacere le postazioni delle mitraglie. Dopo alcune ore di combattimento il presidio era sopraffatto con bottino di armi. Perdite avversarie, 4 morti, alcuni feriti è due prigionieri. Il grosso approfittando della bassa nebbia riusciva a fuggire attraverso il Taro. Da parte nostra rimaneva ferito L’Apuano (Giuliano Vittori) commissario del distaccamento Cosimo. Nel bottino si rinvennero importanti documenti militari. Nella notte del 20 ottobre una squadra di pochi uomini al comando di Bill e di Rolando si recava nell’accampamento degli alpini al Passo del Bocco e prelevava un’intera. squadra di mitraglieri; complessivamente otto uomini armati: una mitragliatrice tedesca P. 42 e molte cassette di munizioni. Intensa la reazione nemica con fuoco di 75/13 che batteva la zona circostante per più ore.
In Val Lecca
Autunno 1944. – Gli attacchi e i rastrellamenti susseguitisi nell’estate: in luglio: Val Taro e Val Ceno; in agosto-settembre: Val d’Aveto – e la tattica delle zone centrali fortemente presidiate adottata dal nemico, ci avevano costretti a comprimerei in Val Lecca. Fu un accantonamento di ripiego. Dopo il controllo di vaste estensioni e di centri abitati di una certa importanza – Bedonia, S. Stefano d’Aveto – essere chiusi in quella valle stretta e tetra c’era da sentirsi mancare il respiro. Per di più si era in autunno e pioveva assai di frequente. Certi giorni i viottoli erano tutto fango e a molti mancavano le scarpe. La prospettiva d’un inverno per nulla facile ci stava innanzi. Tra i molti problemi quelli del vestiario, delle calzature e del munizionamento erano i più spinosi. Molti chiedevano di partire in missione per la Val d’A veto e la Val Taro con lo scopo precipuo di avere le scarpe degli alpini uccisi o fatti prigionieri; e per partire spesso bisognava farsi imprestare le scarpe, scalzi non si andava tanto lontani.
Il tempo in cui fummo in Val Lecca segnò la percentuale massima delle diserzioni alpine della Monte Rosa. Dai presidi vicini fuggivano numerosi soldati per passare nelle nostre file. Buoni ragazzi di tutte le regioni dell’Italia centro-settentrionale, i quali al primo contatto s’immedesimavano delle nostre stesse idealità e quasi sempre divenivano nelle varie squadre elementi distinti per disciplina e per spirito combattivo. Arrivavano da noi disorientati, quasi spauriti, un’ora dopo fraternizzavano come vecchi compagni di avventura.
Dalla Val Lecca quando già la prima neve aveva preso posizione – come un nemico insidioso e temuto – sui monti attorno, ci spostammo più in basso in alta VaI Ceno spingendoci sino nei dintorni di Bedonia.
Giustizia partigiana
Fin dai primi tempi della organizzazione del Gruppo Penna, quando le formazioni erano autonome e senza precise direttive da parte di comandi superiori, per la garanzia della disciplina interna e la punizione dell’attività anti-partigiana funzionò il Tribunale militare di Gruppo. Le disposizioni superiori uscite in proposito molto più tardi non richiesero da parte nostra una vera e propria modifica.
Tra le varie sentenze emesse dal nostro Tribunale militare, alcune delle quali capitali, va ricordata quella a carico di Andrea Sabini reo confesso di aver arbitrariamente soppresso militari disertori dalle file nemiche e di essersi arbitrariamente permesso di procedere a requisizioni di materiale vario nella zona di Pontestrambo. Il Sabini fu condannato alla fucilazione alla schiena. La sentenza venne eseguita nel Cimitero di Illica.
Grandi aviolanci
Le condizioni di equipaggiamento perduravano preoccupanti e si acuivano sempre più coll’avanzare dell’inverno. Durante il dicembre 1944, finalmente, tramite la missione Rochester, con noi sempre collegata nel servizio reciproco di informazioni, ricevemmo, nella zona di Strela, diversi aviolanci grazie ai quali le condizioni d’equipaggiamento e d’armamento migliorarono sensibilmente.
