Comandante “Facio” Dante Castellucci

Facio

Facio è una figura leggendaria ed emblematica della nostra resistenza.

Nato a Sant’Agata in provincia di Messina ma vissuto nella giovinezza in Calabria, maestro, musicista, forse pittore, parlava perfettamente il francese avendo trascorso la giovinezza esule in Francia.

Papa Cervi lo ricorda come un ragazzo intellettuale, melanconico e riflessivo.

La  famiglia, di tradizioni antifasciste e socialiste, era dovuta emigrare in Francia all’evento della dittatura.

Ritornato in Italia poco prima  dello scoppio della guerra, viene arruolato e mandato sul fronte francese: artigliere, capopezzo, col grado di caporale;il suo cannone sarà l’unico a non sparare e per questo viene degradato e sottoposto a giudizio militare.

All’ufficiale che seguiva l’inchiesta Facio risponde:<< Non me la sentivo di sparare contro un popolo che mi ha accolto per tanti anni >>.

Per punizione viene  mandato sul fronte russo.

Rimasto ferito, ritorna alla fine  del’42 in licenza in Italia e nel gennaio del’43 diserta è si nasconde a Reggio Emilia presso la famiglia di Otello Sarzi.

I due che si erano conosciuti precedentemente perché il Sarzi –  comunista  – era  stato confinato a Sant’ Agata, paese in cui viveva la famiglia di Facio.

A Reggio, per tutto l’inverno e l’estate del’43, Dante Castellucci si guadagna da vivere lavorando nella compagnia teatrale dialettale vagante dei Sarzi, suonando al violino e dipingendo scene. È Lucia Sarzi << Margherita >> che lo accompagna a casa Cervi pochi giorni dopo l’8settembre.

Insieme a lui ed alla Lucia – scrive papà Cervi – i miei figli organizzano un piano per far scappare i prigionieri del campo di Fossoli.

Di notte vanno ai lati del campo, tagliano i fili spinati e Castellucci chiama i prigionieri in francese, come fa l’uccellatore con gli uccelli.

I prigionieri scappano e trovano sulla strada donne in bicicletta che li portano  a casa mia >>.

La vita di Facio in quei giorni è la vita dei fratelli Cervi, cioè la vita del primo nucleo resistente del Nord Emilia e della famiglia più prestigiosa di tutta la resistenza italiana.

Vede in quei giorni passare per casa un centinaio di militari alleati: Inglesi, americani, russi, neozelandesi, vestiti e rifocillati.

<< A cena con i prigionieri, sempre con Castellucci che traduceva, chiediamo che vogliono fare,  se restare a combattere o raggiungere le truppe alleate; ma quasi tutti vogliono partire, salvo i russi che chiedono di combattere >>.

Fallito un attentato al Segretario de Fascio di Reggio Emilia, il gruppo sale le montagne del Reggiano; dove durante il novembre del’43 compie le prime azioni di guerriglia: lungo la strada per il Ventasso, assalta con bombe a mano due autocarri fascisti, a Buana e a Toano assalta le  caserme.

A Tapignola i partigiani di Cervi si incontrano con il parroco Don Pasquino Borghi che inizia ad organizzare nuclei resistenti.

Ma questi primi partigiani non sono ancora attrezzati ad affrontare le difficoltà dell’inverno in montagna quindi il gruppo Cervi ritorna in pianura alla casa paterna.

Fra un colpo e l’altro, di sera, si discute e  si parla.

<< Castellucci parla della Calabria, dei sassi e dei pastori e dice di un frutto che non conoscevamo il fico d’ India, una specie di prugna, diceva con le spine e senza nocciolo.

Eppure è così – diceva Dante – e quando sarà finita la guerra, vi inviterò al mio paese a mangiare fichi d’India >>. La notte del 25 novembre del’43, a seguito della delazione di un possidente locale, Casa Cervi viene circondata dai fascisti.

I sette fratelli col padre e Quarto Cimurri vengono imprigionati a Reggio, i militari stranieri sono portati in cittadella a Parma.

Facio è con questi ultimi: << Castellucci si mette a parlare in francese e dice che lui è un soldato di De Grulle >>.

Dalla  Cittadella riesce  a scappare quindi torna a Campegine dalla famiglia Cervi: << È ferito e le donne lo rimettono in gamba: ma lui pensa sempre al piano per liberarci noi.

Insieme al cognato Massimo riunisce cinque uomini, Otello Sarzi, un prigioniero russo e altri tre partigiani: si vogliono procurare quattro divise da carabiniere per presentarsi alla  prigione per portare un prigioniero.

<< Poi si doveva assaltare le guardie >>.

Il piano previsto il 24 dicembre viene rimandato all’ultimo dell’anno in attesa di trovare le divise: nel frattempo i fratelli Cervi, il 27 vengono fucilati senza processo ed allora Facio torna  a Parma ed entra in contatto con il dirigente comunista Porcari il quale lo indirizza al distaccamento Picelli nell’ Alta Val Taro.

Frattanto i comunisti  di Reggio lo avevano indiziato di gravi sospetti che avevano suscitato dei dubbi anche a Parma; sembra pertanto che per questo ci fosse un tacito accordo di fucilarlo dopo aver acquisito elementi probanti. Viene portato da Luigi Cortesi a Borgotaro il 24 gennaio  e qui, tramite Jack ed Eugenio Solari consegnato  a Fermo Ognibene con l’avvertimento di tenerlo sotto  stretta sorveglianza.

