
| OSACCA |
| 1943 |
| NATALE |
| Partigiani e popolazione binomio inscindibile della guerra partigiana sioppongono uniti e vittoriosamente alla violenza fascista |
SPERDUTA FRA LE RUPI SCOSCESE DEI MONTI
OSACCA
BALZÒ D’IMPETO NELLA LUCE DELLA STORIA QUANDO ALL’ALBA DEL 25 DICEMBRE 1943
LA SUA UMILE MA INTREPIDA GENTE STRETTA INTORNO AD UN PUGNO D’INDOMITI RIBELLI
RICACCIÒ ARMATA DI FEDE ED EROISMO PREPONDERANTE AGGUERRITE FORZE FASCISTE ACCENDENDO PRIMISSIMA LA FIAMMA
DELL’EPOPEA PARTIGIANA
L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI BARDI
IN MEMORIA PERENNE 25 – VI – 1961
LAPIDE POSTA SULLA CHIESETT A DI OSACCA
Dalla « voce» OSACCA, redatta, per l’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, dal Seno Ing. Giacomo Ferrari (Arta, Comandante Unico delle formazioni partigiane della provincia di Parma), che si è valso, per la stesura della « voce », della collaborazione della popolazione della località e di alcuni casalaschi superstiti dello scontro.
OSACCA – Battaglia di . . . . . . . . . . . (25 dicembre 1943)
Frazione di Gravago, in comune di Bardi (Parma), posta nell’estremo lembo della VaI Noveglia (trasversale del!’ alta VaI Ceno), presso lo spartiacque con la Valle del Taro, abitata, nel 1943, da una ventina di famiglie.
Qui un primissimo gruppo partigiano e la popolazione, congiuntamente, sono stati protagonisti della prima battaglia della Resistenza in provincia di Parma. Battaglia quasi incredibile, in rapporto all’ epoca così iniziale della Resistenza e alle circostanze, suscitatrice di stimolo politico e di lotta sulla intera popolazione del parmense; esemplare nei protagonisti, nelle premesse, nello svolgimento, nella conclusione, nelle conseguenze.
Protagonisti: Giovanni Favagrossa e Sergio Vida di Casalmaggiore (Cremona); Bertoli Alceste, inviato con incarichi organizzativi da Parma; montanari del luogo o già appartenenti a nuclei partigiani o spontaneamente armatisi e partecipi al combattimento (come Bergazzi Albino, Cristina Beniamino, Cristina Giovanni, Colombani Giuseppe, Fulgoni Antonio, Mortali Giovanni, Mortali Italo, Ralli Luigi, Zazzera Domenico); militari sbandati sardi e meridionali tra i quali Casula Luigi, Frigau Isidoro, Sau Luigi.
Quali le premesse di quel Natale di fuoco? Non vi era ancora una organizzazione partigiana maturata nell’esperienza come vi sarà mesi dopo; vi era e funzionava un meccanismo in grado di combattere, meraviglioso frutto dell’incontro fra lo spirito antifascista esistente nella popolazione con la sua iniziativa da un lato e l’organizzazione politica e militare clandestina dall’altro. In VaI Noveglia vi erano fissati punti di appoggio e di rifornimento come « casa Fulgoni » in località Noveglia, « casa Sbuttoni » in località Copelli, « casa Sidoli » in località Boé, nonché distribuite armi con munizioni, inviate da Parma, tramite Sidoli Giovanni (Boé) . . .
Testimonianza di Bertoli Alceste
Dalla testimonianza scritta (depositata presso l’Istituto Storico della Resistenza della Provincia di Parma) di Bertoli Alceste, operaio, nato a Parma il 13-9-1909; Antifascista; Perseguitato politico, condannato nel 1930 a 4 anni di carcere dal « Tribunale speciale fascista », inviato, quindi, per anni 5, al confino di polizia; Partigiano combattente.
. . . «A metà ottobre circa del 1943 la direzione provinciale del P.C.I. al quale appartenevo, mi fece abbandonare il lavoro (ero occupato presso l’officina Barbieri) perché mi dedicassi completamente all’organizzazione della Resistenza armata. Come primo incarico fui inviato nella zona di Calestano dove presi contatto con il barbiere « Tito» (Bertozzi). I n quella zona portammo un certo numero di armi dalla città, depositandole presso un certo Giuseppe, mezzadro, di cui non ricordo il cognome né l’indirizzo preciso. Mi ricordo soltanto che le armi furono nascoste sotto uno di quei caratteristici forni di campagna. Quelle armi servirono poi per il gruppo costitutivo del distaccamento Griffith.