Rastrellamento invernale
La notte del 31 dicembre 1944 s’iniziò il grande rastrellamento dell’inverno. Una colonna nemica, forte di parecchie centinaia di uomini, attaccava le nostre posizioni nei pressi di Carniglia difesa dal distaccamento Orlando. Dopo alcune ore di combattimento il nemico, che evidentemente aveva esatte informazioni sulle nostre postazioni e sulla nostra forza, riusciva a sfondare aprendosi così la strada per Bedonia; nello scontro subiva, però, diverse perdite. Da parte nostra un prigioniero ed un mulo carico di materiale da casermaggio catturato. Si dispose, allora, per una linea di difesa che correva sul crinale tra l’alta Val Ceno e la Val Lecca. La mattina dal 2 gennaio 1945 gli alpini entravano nella valle del Ceno congiungendosi con altre forze provenienti da S. Stefano d’Aveto. Una puntata dalla Val d’Aveto ci minacciava alle spalle. Ogni resistenza sarebbe stata contraria al più elementare criterio strategico. Tuttavia, pur di mantenere la compattezza della formazione, ci si ritirava su una linea più arretrata verso le pendici del monte Ragola. Il giorno 7 la Brigata al completo, esclusi due distaccamenti che si sganciavano verso Cereseto, tentava di rientrare in Val Ceno in parte già rastrellata. Una colonna di tedeschi e mongoli partita da Pertuso e scesa a Cornolo, attraverso la Zoallo, e la presenza di forze alpine a Illica e Ponteceno, nonché la nevicata eccezionale, impedivano il passaggio in massa. La sera del giorno 7 la Brigata veniva frazionata in gruppi di lO uomini guidati ognuno da un caposquadra pratico del luogo, per poter più agevolmente durante la notte, eludere la sorveglianza delle truppe accerchianti. Un gruppo di 80 uomini col Comando di Brigata essendo stato avvistato e inseguito da colonne avversarie riusciva solamente dopo due giorni e due notti di marcia nella neve a raggiungere la zona già rastrellata, nell’alta Val Ceno.
Nostre perdite complessive furono: 7 partigiani caduti (in combattimento o per assideramento); quaranta tra ammalati e congelati tra cui il comandante e il commissario di Brigata. Durante la marcia sulle montagne un distaccamento composto di soldati russi che avevano disertato dalle file tedesche si distinse particolarmente nell’aprire la strada, nella neve assai alta, al resto della Brigata; senza la preziosa opera di questi generosi uomini, temprati al freddo e al gelo, ben più gravi sarebbero state le nostre perdite.
Aviolancio di medicinali
Le preoccupanti condizioni fisiche in cui versavano molti nostri uomini distribuiti presso le ospitali famiglie di vari paesi dell’alta Val Ceno o raccolti nell’ospedaletto di Casa Iaroli (organizzato e diretto dall’instancabile Barbariccia Maoli Elvio) ci indussero a richiedere d’urgenza al Comando Alleato un lancio di medicinali. Questo fu effettuato alla fine di gennaio, presso l’abitato di Cese (Romezzano).
Riorganizzazione e azione
Al rastrellamento dell’inverno seguì un lungo laborioso lavoro riorganizzativo. Si procedette a una severa epurazione di elementi che il rastrellamento aveva rilevato di scarso spirito partigiano.
Riorganizzati i reparti si passò all’azione. Nella notte del 7 marzo uomini del Btg. Cosimo attaccarono in azione di disturbo le munite postazioni nemiche del Passo del Bocco. La reazione avversaria appoggiata dal fuoco di 75/13 fu intensa e durò per tutta la notte. Il Btg. Turco portatosi nella zona della Via Emilia attaccava a più riprese automezzi nemici. Il giorno 8 marzo distruggeva un’autobotte; la sera del 10 attaccava due camions carichi di truppa distruggendoli e provocando la morte di 14 nemici; il giorno 12 sulla strada Salsomaggiore-Fidenza attaccava e distruggeva un camion infliggendo al nemico tre perdite e catturando un prigioniero; la mattina del 16 una pattuglia dello stesso Btg. si spingeva nella piazza di Salsomaggiore e attaccava il presidio delle Brigate Nere durante l’istruzione: i militi si sbandarono in preda a panico. Il giorno 20 marzo una pattuglia del Btg. Cosimo in collaborazione con elementi della la Julia attaccava un pattuglione tedesco nei pressi di Valmozzola causandogli perdite e mettendolo in fuga.