Facio si accorge del sospetto dei compagni e propone al <<  Reggiano >> di metterlo alla prova ed è durante l’azione del 17 febbraio alla stazione di Borgotaro che il suo coraggio e le sue doti di prontezza emergono fin dal primo momento tanto che quando il gruppo lascia la Valvenera si divide  per trasferirsi al Lago santo, gli stessi   suoi compagni lo eleggono vicecomandante ed alla morte di Fermo Ognibene diventa  il comandante della formazione.

Ma le doti di Facio non sono solo militari.

Scrive Vito nella << Storia del Battaglione Picelli >>: << Verso i primi di aprile Facio chiede al comando di Parma di fare un bando per affiggere in tutta la zona, compresa la città di Pontremoli, dove esistevano collegamenti con C.L.N. locale.

Il manifesto scritto e ciclostilato diceva ai giovani che  era giunta l’ora di prendere una decisione e schierarsi con noi per combattere per la libertà d’Italia, disertare i richiami fascisti.

<< Il comando di Parma lo conferma ed in pochi giorni, i manifesti vennero affissi in tutta la zona >>.

E la propaganda non si rivolge solo ai giovani per indurli a disertare le file di fascisti, ma si rivolgeva direttamente alla popolazione con evidenti finalità politiche e sociali.

<< Vennero incendiate tutte le  cartelle delle tasse che gli esattori distribuivano invitando la popolazione a non pagare>>.

Facio era un vero guerrigliero popolare per l’ascendente verso i partigiani e per l’ammirazione che suscita nelle popolazioni con le qual viene  a contatto.

<< La popolazione della zona >> scrive l’Ispettore delle Brigate Garibaldi in visita al distaccamento Picelli ai primi di maggio del’44 >> per quel poco che io ho potuto accertare trema ed felice nell’udire a pronunciare il nome di Facio e riguardano quasi come un eroe da leggenda.

Nel battaglione Picelli continua la tradizione che fu di Fermo l’egualitarismo e  la modestia di comportamento, il rifiuto da ogni atteggiamento ridondante e nello stesso tempo severità e rigore di comportamento e di disciplina.

Le difficoltà sono enormi: << Scarso l’equipaggiamento: molte le scarpe rotte unitamente a calzoni e giacche in pessimo stato. Non rappresenta però questo per Facio, una difficoltà, in quanto si ripromette di provvedere immediatamente al riequipaggiamento degli uomini mediante spogliazione dei nemici.

Scarso il vettovagliamento. Ambedue gli ultimi casi dovuti alla povertà degli abitanti della zona ( in casa di un fascista si può trovare al massimo un chilo di burro)>>.

Il rapporto dell’Ispettore, severo e pignolo come al solito riferisce su tutti gli aspetti della vita del reparto.

<< Sulla situazione  politica c’è poco d adire. Gli uomini sono poco preparati e si sente la mancanza di un Commissario Politico. Tutti gli uomini sono però simpatizzanti del comunismo e comunisti si dichiarano.

Mentre al contrario sono ben preparati alla guerriglia. Facio infatti provvede all’istruzione dei suoi uomini ed allena le squadre  mediante azioni a largo raggio,  a badare a se stessi … Le azioni sono prefissate in partenza, sono meticolosamente – a  parere degli uomini – preparate  da Facio >>.

La personalità di Dante Castellucci colpisce l’ispettore; nel suo rapporto si sgela la  meticolosità burocratica e le considerazioni che denotano  una partecipazione umana hanno il sopravvento con espressione del tutto rare un documenti del genere.

Profondo spirito d’osservazione, acutezza d’ingegno, intelligenza brillante, coraggio, permettono a facio di essere un ottimo comandante militare.

Egli infatti pondera la situazione e ne osserva minutamente i particolari in modo celere e  ne trae le conseguenze che gli permettono di preparare piani ottimi.

<< Gode la stima di tutti gli uomini ed è ottimo e buon compagno con tutti gli elementi del distaccamento e nello stesso tempo è capace di far sentire la disciplina >>.

I contrasti non mancano.

Doloroso quello con Giuseppe Casulla, uno di quei sardi superstiti del nucleo di Osacca e che aveva partecipato a tutti i combattimenti del Picelli.

Non aveva resistito alle difficoltà ed ai rigori disciplinari, con un compagno Camendola Luigi si allontanava senza  permesso e commetteva piccoli furti.

Facio era stato avvertito ed aveva ammonito aspramente gli indisciplinati.

I due  sardi ai primi di maggio avevano allora abbandonato la formazione, si erano stabiliti presso la Valdena, avevano compiuto un furto di biancheria  nella canonica  di San Vincenzo e rubati generi alimentari alla << Banca >>.

Per questi motivi Facio ha una discussione  con Beretta il quale si lamenta delle azioni dei due sbandati.

Facio promette di intervenire e d’altro lato chiede a Beretta  di consegnare i due  uomini nel caso gli avesse fatti prigionieri.