Verso la fine di novembre, il compagno Gorreri mi fece sapere che dovevo trasferirmi nella zona di Bardi, nella quale passavano molti soldati sbandati, per cercare di raccoglierli ed organizzarli, o almeno recuperare le armi. Nel bardigiano mi incontrai con « Piccoli» Giovanni Molinari di Fiorenzuola, il quale mi mise a contatto con la levatrice di Gravago Noveglia che, se non mi sbaglio, era una compagna di Parma, certa Raffi, che aveva sposato uno del posto. Mi mise anche in contatto con un’ altra famiglia di compagni, proprietari dell’osteria «Trento e Trieste» di Bardi davanti alla quale si fermavano le corriere. Dopo una breve sosta a Gravago mi portai a Osacca dove mi incontrai con una decina di giovani della zona. Assieme ad essi fermammo un certo numero di soldati sbandati che vagavano alla ventura. Parte di essi si accompagnarono a noi, parte invece ci lasciarono le armi, tanto che dopo non molti giorni eravamo già in una ventina. Tutti questi giovani bisognava mantenerli e alloggiarli; i soldi che avevo portato dalla città erano di gran lunga inferiori alle necessità, ma ci pensò la gente del luogo, che si dimostrò oltremodo ospitale e comprensiva: trovammo alloggio, vitto e anche indumenti per chi ne era sprovvisto. . .
Dalla testimonianza scritta (depositata presso l’Istituto Storico della Resistenza della Provincia di Parma) di Luigi Sau, impiegato, nato a Sassari il 31-7-1919 e quivi residente; militare 1’8 settembre nella zona di Savona; Partigiano combattente; Com.te il Btg. Picelli della 12a Brg. Garibaldi.
. . . Giungendo ad Osacca il giorno 22-12-1943, io e i quattro sardi che mi accompagnavano, trovammo il Distaccamento « Picelli » ormai costituito: sarà forse stato questione di un solo giorno, di una settimana, di un mese, ma di fatto lo trovammo già forte di 10-12 uomini.
Raminghi senza meta, era in noi la speranza di poter trovare qualcuno che potesse accompagnarci in prossimità del fronte, per attraversare le linee e giungere così nell’Italia liberata. Da qui alla Sardegna il passo sarebbe stato breve. Eravamo partiti dalla zona di Novi Ligure (dove lavoravamo) sentendoci ormai scottare la terra sotto i piedi, paventando da un momento all’ altro una sorpresa dei nazifascisti, che in quel periodo reclutavano (?) giovani da destinare nei campi di concentramento in Germania.
Il pomeriggio di quel 22 dicembre, attraversavamo un paese d’alta montagna dell’Appennino Tosco-Emiliano, e precisamente (se ben ricordo), il paese di Caffaraccia, quando ci si fece incontro una giovane donna, che ci pregò di seguirla. Ci condusse in una casa, dove un gran fuoco ardeva nel camino ed una pentola di rispettabili dimensioni emanava un estasiante profumo di spezzatino. Un gruppetto di uomini ci accolse festosamente, ci offrirono sigarette e ci invitarono a prender parte al pasto. Figurarsi la nostra gioia! era per noi quasi un invito a nozze, lo accettammo quindi di buon grado. Subito ci accorgemmo che erano armati e ci fu quindi facile arguire che si era dinanzi a dei partigiani. Già la loro leggenda si era sparsa ed anche noi li considerammo con tanta ammirazione. Tutti ne parlavano, nessuno li aveva mai visti. Nel dopocena ci tennero il discorsetto d’occasione, invitandoci a unirei a loro. Andammo con loro. La marcia in montagna durò per oltre due ore (marcia che da Caffaraccia ci doveva condurre ad Osacca, quartier generale del distaccamento), finché deboli luci ci annunciarono di essere finalmente giunti a destinazione. . .
Da un articolo del dotto Armando Parlato, medico e pubblicista, pubblicato sul numero di gennaio del 1973, dal mensile dell’ANPI di Cremona
« Nuova Battaglia ». .
. . . La memoria deve ritornare agli albori della Resistenza armata ai primi dell’ottobre 1943 quando un gruppo di giovanissimi casalaschi trovò collegamento con esponenti dell’ antifascismo locale come l’azionista Walter Federici e la maestra socialista Regina Ramponi. Infatti, a parte Franco Fronti, gli altri protagonisti dell’impresa cioè Giovanni Favagrossa, Sergio Vida e Gianni Grassi non erano nemmeno di leva. Il collegamento in parola li destinò a Parma presso il recapito di Mattioli del C. L. N. militare provinciale
(del quale erano animatori Gigi Porcari, Dante Gorreri e altri). E questo recapito nel disegno di farne una tra le prime basi di ribelli in montagna, li inoltrò a Piana di Gazza, una località fitta di boschi. Qui, per indicazione successiva del comunista « Fermo », i giovani vennero spostati a Osacca. I giorni passarono e il gruppetto si ingrandì portandosi a diciotto elementi. I casalaschi uniti a sbandati e montanari del luogo, si addestrarono al combattimento e al tempo stesso non dimenticarono di affiatarsi con i poverissimi contadini di Osacca. Con essi abitarono tra quelle mura scheggiose, condivisero lo stesso elementare nutrimento, si riscaldarono allo stesso antico fuoco. . .