Costituzione della Divisione “Val Ceno”
Ai primi di marzo 1945 veniva costituita la Divisione« Val Ceno» formata dalle Brigate: 32a Garibaldi «Monte Penna », 32a Garibaldi « Coppelli », 31a Garibaldi « Forni », 135a Garibaldi « Mario Betti », 78a Brigata S.A.P. Garibaldi.
Il Capo di Stato Maggiore della 32a Mario Squeri era chiamato al Comando di Divisione con l’incarico di Capo di Stato Maggiore e Vicecomandante e veniva rimpiazzato presso il nostro Comando da Mario, già Ispettore.
Generosi fino all’ultimo col fratello nemico
Ecco il testo di una missiva fatta pervenire 1’11 marzo 1945 al comandante il presidio alpino del Passo del Bocco e rimasta senza risposta.« Sappiamo che lei, comandante, è una persona onesta e leale e vogliamo quindi darle modo di rivedere la sua posizione e di cooperare, sebbene in ritardo, alla rinascita della nostra Italia, poiché vogliamo credere che lei non sia in malafede.
Il vostro destino di soldati del fascismo è segnato ormai: la Germania non ha che le armi segrete, frutto esclusivo della sua propaganda, sulle quali contare; gli Anglo-americani hanno passato il Reno, i Russi premono su Berlino, il nazismo è sull’orlo del precipizio. Pensate che domani potrebbe essere troppo, tardi per decidere della vostra salvezza. Noi siamo Italiani; con noi c’è tutta la nazione che aspira alla sua libertà, alla democrazia. Noi non siamo soldati senza idea o mercenari: siamo patrioti nel vero senso della parola, e se ora ci appoggiamo agli Alleati, lo facciamo solo perché questo è nell’interesse della nostra Patria, per porla domani, ad una conferenza della pace, in una condizione non già di nazione vinta ma alleata, e questa sarà esclusivamente per il sangue versato dai suoi migliori figli che sono denominati dalla propaganda fascista « ribelli ». Questo per noi non è denigrazione; il nostro ideale è ben preciso e sappiamo morire felici per la grandezza della nostra Patria.
Ma voi per chi combattete? Vi siete legati a una cricca di politicanti che cercano di salvare il loro salvabile, di rimandare il più possibile la loro morte e a sé stessi sacrificano cinicamente tutti voi. E’ ora che apriate gli occhi: presto sarete soli perché i tedeschi andranno a cercare di difendere il loro paese e il pentimento potrebbe essere troppo tardivo. Se voi amate l’Italia, se nell’interesse di essa saprete sacrificare qualsiasi altra idea – ammesso che ne abbiate – è possibile intenderei e noi la preghiamo di voler dare un appuntamento in un luogo che verrà stabilito ove secondo le convenzioni internazionali, saranno rispettate le libertà personali e speriamo di riuscire a comprenderci. Non vi è spettacolo più triste di vedere il fratello contro il fratello: uniamoci e riformiamo sotto sani principi la nostra Italia che dovrà essere veramente libera. Noi da parte nostra garantiamo sul nostro onore il massimo segreto e la massima rettitudine. Attendiamo riscontro. Saluti ».
Il Passo del Bocco espugnato
Secondo i piani prestabiliti dai nostri Comandi Superiori, d’intesa col Comando Supremo Alleato, nel quadro delle azioni in grande stile per appoggiare l’ultima offensiva alleata sul fronte appenninico, la 32a Brigata Garibaldi la notte dal 7 all’8 aprile 1945 prendeva posizione sulla strada del Passo del Bocco. La mattina del 9 nostre pattuglie avanzate entrate nei campi minati avversari mitragliavano e colpivano ripetutamente con colpi di Batzuoka le postazioni nemiche. Una postazione di mitraglia era sconvolta. Il giorno l0 mattina 40 tedeschi partivano dal Passo per far saltare la strada, in località Giaiette, dove in precedenza avevano scavato profonde buche per la sistemazione dell’esplosivo. Attaccati dal distaccamento Cosimo, dovevano desistere dall’impresa subendo varie perdite in morti e feriti. Nella previsione che nuovi rinforzi giungessero al Bocco si pensò di prevenirli attaccando immediatamente. Alle 13,30 s’iniziò l’attacco contro le postazioni nemiche sistemate anche in caverne. Il tiro preciso dei nostri mortai metteva a tacere i mortai loro e il pezzo da 75/13. Un deposito di munizioni colpito saltava e una casa adibita a caserma bruciava provocando nuove esplosioni. Pure due boschi vicini prendevano fuoco ed un campo minato saltava. Vista l’impossibilità di un’ulteriore difesa i tedeschi e gli alpini si ritiravano dopo aver innescato la miccia per far saltare i 70 quintali di esplosivo che dovevano servire a interrompere la strada; la distruzione era così completa. Le perdite nemiche assommarono a vari morti, numerosi feriti e quindici prigionieri. Da parte nostra due feriti. Il giorno 11 nostre pattuglie si spingevano sulla strada Borzonasca-Borgonovo e attaccavano una colonna che si ritirava dal Passo della Forcella occupato dalle Brigate Liguri. Il giorno 12 il distaccamento Fortunin appoggiato dai mortaisti attaccava in azione di disturbo il nemico concentrato in Borgonovo. In questo periodo al Passo del Bocco furono ricuperate e rese innocue oltre 2000 mine.