I due fuggiaschi invece, dopo alcuni giorni, stanchi della loro precaria situazione avevano raggiunto la  Val Gotra ed avevano cercato di aggregarsi alla Cento Croci.

Consegnatasi agli uomini di Beretta, il 14 maggio vengono subito fucilati: anche questo episodio alimenta l’attrito tra Facio e Beretta.

Certamente nella figura di Facio si racchiudono le  caratteristiche dell’epoca eroica che a vissuto il ribellismo.

Nei brevi mesi in cui emerge la sua figura tragica  di eroe popolare, proprio la sua prontezza, la sua vivacità che gli fa sfuggire quattro volte la morte. È quella che genera sospetti.

Il suo coraggio, la sua generosità, la sua  innocenza sarà quello che lo prenderà, suscitando invidie e gelosie fino ad avvolgerlo in una torbida trama.

Nell’estate del’44 la sua formazione raggiunge la consistenza di qualche decina di uomini armati certamente tra i più coraggiosi e preparati della zona: tutti vogliono andare con Facio che può scegliere i migliori.

Incominciano rivalità e gelosie, preoccupazioni politiche per il prestigio di questo capo partigiano comunista, ammirato dalla popolazione montanare della Cervara, di Bratto, del Buzzò, di Albareto.

Tra i suoi nemici c’è Tulio, che era salito sui monti  a Valmozzola agli inizi di marzo ed è con il gruppo degli spezzini che si era unito alle formazioni del Betti.

Durante la permanenza nella Val Taro Tulio aveva suscitato diffidenze  ed antipatie sia  da parte  della popolazione che  da parte dei gruppi partigiani, che lo avevano ben presto abbandonato ed emarginato soprattutto dopo la costituzione della 12ª Brigata Garibaldi.

Lasciata  la  Val Taro a metà giugno con pochi uomini, Tulio arriva Adelano dove tenta di emergere in nuovo ambiente ed in una  nova situazione aspirando a  posti di comando e diventando facilmente strumento delle trame che  si intessano ai danni di Facio.

Tra i nemici di Facio e anche Antonio Cabrelli << Salvatore >> pontremolese, alto esponente del partito comunista del periodo della clandestinità, espulso dal P.C.I. per gravi anche se mai chiariti sospetti con la  polizia fascista e per divergenze politiche a seguito del Patto Ribbentrop – Molotov.

Scrive Amendola nelle << Lettere a Milano >>:

<< La situazione fu resa più difficile dall’accusa mossa dalle autorità francesi contro il compagno Cabrelli di essere agente dei servizi di informazioni fascisti..

Cabrelli era niente meno che  comunista italiano scelto ed inviato dalla direzione  del P.C.I., come suo rappresentante; per controllare l’attività del gruppo dei comunisti italiani operanti in Tunisia.

Egli fu fermato ed espulso dalla Tunisia dalle autorità francesi, che  ci mostrarono prove fotografiche della sua attività di spionaggio dei servizi segreti fascisti. In un drammatico confronto egli cercò di respingere l’accusa infamante e di passare come  vittima di una provocazione. Ma quando scoprimmo che la donna  presentata come sua  moglie  e che lo aveva  accompagnato in Tunisia, era un amica – ciò comportava la spesa per il mantenimento di due  famiglie, cosa impossibile con i magli stipendi di partito –  e che  egli ci aveva ingannato su un punto importante della sua vita privata, ci confermammo  ed avvisammo l’organizzazione di partito in Francia dei gravi fatti avvenuti >>.

 Un altro episodio aveva acuito i sospetti dei comunisti italiani durante il periodo della clandestinità: un agente dell’Ovra, presentandosi come operaio bisognoso di lavoro in Francia, era stato aiutato dal Gabrelli con pregiudizio dell’organizzazione clandestina del partito comunista.

Anche in Spagna do ve  si interessava di approvvigionamento delle armate repubblicane, il Cabrelli aveva suscitato sospetti, essendo stato accusato di aver venduto materiale  bellico ai franchismi ed ai fascisti.

Internato dalla polizia di Peten a Verden in Francia viene  successivamente liberato.

Rientra in Italia nel ’40 e viene  subito arrestato dalla polizia fascista.

Interrogato lungamente abiura le sue  idee comuniste: aveva affermato che il fascismo stava realizzando completamente i suoi obiettivi mentre i partiti di opposizione avevano completamente fallito.

Nella speranza poi di ottenere la libertà dà particolareggiate informazioni sulle organizzazioni antifasciste , sul loro stato e sulle difficoltà proponendo di mettersi a disposizione della polizia fascista.

Viene invece internato alle isole Tremiti dove  vive completamente emarginato dai prigionieri politici fra i quali cè Aldo Gelati >> Remo >> esponente comunista parmense.

È naturale che  dopo l’8 settembre, quando Cabrelli, tramite il prof. Tanzi cerca di avvicinarsi al partito, venga tenuto in disparte ed scuso da ogni attività politica.

Nel gennaio del’44 tuttavia riesce a convincere i dirigenti comunisti parmigiani a inserirlo nel movimento partigiano ed è Ilio che il 24 gennaio accompagna Cabrelli a Borgotaro ammonendo tuttavia i membri del Comitato Clandestino di sorvegliare e diffidare del nuovo venuto.