Ricordo di quel giorno
Non sembri strano se, per inquadrare convenientemente lo scontro di Osacca, mi sono servito, come in una specie dicollage, della parte introduttiva di testimonianze scritte o narrazioni dell’episodio fatte da altri. Il fatto è che mi è subito parso evidente come da questi scritti risaltassero, efficacemente descritte e delineate, quelle che furono le componenti fondamentali e primarie di quel fenomeno composito e esaltante che fu il movimento partigiano; e ne furono poi il tessuto permanente: il lavoro organizzativo e la spinta ideale dell’antifascismo militante; lo slancio spontaneo dei giovani desiderosi di libertà e giustizia sociale; il rifiuto, da parte dei soldati, d’una guerra non loro e d’un alleato che s’era sempre comportato da sprezzante padrone; il desiderio di pace delle popolazioni, al quale, per quelle neglette della montagna, s’univa l’aspirazione d’uscire dalla dimenticanza e dall’immobilismo in cui per secoli erano state lasciate.
Il combattimento di Osacca e i suoi protagonisti, quindi, non solo come momento epico della Resistenza, ma soprattutto come momento emblematico di questa grande pagina della nostra storia.
La mattina del 25 dicembre 1943 la popolazione di Osacca e i partigiani si apprestavano a celebrare insieme, in decoro e povertà, il Santo Natale; quand’ecco giungere trafelata, da un gruppo di case più in basso, una donna che reca, sgomenta, la notizia: «Da Noveglia stanno salendo dei fascisti armati, sono molti, un centinaio e forse più ». «Che fare? ». La decisione in quel momento non è solo dei partigiani, ma di tutto il paese che ne resterà fatalmente coinvolto. C’è, se si vuole, tutto il tempo per allontanarsi fra i boschi e far perdere le proprie tracce, ma troppo vivo è in tutti il desiderio di dare una lezione a chi si è sempre mosso in nome della violenza e della tracotanza; i partigiani sono pronti e decisi, gli uomini di Osacca chiedono che siano date loro delle armi, daran man forte ai patrioti; le donne assentono e s’apprestano a dare, anch’esse, la loro collaborazione: segnaleranno agli uomini appostati l’arrivo e l’ubicazione del nemico.
Il contingente fascista, forte di 150 militi dell’80a Legione di stanza a Parma, era giunto, a bordo di tre corriere, alle prime luci dell’alba a Noveglia di Bardi; gli faceva da guida un giovane, una spia, che alcun tempo prima si era infiltrato fra le file dei partigiani e, dopo una breve permanenza fra loro, si era improvvisamente eclissato.
Come prima operazione i fascisti circondano il paese e arrestano alcuni civili segnalati come collaboratori dei partigiani, poi si dirigono verso Osacca dove contano di sorprendere e catturare l’intero distaccamento. Nella loro marcia d’avvicinamento circondano un altro piccolo gruppo di case, Roncazzuolo, e vi fanno altri prigionieri. Alle nove e mezza circa arrivano a Case Vecchie, il più basso dei gruppi di case che compongono il villaggio di Osacca; qui si attestano e da qui si muovono per tentare l’accerchiamento dei due agglomerati posti più in alto: «Costa» e « Pesche », dove sanno trovarsi i « ribelli ». Ma ogni loro mossa è ormai sotto il controllo dei difensori, a nulla valgono la superiorità di numero e d’armamento; partigiani e popolazione, il binomio su cui si fonderà tutta la Lotta di Liberazione, sino alla vittoriosa insurrezione finale, sono all’erta e ben appostati. Non appena i fascisti vengono allo scoperto sono accolti da una nutrita salva di colpi; un loro tentativo di aggirare dall’alto le posizioni dei patrioti è prontamente prevenuto e stroncato sul nascere dal gruppo guidato dai giovani casalaschi, che, tempestivamente spostatosi, attacca alle spalle il settore di sinistra del nemico e ne determina la rotta. La precipitosa fuga di questo nucleo di militi provoca ben presto lo sfaldamento di tutto lo schieramento fascista che, dopo due ore di combattimento, si ritrova pesto e scornato a « Case Vecchie ». Due camicie nere sono gravemente ferite (tanto che dovranno essere portate a valle su una slitta trainata da buoi) numerose altre hanno ferite di minor entità, mancano loro una mitragliatrice e diverse armi individuali abbandonate nella fuga. Fatto questo lusinghiero bilancio, il comandante decide di ordinare il rientro.