In Val Padana
Ricevuto l’ordine di spostarci verso il Po, durante la marcia, il giorno 27 aprile a Pieve di Cusignano, i distaccamenti si incontrarono con una colonna tedesca che si ritirava dal fronte di Fornovo. Attaccata, la colonna si sbandava e veniva successivamente rastrellata da noi e da altri reparti. La Brigata proseguiva verso il Po incontrandosi con le truppe alleate avanzanti sulla via Emilia. Raggiunto il fiume, in operazioni che duravano più giorni, procedeva il rastrellamento della zona tra la via Emilia e il Po nel territorio compreso tra Castelguelfo e Roccabianca con ingente bottino in prigionieri, armi, materiale e cavalli.
Glianziani fra i territoriali
Allorché la 32a Brigata Garibaldi dovette lasciare la zona dell’Appennino, per portarsi verso il Po, il presidio della zona venne affidato alla squadra locale di Polizia e a un distaccamento di territoriali. Tra i territoriali si distinse una squadra di anziani agli ordini del quasi settantenne sig. Antonio Bertelli Motta, più volte accorsa nei dintorni su allarme per la temuta presenza di sbandati armati. Questa squadra all’arrivo degli Alleati a Bedonia, armata al completo, rese gli onori militari.
Alla sfilata a Parma
Il giorno 9 maggio la 32a Brigata Garibaldi « Monte Penna » in assetto di marcia prendeva parte alla sfilata generale delle formazioni patriottiche della provincia di Parma per le vie cittadine. Subito dopo, secondo le disposizioni superiori, consegnava alle autorità militari designate le armi strappate al nemico o ricevute dagli Alleati tenute in pugno con onore per quasi 20 mesi di lotta.
Saluto alla Città
Ecco il testo del volantino lanciato all’arrivo della 32a Brigata in Parma col titolo: «Dal Penna a Parma ». Guardali mentre passano. Osservane l’andatura, Tra tutti ci riconosci? Abbiamo il passo più pesante e più stanco. Siamo quelli che vengono da più lontano. Abbiamo il fare più impacciato e più rude. Siamo i più montanari di tutti. Da dove veniamo? Dal Penna, dal Tomarlo, dal Maggiorasca, dai monti più alti dell’Appennino Ligure-Emiliano.
Sorridi nel vederci così spaesati? Da più di quindici mesi non vediamo vie cittadine. Ci par d’essere in un altro mondo. Cosa abbiamo fatto in tutto questo tempo? Abbiamo agito nel Parmense, nel Piacentino, in Liguria. Dal nostro piccolo nucleo di sedici mesi or sono, sono nate varie Brigate.
E noi siamo rimasti quelli del Penna. Il fardello dei ricordi che s’andava sempre più appesantendo ci fermava là vicino a quelle rocce, vicino ai nostri morti, sotto il nostro Penna.
Ci si voleva snidare anche di lassù. Si sapeva che lassù c’era il nido e per realizzare qualcosa loro sapevano che bisognava mettere le mani nel nido. Vennero in forza a più riprese. Bruciarono i paesi nell’intento di toglierci un tetto, uccisero gli inermi con l’intenzione di toglierci col terrore l’appoggio del popolo. Abbiamo tenuto duro a denti stretti, a pugni stretti, abbiamo sventato i piani avversari fino a insediarci nelle loro roccaforti difese, oltre che dalle armi segrete da terribili micidiali iscrizioni. . .