Lo stesso giorno viene arrestato dai fascisti nel corso delle operazioni di polizia alla fine di gennaio nell’Alta Val Taro.

Incarcerato a Parma,  a maggio riesce  a fuggire nel corso  di un trasferimento alle carceri di Sarzana.

A Filatiera, durante una sosta del treno, riesce a eludere la sorveglianza ed a raggiungere Guinadi, suo paese natale, da dove sale direttamente sui monti presentandosi a Facio e chiedendo di essere accettato nella sua  formazione.

Buon parlatore, con forte volontà di emergere e riscattare il burrascoso periodo della clandestinità, inizia la sua attività politica fra i partigiani di Facio e, vantando lunghi anni di lavoro cospirativo all’interno del Partito Comunista, aspira all’incarico di Commissario Politico della formazione.

Facio chiede istruzioni al comando della 12ª Brigata il quale il 24 maggio manda Gatti Enrico << El Gatto >> uno studente in medicina con l’investitura di Commissario Politico.

I comandanti della Brigata fanno inoltre pervenire a Facio l’indicazione di diffidare del Cabrelli, di accettarlo nella formazione ma non affidargli incarichi di comando.

All’interno della formazione si accendono discussioni: data la numerica preponderanza di toscani e liguri, tra i partigiani, in molti vedono di buon occhio il Cabrelli, pontremolese, coprire l’incarico di Commissario Politico al posto del nuovo arrivato da Parma.

In un’ assemblea di partigiani Facio affronta il problema li informa delle indicazioni e dei sospetti del Comando di Brigata e del P.C.I., affermando tuttavia che per quel che riguarda il passato era un problema di Salvatore e che questo non avrebbe pregiudicato la sua possibilità di lavorare e combattere. Per  venire incontro  alle esigenze di Salvatore gli propone di assumere l’incarico di Commissario del distaccamento << Vecchi >> comandato da Nello Quartieri << Italiano >>, ripiego che Salvatore accetta a malincuore.

Risolto il problema del commissario si procede alla riorganizzazione del Battaglione Picelli.

Il gruppo viene diviso in tre distaccamenti: il distaccamento Ognibene comandato da Emilio Vecchi << Giuseppe >> e Commissario Vito di stanza sul Molinatico; il distaccamento Frigau comandato da Giorgio Giuffredi con Antonio Pocaterra quale  commissario, di stanza a Fontana Gilenta ed il distaccamento Vecchi comandato da Nello Qartieri   << Italiano >> e Salvatore Commissario di stanza sul Bratello.

Ai primi di giugno arriva alla formazione di Facio Laura Seghettini, la cui famiglia, socialista, aveva dovuto emigrare in Libia nel’34 all’epoca della crisi economica.

Laura dopo gli studi compiuti in Italia dove si era diplomata maestra, torna in Libia giusto il tempo per vedere, durante la guerra tutta la disorganizzazione e lo sfascio militare e morale dell’esercito italiano.

Accentuatasi la coscienza antifascista, nel’ 43 ritorna in Italia e nel gennaio del’44 viene arrestata sotto l’accusa di aver distribuito materiale  di propaganda.

Verrà liberata in maggio ma subito dopo arriva un altro ordine di cattura.

Avvisata dal maresciallo dei carabinieri di Pontremoli Laura si rifugia sui monti e si presenta a Facio vincendone la riluttanza ad accettare una donna nella formazione.

Con l’avvicinarsi dell’estate e l’ingrossarsi delle file, impellente è la necessità di avere rifornimenti: tramite il comando di Brigata si cerca di ottenere << lanci >< dagli alleati e nel frattempo piccole squadre prelevano denaro dalle  banche e dagli uffici postali per consentire alla formazione di acquistare viveri e vestiario.

Il 3 giugno a Chiavari: il distaccamento Ognibene vi era sceso ed aveva effettuato un colpo fortunato.

Ai primi di giugno, Facio stesso, con una piccola squadra, a Campegine, il paese dei Cervi.

Dalla  lunga  trasferta Facio si aspettava un aiuto per la sua formazione cercando di riannodare i vecchi rapporti di amicizia.

Era riuscito a prelevare dei soldi in una  banca locale ed aveva rubato una macchina, la 1100 del segretario del fascio.

A bordo di questa, sulla strada del ritorno coi suoi compagni , a Felino incappa in un posto di blocco; si ha  una sparatoria, la  macchina viene incendiata ma il piccolo gruppo si salva fuggendo per i campi e riuscendo a raggiungere la  formazione dopo dodici giorni di assenza.

Altre azioni vengono compiute a Villafranca dove riesce a prelevare esplosivo: l’intenzione era quella di far saltare la  galleria  del Borgallo ma il materiale recuperato è insufficiente per lo scopo.

Il 12 giugno a Mingnegno dove il  distaccamento  << Ognibene >> preleva armi in casa di un fascista locale.

Nel ritorno il gruppo incappa in una pattuglia tedesca e nel combattimento perdono la vita il comandante del distaccamento Ennio Vecchi << Giuseppe >> e Toma Duilio.

I superstiti ritornano alla base ed il distaccamento nominerà quale comandante Vittorio Marini detto << Vito >>.