A Noveglia, prima di risalire sulle corriere, alla gente che li guarda non certo con ammirazione o paura, i militi diranno che, contrariamente al previsto, si erano trovati di fronte ad una formazione di ribelli numerosa e ben armata, ma che sarebbero tornati con forze maggiori per prendersi la rivincita.
La sera stessa i partigiani, per evitare possibili rappresaglie, d’accordo anche con la popolazione, che ormai partecipa alle loro decisioni, abbandonano Osacca. Questo, sino ad allora oscuro, villaggio non finirà, però, qui di dare il suo contributo alla guerra partigiana; ospiterà infatti il comando della 12a Brigata Garibaldi prima della liberazione della Valle del Ceno, avvenuta il 10 giugno 1944; e anche quando le brigate, ormai padrone delle vallate, sposteranno più in basso i loro distaccamenti, per essere più vicine agli obiettivi da colpire, Osacca rimarrà sempre un punto di riferimento: una sicura sede d’emergenza durante i rastrellamenti nazifascisti.
La notizia dello scontro, taciuta, com’era ovvio, dalla stampa locale, venne portata a conoscenza della cittadinanza di Parma con un volantino ciclostilato preparato e diffuso clandestinamente a cura del Comitato d’azione del C.LN. La Gazzetta di Parma del 31 dicembre, pubblicò allora un articolo, non firmato, dal titolo « Prigionieri inglesi e sbandati catturati dai militi della Guardia Repubblicana », nel quale i fatti venivano minimizzati e svisati, e, dopo aver definito menzognero il volantino e inesistenti gruppi partigiani organizzati, si concludeva minacciando di punire severissimamente le famiglie che davano aiuti e ospitalità ai partigiani.
Prima di chiudere questo opuscolo è doveroso ricordare le vicende, anch’esse per tanti aspetti emblematiche, di quei protagonisti dello scontro di Osacca che fecero, purtroppo, olocausto della loro vita nel proseguimento della lotta. Frigau Isidoro cadeva il 15 marzo 1944 a Succisa di Pontremoli combattendo al fianco di Fermo Ognibene (Medaglia d’Oro al V. M. alla memoria) che, non presente ad Osacca, aveva immediatamente dopo preso il comando del distaccamento. Ralli Luigi, catturato in un rastrellamento nella zona di Pellegrino P .se veniva fucilato il 20 aprile 1944 a Castelfranco Emilia. Casula Luigi, dopo essere stato anche fra i protagonisti dell’epica battaglia del Lago Santo, incontrava la morte nel giugno del 1944 in Vai Gotra. Favagrossa Giovanni (medaglia d’Argento al V. M. alla memoria), trasferitosi nelle formazioni partigiane che agivano lungo il Po e nella pianura casalasca, cadeva, combattendo contro i tedeschi in ritirata, a Casalbellotto, il 24 aprile 1945, alla vigilia della Liberazione.
Un capitolo a sé merita Mortali Giovanni, di Osacca, caduto il 28 aprile 1945, le cui vicende sembrano simboleggiare la continuità e la crescita del movimento partigiano nel Parmense: presente il giorno di Natale del 1943 a Osacca, nel primo combattimento condotto da un esiguo nucleo partigiano contro 150 militi fascisti, è in prima fila, nel giugno 1944 nella liberazione della VaI Ceno, con la prima Brigata partigiana della provincia, ed è ancora fra i protagonisti della grande battaglia finale della « Sacca di Fornovo » nella quale, dal 24 al 29 aprile 1945, gli effettivi di sei Brigate partigiane, affiancati dal giorno 26 dal 6° Rgt. di fanteria del Corpo di Spedizione Brasiliano e da alcuni reparti corazzati statunitensi, erano impegnati a bloccare, nel triangolo Fornovo-Collecchio-Medesano, la 1483 Div. di fanteria tedesca, al completo e i resti della 903 Div. motorizzata e della Div. fascista « Italia ». In quest’ultima vittoriosa battaglia, mentre già quasi ovunque si festeggiava la riconquistata Libertà, si concludeva la vicenda, non solo di partigiano audace e generoso, ma anche di uomo tenace e laborioso, di Mortali Giovanni, che, lasciato il suo duro lavoro di contadino, per 16 mesi aveva combattuto e sopportato sacrifici per un avvenire migliore e più giusto per sé e la sua gente.
L.R.