Ed eccoci qua! Siamo eleganti, bene armati? Lo siamo soltanto da pochi mesi. Gli stracci, le scarpe sbrindellate furono per mesi e mesi – anche nei più rigidi – nostre gloriose uniformi. Non ci siamo tutti. Mancano i migliori sepolti nei cimiteri di montagna. Mancano i feriti, i congelati, gli ammalati superstiti del duro rastrellamento del gennaio, delle sessanta ore di marcia ininterrotta nella neve.
Cosa portiamo nel cuore? Un’esasperata necessità di rinnovamento, una nostalgia in soddisfatta di fratellanza, una tempra rotta a tutte le prove, a tutti i sacrifici. Noi del Penna, i più montanari, portiamo alla città il saluto più montanaro e, ne siamo certi, sarà tra i più cari e più apprezzati.
Ritorno alla normalità
Cessati i rumori della guerriglia, scomparso il terrore, la vita della montagna si è andata normalizzando a passo a passo. I partigiani son tornati alle loro case, i morti ai loro cimiteri; qua e là per i sentieri montani sono sorte o sorgeranno rozze croci con inciso un nome a ricordare ai viandanti il martirio di una giovinezza.
Nei cori nostalgici delle sere d’estate han preso posto i nostri canti. Quel che è passato di volta in volta inconsciamente affidato dai ricordi alle rimembranze senza forma né colore, nelle incallite menti dei vecchi e nelle irrequiete fantasie dei giovani, sta fermentando; la favola, la leggenda più che la storia metteranno mano sul fermento e ne trarranno spunti e argomenti. Nelle lunghe serate invernali i nonni delle generazioni future della montagna avranno di che interessare i piccoli che, a occhi sbarrati, tratterranno il respiro per ascoltare le avventure di tempi tanto duri e diversi.
Ma ora non c’è tempo per i ricordi e le rievocazioni e non ce n’è neanche la voglia. Troppe ferite negli animi non sono ancora rimarginate, troppe mancanze non sono ancora divenute abituali. Molti stanno rimettendo in piedi, con mezzi di fortuna, le macerie dei loro casolari e delle loro cascine; e sono gente quasi dimentica ormai delle avventure passate e del tutto inconscia della grandezza di cui ha dato evidente prova.
Una lapide sul Penna
Il giorno 12 agosto 1945 veniva inaugurata sul monte Penna una lapide commemorativa per i Caduti della 32″ Brigata Garibaldi e per i civili della nostra zona uccisi per rappresaglia. La lapide, fissata nel piedistallo della monumentale statua della Madonna di S. Marco, porta scolpita la seguente iscrizione:
I NOMI DEI CADUTI I
NNALZATI SU QUESTE ROCCE
NIDO DEL PATRIOTTISMO NOSTRO
RICORDINO NEI SECOLI
QUANTO SANGUE COSTARONO
ALLE POPOLAZIONI DEL BEDONIESE
DELL’ALTE VAL TARO E VAL CENO
E ALLA LORO 32′ BRIGATA GARIBALDI
«MONTE PENNA»
VENTI MESI DI DURA IMPARI
VITTORIOSA LOTTA PER LA LIBERTA’
1943 SETTEMBRE – APRILE 1945
Presenziavano al rito di stretto carattere religioso patriottico il Comando di Brigata, la rappresentanza del C.L.N. di Bedonia e, un folto gruppo di valligiani. Officiava il primo cappellano del Gruppo Penna D. Domenico Dallacasa. Il partigiano C. Squeri tenne la seguente orazione ufficiale:
« Sarebbe forse più consono allo spirito del rito del momento reprimere in gola ogni parola e lasciare parlare solo il cuore e lo sguardo fisso nell’altrui sguardo, commosso e cosciente. Ma, Compagni Caduti, che aleggiate oggi intorno a questa roccia, a questo altare, che sono la roccia e l’altare ideale del vostro martirio, concedeteci ancora per oggi il ripiego della parola.