Il 26 giugno tutto il Battaglione scende  a Sesta Godano, dove viene assalito il comando fascista, si prelevano viveri dal Consorzio Agrario e viene fucilato il segretario del Fascio locale che aveva  preso parte a rastrellamenti.

Il 9 luglio il distaccamento Frigau attacca il presidio di Quercia di Aulla uccidendo una decina di fascisti e asportando le armi dal presidio.

Nel frattempo all’interno della formazione non regnava più l’antica  armonia.

Facio aveva dovuto lamentare una scarsa attività bellica del distaccamento dove militava Salvatore il quale, fra l’altro, non partecipava mai ad azioni militari.

Alla fine di giugno poi, durante l’incursione dei tedeschi che  tentavano di irromper nella Val Taro, l’intero distaccamento aveva abbandonato le posizioni a difesa del Bratello e si era spostato a Zeri a diretto contatto con le formazioni liguri.

Tra Salvatore e Facio lo scontro diventa aperto.

Il comandante del battaglione ordina al distaccamento di rientrare nelle sue  zone ed a Salvatore di trasmettere l’elenco degli effettivi da trasmettere al comando della 12ª Brigata Garibaldi.

Salvatore rifiuta di obbedire al << Brigante Calabrese >>, rifiuta di militare agli ordini del C.L.N. di Parma << Il  comitato Fantasma >> e dichiara di voler restare con tutto il distaccamento nelle formazioni liguri.

In quell’epoca, d’altro lato, Salvatore svolgeva una intensa attività politica ed intrecciava a tutti i livelli rapporti con i comandi partigiani delle atre formazioni liguri e valtaresi e con altri capi partigiani di piccolo seguito nei quali, facendo leva sulle piccole ambizioni, suscitava invidia e gelosia contro facio cercando di ottenere aiuti e promettendo incarichi.

In effetti sembra che aiuti fossero ottenuti da Cabrelli per il Picelli per opera di altre formazioni liguri più favorite   nei <<  Lanci >> e che questo fosse messo in risalto per dimostrare l’inefficienza del C.L.N. di Parma e convincere gli uomini di Facio a passare sotto il comando spezzino.

Certamente Facio è impreparato ad affrontare la complessa situazione, dove ambizioni piccole e grandi, manovre di bassa politica si intrecciano a necessità obiettive del movimento rimanendo intimamente legato ad una concezione tipicamente ribellistica, non legato a  nessun territorio tutto teso a combattere fascisti e tedeschi.

L’azione di Salvatore nel luglio del’44, epoca in cui matura la vicenda, si inserisce nella necessità  del C.L.N. ligure di coordinare le formazioni partigiane  nel pontremolese e dello Zerasco ed inserirle in una unica organizzazione, il che si concretizza alla fine di luglio con la costituzione, della prima Divisione Ligure comandata dal Colonnello Turchi con Guglielmo Cacchioli vicecomandante e Salvatore Commissario Politico.

Nel contesto di questa riorganizzazione si pone il problema di conglobare l’interoBattaglione Picelli all’interno della costituenda Divisione Ligure.

Così come d’altro lato, si tenta di inserire le formazioni Valtaresi: la Centocroci dei Berretta e la Brigata Julia di Dragotte.

Salvatore svolge un’intensa attività politica e diplomatica, dopo aver consolidato  le  relazioni con Cacchioli, prende  contatto anche  con Dragotte e Giorgione i quali però diffidano del nuovo venuto anche perché perseguivano iniziative proprie.

Della tragedia che  coinvolge Facio, accenno anche se nella sua tipica  distorta maniera, il Maggiore Gordon Lett scrive:

<< Il capo  della banda minore era  uno studente, un giovane intellettuale chiamato Facio, che si era conquistato il rispetto dei suoi uomini per le sue qualità di soldato e per il suo buon umore con il quale affrontava con essi i disagi della vita di  montagna. Ma facio intralciava l’attuazione del piano ed un mattino le sue forze si trovano circondate. Disarmati gli uomini viene inscenato un processo; Facio accusato di aver rubato materiale da un lancio avvenuto qualche notte prima fu condotto nei boschi e fucilato >>.

La vicenda è molto più complessa ed articolata.

Ai primi di luglio, a Zeri, avviene una riunione di tutti i capi partigiani, il Colonnello Turchi inviato appositamente dal C.L.N. di La Spezia presiede la riunione.

Le  formazioni liguri, a parte il gruppo Cento Croci ( fra l’altro impegnato nella difesa della Val Taro ) il Battaglione Picelli ed il gruppo G.L. sono piccole e frazionate, il problema di inserire le formazioni di Facio nella divisione è quindi impellente. A Facio viene prospettato una posizione di rilievo nel comando.

Ma  Facio è incerto, non si sente a suo agio nel contesto di questa nuova struttura, si sente legato al P.C.I. di Parma ed alla 12ª Brigata Garibaldi alla quale lascia  la decisione.

Il Commissario Politico El Gatto accompagnato da alcuni uomini va  a bardi al comando della Brigata.

Fa presente la situazione e chiede istruzioni.

Le vicende del rastrellamento di luglio impediscono il rapido ritorno della missione e nel frattempo Facio si orienta sempre più di lasciare la zona.

Infatti il tentativo di riorganizzare le forze liguri prosegue e si coagula nella prima proposta di formare una IV Brigata Garibaldi Liguria con il Colonnello Turchi comandante, il tenete Berretta vicecomandante, Salvatore; Commissario Politico, Vittorio, Capo di Stato maggiore di Brigata.

Questo tentativo certamente fallisce, in parte per i contrasti tra i capi partigiani, in parte per gli eventuali bellici ed i rastrellamenti che in luglio investono l’Alta Val Taro.

Il 15 luglio infatti, Gino Cacchioli lascia la zona e la sua  formazione si scioglie temporaneamente per ricostruirsi sotto la guida di Richetto.

Ma nell’alto pontremolese, non ancora investito dai rastrellamenti i tentativi  per riorganizzare la formazione  ligure  procedono: ed il Coll. Turchi, pur operando in un ambiente ricco di contrasti riesce  a portare a termine la sua missione.

È del 18 l’incarico ufficiale del C.L.N. di la Spezia per la costruzione della 1ª Divisione Ligure che  vede il coll. Turchi e Guglielmo Cacchioli rispettivamente comandanti e vicecomandanti.

Salvatore è nominato commissario e la sua designazione viene proprio dal Partito Comunista Spezzino.

Evidentemente le traversie del Cabrelli, note al partito di Parma sono ignorate dal partito di La Spezia il quale continua a considerarlo come un eminente fuori uscito antifascista e comunista e  le sue doti diplomatiche erano viste come positive per l’incarico a cui era chiamato.

Certamente le difficoltà di rendere operativa l’unificazione ora delineata sulla carta erano molte.

Uno degli scogli è costituito da Facio che non vuole impegnarsi nell’impresa  per cui è il ritiro dell’intero << Battaglione Picelli >> avrebbe grandemente diminuito  la potenzialità della  formazione.

Facio infatti si sente senza aiuti e discriminato in un ambiente che si fa  ogni giorno più ostile.

Dai frequenti lanci organizzati tramite la  missione del Maggiore Gordon Lett, Facio non ottiene  niente e vede il materiale accumularsi inutilizzato nel magazzino di Adelano mentre la sua formazione continua  a crescere. È incerto a prendere una decisione,  se restare nel suo territorio tradizionale o rientrare in provincia  di Parma,  se accetta di entrare nell’ambito di una formazione ligure o restare nell’ambito della 12ª Brigata Garibaldi sotto la giurisdizione del C.L.N. di Parma. Elude i problemi continuando una intensa attività di guerriglia.

Il 9 luglio attacca il presidio di Quercia di Aulla, che distrugge, uccidendo 9 fascisti. Il 12 di ritorno da un tentativo di asportare esplosivo da una caserma della  Monterosa di Montasso attacca una  pattuglia di 15 tedeschi sorpresi a razziare bestiame tra la popolazione di Mulazzo uccidendone alcuni e mettendo in fuga gli altri.

Il bestiame viene restituito ai contadini.

Ritornando nella sua  zona il 15 luglio Facio subisce un attentato mentre stava effettuando un ispezione ad un distaccamento. Nel percorrere un sentiero, viene  fatto oggetto da colpi di fucile, chi ha sparato fugge velocemente lasciando per terra il proprio berretto e firmando quindi la  paternità dell’Azione.

Facio risponde con una relazione da inviare al C.L.N. di La Spezia ma Salvatore ormai  completamente inserito nelle formazioni liguri riesce a non far pervenire la  lettera.

Con l’assillante opera di denigrazione dal Cabrelli, anche tra i comandanti dei distaccamenti di Facio incomincia diffondersi diffidenza ed ostilità: piccoli episodi, fraintendimenti di frasi pronunciate ed ingigantite che l’opera di chiarificazione del comandante non sempre riesce a superare, il ventilato trasferimento della formazione lascia dubbiosi i partigiani oer lo più liguri e pontremolesi.

D’altro lato in quei giorni ad Adelamo, Coloreta, arrivano personaggi politici di diverse tendenze, e dalle diverse provenienze con il relativo susseguirsi di riunioni di gruppi con diversi e contrastanti intendimenti, poco consci o ad arte male informati sulle reali situazioni per lo più interessati alle possibilità di far emergere proprie personali ambizioni, interessi di fazioni o gruppo, del tutto ignari che  i tedeschi, dopo aver duramente colpito la Val taro si apprestavano a seminare il terrore su tutto l’alto zerasco colpendo con violenza impensata tutto il movimento partigiani ligure e toscano.

Ormai la tragedia di Facio volge rapidamente al suo epilogo ed il pretesto per il processo viene  fornito dal problema dei << Lanci >>

Il 15-16-17- luglio avvengono per tre giorni consecutivi  per il gruppo di Segagnini comandato da Tulio.

Il campo di lancio di Monte Melone è nelle vicinanze della formazione di Facio.

Il giorno successivo un uomo di Facio trova una  piastra da mortaio non raccolta dagli uomini di tulio Facio da ordine di trattenerla.

Per il 18 sera il lancio è per Beretta: la formazione,  a seguito del rastrellamento è sbandata ed alla notte, per mezzora, l’apparecchio sorvola la zona senza che  nessuno venga a trasmettere i rituali segnali.