Qui oggi ci siamo dati convegno per sentirvi parlare e per parlarvi. La terra già arrossata dal vostro sangue è arida e asciutta: le armi che vi hanno ucciso tacciono ammonticchiate nella ruggine, i vostri corpi si stanno dissolvendo assorbiti dalla terra avida e mai sazia; i vostri nomi vengono scolpiti nel marmo e nel sasso e innalzati sui monumenti; il pianto delle vostre mamme si è fatto più pacato e rassegnato.
Noi siamo tornati alla vita di un tempo, fatta di piccole idee e di piccole cose; ci siamo lasciati riprendere dall’ingranaggio delle misere passioni umane intrecciate di egoismo e di interesse; siamo ritornati piccoli uomini che si arrabattano affannosamente alla ricerca d’una poltrona più alta e più soffice o di un desco più fornito e più invidiato. Voi, nel vostro martirio, vi siete alzati, noi siamo ritornati in basso, alla vita piatta di tutti i giorni. Ci si potrebbe chiedere se sia più da invidiare la nostra o la vostra sorte. Né io oso rispondere apertamente perché troppo dubito del consenso e dell’approvazione dei vivi.
Sta di fatto, che in questo ritorno alla piccola vita normale, nessuno di noi può nascondere la delusione. A noi per esservi meno lontano è dato solo di salire faticosamente le erte nelle ascese dello spirito. Siamo saliti su questa vetta con la stessa trepidazione con cui la scalavano, e ne sono testimonianza certa i millenari sentieri incavati nella roccia, i primi Liguri portando le vittime espiatorie per qui immolarle alla divinità.
Abbiamo portato con noi il simbolo del vostro martirio, perché qui resista nei secoli e faccia di questa vetta, già altare di una religione pagana, già altare della Religione di Cristo, anche immensa naturale ara dedicata ai valori più profondi ed eterni della dignità umana che tutti si accentrano intorno all’ideale per cui vi siete battuti e siete caduti.
Come i vostri nomi sono qui scolpiti nel marmo e alzati nel cielo, così i nomi di tutti i Martiri caduti in ogni tempo per ideali puri e umani, siano scolpiti nel cuore d’ogni uomo e alzati sulle vette dello spirito davanti a tutta l’umanità, vindici dei diritti e dei doveri dell’uomo. Sul Calvario del vostro martirio e del nostro ideale formuliamo il voto che a voi sia pace, a noi virtù, concordia e benessere. Nel nome del vostro sangue» .
Quando si cantava
Il sentimento umano quando s’accende per un ideale cerca nel canto uno sfogo e uno stimolo insieme. Così era fra i partigiani specialmente nei primi tempi, fra i primi « ribelli », quando il desiderio di Libertà, di Pace e di Giustizia appariva più vivo che mai.
Quando si cantava, nelle giornate di pioggia e nelle fredde serate della primavera 1944, sul Monte Nero alla «Tana delle volpi», alla melodia di un vecchio inno anarchico, portato fra di noi da un antifascista di Parma Ettore Merusi « Zio », volli adattare nuove parole che mi parvero atte a rappresentare gli ideali che ci animavano nella lotta. Nacque così un canto partigiano che divenne ben presto popolare presso le formazioni liguri nostre confinanti e presso quelle del Nord-Emilia, mutando spesso, tramandato oralmente com’era, qualche verso o addirittura qualche strofa.
Questo il testo originale:
E noi farem del monte un baluardo
saprem morire e disprezzar la vita
per noi risorgerà la nuova Italia
con la guerriglia.
Per le nostre vittime tutte invendicate
Per liberar l’oppressa nostra gente
Ritorna sempre invitto nella lotta
il patriotta.
Il nostro grido è libertà o morte
sull’aspro PENNA ci siam fatti lupi
al piano scenderem per la battaglia
per la vittoria.
Famelici di pace e di giustizia
annienterem ‘l fascismo ed i tiranni
rossi di sangue e carichi di gloria
nel fior degli anni.
Ai nostri Morti scaverem la fossa
sulle rupestri cime sarà posta.
Per Loro sorgerà la nuova Italia
con la guerriglia.
Informazioni del Comando Germanico sull’organizzazione partigiana della zona di Parma (Il documento portava la data dei primi di luglio 1944 ed era destinato alla Compagnia Wallenstein II. annientata a Pelosa il giorno 11 luglio 1944)
Gegend P a r m a .
l) Fuehrer: Englischer General.