Facio allora da ordine ai suoi uomini di accendere i fuochi nel campo di lancio e raccoglie il prezioso bottino.

Anche il 19 notte avviene un altro lancio, nessuno si presenta per raccoglierlo allora Facio ordina ai suoi uomini di provvedere al recupero del materiale.

Quest’ultima operazione era avvenuta in mezzo ad una  grande confusione: qualcuno di nascosto aveva tentato di impadronirsi del bottino, gli uomini di facio avevano sparato.

Alla  mattina facio è informato degli avvenimenti della notte.

Sarà il pretesto per imbastire un processo.

Resosi conto che  gli avvenimenti precipitavano, Facio matura la decisione di abbandonare la zona; a malincuore perché da mesi ormai operava nell’alto pontremolese di cui conosceva minuziosamente i luoghi e dalla cui popolazione riceveva aiuto e ammirazione.

Ma  è soprattutto preoccupato per la immediata difficoltà di raggiungerei  con suoi uomini, non completamente armati ed equipaggiati, una zona di recente investita dal  grande rastrellamento estivo, che aveva temporaneamente scompaginato la struttura organizzativa.

L’ordine  è di abbandonare il pontremolese e di rientrare in provincia di Parma arriva a Facio tramite il commissario El Gatto che finalmente raggiunge il battaglione e contemporaneamente tramite Andrea << Paolino Ranieri >> che prima di lasciare la 12ª Brigata Garibaldi e raggiungere  con il contingente di spezzini e massesi le formazioni liguri aveva avuto un colloquio con il comandate Dario.

Per quel che riguarda i rapporti con le formazioni liguri e con i propri uomini il Comando di Brigata dava a Facio indicazione di lasciare libera scelta; chi voleva, seguiva il Battaglione, chi preferiva restava a militare nelle formazioni liguri doveva consegnare le armi.

Facio è convinto di poter contare sulla stragrande maggioranza dei sui uomini; personalmente parla a tutti i partigiani dei suoi distaccamenti.

La  data di partenza viene fissata per il 23 luglio al rientro di tutte le squadre che  erano in operazione.

Il giorno 20 viene organizzato ad Adelano un convegno che doveva sancire la costituzione  della 1ª Divisione  Ligure.

Al convegno, insieme a tutti i capi partigiani delle formazioni liguri, partecipano il coll. Lucidi ed il prof. Polizzari con gli ufficiali inglesi, che avevano abbandonato il comando di Compiano dopo l’invasione  tedesca della Val taro: Guglielmo Cacchioli che, dopo l’esclusione di Gino Beretta dal comando della Cento Croci diventerà vice comandante della Divisione e il Colonnello Turchi, un ufficiale  di carriera che diventerà comandante della Divisione e successivamente della IV zona  operativa ligure.

Nella discussione in cui si definiscono gli organigrammi della nuova  organizzazione si pone il problema di Facio, si paventa il pericolo che con la sua partenza una  grossa parte degli uomini possa seguirlo e si decide  di processarlo.

Viene nominato un tribunale nelle persone di Nello e Luciano Scotti, Antonio Cabrelli, Tulio e Renato Arduini.

Luciano Scotti viene inviato da Facio per invitarlo al convegno con il pretesto di definire pacificamente la questione del lancio.

Invano i suoi amici cercano di dissuaderlo temendo un tranello, Facio come sempre fiducioso si lascia convincere e parte per Adelamo accompagnato da Spuri Libero e Antonio Pocaterra.

Giunto sul luogo della riunione entra fiducioso, chiede sorridendo un bicchiere di vino per dissetarsi, ma viene improvvisamente disarmato da Salvatore e da alcuni uomini di Tulio mentre il prof, Polizzari, il coll. Lucidi e gli altri partecipanti alla riunione lasciano il luogo.

Rimangono i componenti del tribunale che  emettono la sentenza di morte.

La condanna a morte viene firmata da Salvatore. La fucilazione viene eseguita il giorno dopo in un vicino bosco da un plotone di esecuzione, che si era rifiutato più volte di sparare.

Si racconta che  Facio, prima di ricevere la scarica, abbia gridato Viva L’Italia, Viva Stalin.

Sono quelli i giorni in cui in tutte le Valli del Parma, del Taro, del Ceno si erano appena concluse le esperienze dei territori liberi ed in seguiti al grande rastrellamento estivo tutti i paesi erano occupati dai tedeschi e dai fascisti che terrorizzavano la popolazione civile.

Anche sui monti dello spartiacque tosco – Emiliano, nella Val Gotra, nel pontremolese, nello zerasco si era alla vigilia  di un tragico rastrellamento che porterà duri colpi alle scompaginate forze della Resistenza Ligure.

Un momento tragico, le prospettive di una rapida conclusione del conflitto sono svanite, la preponderanza nazifascista sembra  oscurare ogni speranza.

Con la  morte di Facio si chiude un’epoca eroica, nell’estate piena di speranze dell’44 segue il lungo inverno, il più duro di tutta la guerra.

Il Battaglione Picelli, dopo la  morte di Facio si disperde, una parte di partigiani si fermeranno nelle formazioni liguri, in parte andranno a far parte di formazioni della Val Taro, in parte raggiungeranno al 12ª Brigata Garibaldi.

Laura Seghettini, la donna di Facio, dopo aver  fatto parte della formazione del Comando Unico, sarà vice commissario di un distaccamento della 12ª Brigata Garibaldi.

L’incredibile vicenda ha così termine lasciando lunghi strascichi.

Il C.L.N. di la Spezia ordina  un’inchiesta: << La  fucilazione  di Facio Ha lasciato del malcontento tanto tra la popolazione dei paesi circostanti come pure fra molti giovani appartenenti a diversi gruppi >>.

Il P.C.I. di La Spezia contesta la  validità del tribunale, il battaglione Picelli era parte integrante della 12ª Brigata Garibaldi Parmense che solo poteva giudicare il suo comandante.

D’altro lato Facio non era stato nemmeno assicurato il più elementare diritto di difesa anche ammesso che le accuse avessero validità e che Facio avesse  rubato materiale dei lanci: << Non si fa giudicare il ladro dal derubato per un’infinità di ragioni logiche a concepirsi >>.

Comunque sul PCI spezzino grava la responsabilità  di aver proposto Salvatore quale comm. pol. di una  grossa formazione partigiana, un fatto a dir poco inconcepibile per un partito tradizionalmente m meticoloso e prudente, abituato dalle necessità della vita clandestina a vagliare con estremo sospetto il curriculum dei propri candidati.

Pigrizia? Difficoltà di collegamenti? Carenza di uomini adeguati ? Giustificazioni tutte plausibili ma anche la rottura che a seguito dell’episodio avverrà tra il Partito e Salvatore non possono attenuare il giudizio negativo.

Ma la responsabilità grava su tutti i protagonisti della vicenda con incarichi ai vari livelli nella Resistenza Ligure.

La vittima non era l’ultimo arrivato ma, per dirla con le parole di una lettera del PCI spezzino << Un comandante di un battaglione delle Brigate d’assalto Garibaldi che da dieci mesi lottava contro il nemico e contro il quale si è proceduto con la stessa indifferenza che si usa contro una spia o un fascista >>.

Ancor oggi ci dobbiamo chiedere perché Facio sia stato ucciso: l’analisi anche metodica di documenti, testimonianze, relazioni, non è di grande aiuto.

La risposta non è certamente  né  semplice né univoca .

Nella vicenda si intrecciano a vari livelli problemi e responsabilità diverse.

Le  piccole gelosie ed ambizioni personali che esplodono in un momento di crisi di crescita  del Movimento Partigiano, quando da piccoli  e solitari gruppi si passa a  grosse formazioni, con la inevitabile corsa all’accaparramento di posti di comando e di prestigio.

Problemi organizzativi oggetti che la logica stessa della lotta armata rendeva impellenti e che l’emergenza concorreva a far risolvere con sistemi sbrigativi.

In tali circostanze non é raro che l’astuzia e la capacità di intrigo abbiano la meglio sulla generosità e innocenza.

Problemi di ordine culturali, poco studiati nella storiografia della Resistenza ma certamente condizionanti: sta di fatto che la  maggior  parte delle vittime di questi episodi, incontrati nel corso della, sono meridionali: << Carmelo il Siciliano >>, << Mario il Pugliese >>, << De Mattia Vincenzo >>, << Casula e Cocendola i Sardagnoli >>.

Ora Facio; ma era forse Salvatore che lo chiamava il << Brigante Calabrese >>?

In una  Italia ancora divisa da  profonde diffidenze e pregiudizi, rappresentavano un mondo estraneo, deviante, e nello stesso tempo emblematico del ribellismo, difficilmente inseribile e quindi i più indifesi in un momento di acuta emergenza.

Ma  non possiamo dimenticare le parole  di Pietro Calamandrei: << Non è Facio che dobbiamo compiangere ; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza >>.

Queste parole ci rimandano ad  un problema di fondo: oltre alle persone che scopertamente hanno agito nella vicenda, ci sono stati dei mandanti? È possibile pensare ad un delitto politico?

Parlando con i fedeli compagni di Facio e con i montanari della Cervara e dell’alto zerasco che l’hanno conosciuto, accolto protetto per lunghi mesi, l’interrogativo rimane sempre aperto.

È questo  un problema che non si risolve con l’esame dei documenti depositati negli archivi, perché la storia della Resistenza è anche storia di popolo che ha un suo linguaggio, sulle tradizioni ed una sua profonda memoria.

È certo che con l’estendersi della  lotta armata ed il coinvolgimento di ampie masse di popolazioni, cresce all’interno dei gruppi resistenti moderati la  preoccupazione per il futuro assetto politico e sociale del paese e l’ossessione che la guerra partigiana sfociasse in aperta rivolta sociale e liberasse la  latente propensione alla ribellione delle classi più diseredate.

È altrettanto certo che Facio, le sue idee, il suo modo di agire, tutta la sua vicenda , rappresenta come pochi la volontà della nostra gente a lottare contro il fascismo ed il tedesco come premessa per la edificazione di un nuovo ordine sociale.

La sua morte quindi, per le assurdità delle motivazioni e per la  modalità con cui è avvenuta, se è certamente a testimonianza della sua personale inconsapevolezza, pone nondimento con evidenza  i gravi problemi che si affacciano alla storia nazionale

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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