2) Staerke: 3000 Mann.
3) Zusammensetzung und polit. Einstellung: Italiener aus den an grenzenden Gebieten. Sueditaliener und einige Englaender.
4) Ausruestung: Amerik. I.M.G., Gewehre, Pistolen, Handgranaten, 4,5 cm. Gra.-Werf., Funkstelle.
Bekleidung: Militaerische und buergerliche Kleidung, gutes Schuhwerk. Reit- und lasttiere.
5) Taetigkeitsgebiet: Raum Monte Penna. (Spora-Bedonia-Alpe Setterone-Strepeto-Santa Maria del Taro).
6) Einzelangaben: Wahrscheinlicher Sitz des Hauptquertiers im « Convente Diruto» auf Monte Penna.
Diese Banden stellen die « Brigata Garibaldini Julia» dar. Dem Stab unterstehen die beiden vorgeschobenen.
3) Bedonia:
1. Batf. « Penna»
Kommandant: « Scarpa»
Polito Komm.: «Annibale»
Staerke: etwa 220 Mann, einget. in 3 Komp.: « Scarpa », « Messina » und « Bill ».
2. Batf. « Istriano »
Stearke: etwa 100 Mann, die sich in der Gegend Ferriere aufhalten. Vertrauensleute fuer Befehlsuebermittlung und Meldegaenger sollen sich in Scapolo un Ceresto befinden.
(Traduzione)
ZONA DI PARMA
1) Comandante: Un generale inglese.
2) Forza: 3000 uomini
3) Composizione: italiani, dei territori confinanti, italiani del sud e alcuni inglesi.
4) Armamento: 1 M.G. americana, fucili, pistole, granate a mano, lanCiagranate e stazioni radio. Cavalli da sella e da tiro. Equipaggiamento: abiti militari e borghesi. Bene calzati.
5) Zona di attività del Monte Penna (Spora, Bedonia, Strepeto, Setterone, Alpe, S. Maria del Taro).
6) Informazioni particolari: Probabilmente il Comando Generale risiede in « Convento diruto» sul Monte Penna.
Queste bande formano la « Brigata Garibaldina Julia ».
BEDONIA
1. BATTAGLIONE « Penna»
Comandante: Scarpa.
Commissario Politico: Annibale.
Forza: Circa 220 uomini suddivisi in tre compagnie: Scarpa, Messina, Bill.
2. BATTAGLIONE « ISTRIANO »
Forza: Circa 100 uomini che presidiano i dintorni di Ferriere. Fiduciari e staffette si trovano in Scopolo e Cereseto.
NOTA
Da questo documento appare evidente che il Comando germanico, ancora nel luglio 1944, riteneva la zona del Penna il centro dell’organizzazione partigiana della Provincia di Parma.
Le notizie esagerate circa la nostra forza sono dovute oltre che a false informazioni a errate deduzioni tratte dall’avversario, in seguito al risultato di certi nostri fatti d’arme.
Basti pensare che nell’azione del rabbioso contrattacco di Tasola, il giorno della Pasqua 1944, portata a compimento con un drappello di dodici ragazzi, l’avversario ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a centinaia di armati all’attacco. E fu questa convinzione che ne provocò la rotta memorabile.
La Battaglia di Pelosa nei documenti segreti catturati al nemico
Geheim
14-7-1944
Sicherungskommandant d. Lfl. 2
-IC-
Az.: Wallenstein
Br. B. Nr.: W 54/44 geh.
Feindnachrichten (Wallenstein) Nr. 4
V orbemerkung: Alle Ortsangaben werden nach der
Deutschen Heereskarte1: 100 000 gemacht, alle
Meldungen ueber Bandentaetigkeit, eigene Gefechtstaetigkeit usw.,
sind ebenfalls nur nach dieser Karte zu machen. W. gilt als Abkuerzung fuer Wallenstein.
I. Allgemeines.
1) Beim Marsch in die Ausgangsstellungen zu Wallenstein Il sind z.T. erhebliehe Verluste enstanden. Einzelne Gruppen bis zu Kompaniestaerke gerieten in feinfliche Hinteralte und wurden durch schlagartig einsetzeninde Feuerueberfaelle aus leichten und mittleren Waffen (Granatwerfer) ausser Gefecht gesetzt. In allen Faellen hat es zweifellos an der erforderlichen Sicherung und Aufmerksamkeit gefehIt. Der V ormasch im Bandengebiet darf auf keinen Fall in geschlossenen Formationen auf den Talstrassen erfolgen, sondern muss aufgelockert, mit entsprechender Sicherung nach vorn und naeh den Seiten, moeglichst uniter Benutzungder Hoehenzuege zu beiden Seiten eines Flusstales erfolgen.
An unuebersichtlichen Strassenstellen, z.B. bei Umgehung gesprengter Bruecken, ist besondere Vorsicht geboten. In regelmaessigen Abstaenden sind namentlich die Hoehenzuege nach M.G. – und Granatwerferatellungen (meist geschickt getarnt angelegt) mit Fernglaesern abzusuchen. Die Truppedarf sich beim Einmarsch in eine Ortschaft oder Haeusergruppe durch scheinbare Ruhe nicht in Sicherheit wiegen, sondern muss gerade hier besonders misstrauisch und vorsichtig sein. Trosse sind genuegend weit abgesetzt und ebenfalls kriegsmaessig gesichert nachzuziehen.
(Traduzione)
Disposizioni generali
Durante la marcia nelle posizioni di uscita sono derivate alla Wallenstein II notevoli perdite. Singoli gruppi sino alla forza di una compagnia s’imbatterono in agguati nemici, fatti segno ad aggressioni con armi leggere e medie (lancia-granate), furono posti fuori combattimento. In ogni caso verificatosi è mancata senza dubbio, la sicurezza e l’attenzione necessaria. La penetrazione in territori occupati da bande non deve avvenire su strade a fondo valle con formazioni compatte ma deve eseguirsi in ordine sparso con corrispondente sicurezza davanti, dietro, e ai fianchi, possibilmente utilizzando le alture che, d’ambo i lati seguono, una vallata.
Deve porsi particolare attenzione ai punti stradali difficilmente visibili quali per esempio le località circostanti ai ponti saltati. E’ importante ispezionare regolarmente con binocoli le alture munite spesso di M.G. e postazioni lanciagranate nel maggior numero dei casi abilmente appostate. Durante l’avanzata in un paese o gruppo di case, la truppa non deve credersi, con perfetta calma, al sicuro ma deve proprio qui essere diffidente e attenta. .

COPIA (traduzione)
FONOGRAMMA
Luogo, 23 .2 . 1 945
Alla 148 Div. Fant.
Il Maresciallo Kesselrin Qsserva fra l’altro in una comunicazione telefonica che, in ordine agli attuali decisivi combattimenti sul fronte italiano, egli esige uno sforzo supremo.
Noi quì non difendiamo il suolo italiano ma difendiamo la Germania. Nessun palmo di terreno deve essere abbandonato al nemico senza combattere. Comandanti e truppa devono essere convinti di ciò.
F.to Generale Feurstein
Luogo,6.3.1945
Al 1014 Batt. Terr. Difesa
BORGO
Per conoscenza e informazione del precedente ordine.
Il Capit. Comando Comp.
(seguono nel retro firme per presa conoscenza)
Firma illeggibile

(traduzione)
BEDONIA (JD 5)
3-04-45
(Capibanda e persone antinazionali)
Moglia Alfredo, Capobanda
Moglia Gianni, Capobanda
Pappadà Gino
Dino, (Figlio (del già noto Michelucci)
Beccarelli Angiolino,
Beccarelli Danilo,
Biolzi Ugo,
Moglia Giovanni,
“Giorgio”(residente in Caneso di Bedonia)
Braga,Dr. ,Figlio del Prof .Braga,Parma
Squeri Mario. Insegnante
Musa Flaminio,Figlio del Dr.Musa
Musa Alice, sposata Molinari,
pseudonimo”Pantera Grigia”
Lagasi Primino,
Dr. Micheli Marco
Avv . Raggi
Avv.Silva
Carpano Lino e Figli
Della Rina,Direttore della Ditta Carpano
Lagasi,sposata Rossi,”Petaccio”
Dr. Musa, Medico condotto Membro del C.L.N.
Dr. Squeri , Medico Membro del C.L.N.
Del campo, Direttore delle Poste, membro del C.L.N.









