Diario Marchini Camia

Descrizione numeri

(1) – Gli zii: Conti Carlo (~Ion­ton~) e Matilde (Titì~-) Albertoni Picenardi, di Borgo Vai di Taro.(2). La nostra casa di campagna dei Ghirardi era dotata di un oratorio. •1 ( 3) – “Lazetto»: soprannome di un mezzadro (Lazzaro Giovannazzi) e, quindi, denominazione della sua casa.’( 4) – Padre Umberto Bracchi, fucilato dai tedeschi a Strela il 19 luglio 1944.5) – Nostro padre, Francisco Marchini Camia, dopo la guerra eletto senatore nel collegio Bor­gotaro-Salsomaggiore.6) – << Frontù >>: denominazione di un campo vicino alle case Ghirardi (o Gherardi)(7) – << Segalé >>:  denominazione di una casa mezzadri1e prossima alle case Ghirardi.8) – Ines Bracchi: sorella di padre Umberto Bracchi.9) – Maestra Bocci: nipote di padre Umberto Bracchi

Dalle piccole e grandi paure quotidiane all’eccidio di  Strela

Sabato 15

Alle 9 passaggio di fuggia­schi da Bardi – Visi terroriz­zati – A mezzogiorno arriva­no da Brugnè gli zii (1), se­guiti a poca distanza dalle signorine Maiavacca, scap­pati perché combattimento verso Gotra.

Mangiamo tutti insieme. Due ore di pioggia. La sera una fiumana di fuggiaschi da Borgotaro, Monticelli, Birrone. Al Borgo nel pome­riggio, sono usciti i Partigia­ni e entrati i tedeschi. Fami­glia Oppici-Zanrè dorme in oratorio (2), signorine Maiavacca da Lazetto (3). La sera, recitando P. Brac­chi (4) il rosario, il nostro oratorio rigurgita di perso­ne.

Notte agitata. Tanta gen­te che ha fame e cerca rifu­gio.

Domenica 16

Sagra di Borgotaro, per­ché è la festa della Madonna del Carmine. Tutto il paese è sfollato e quassù ci saran­no oltre 200 persone.

S. Messa col Vangelo e be­nedizione di P. Bracchi. Pas­saggio continuo di fuggia­schi, impauriti dallo sparo della mitraglia verso Gotra e Borgo. Corrono le voci più impressionanti. Razzia di uomini o rastrellamento di partigiani? Saccheggi?

Sembra che Monsignor Boiardi, andato dai tede­schi, abbia ottenuto il ri­spetto di Borgotaro se i par­tigiani la lasceranno subito libera, senza combattere. Presi molti ostaggi compre­so Monsignore.

Lunedì 17

Mammà ed io andati a Strela per implorare l’inter­vento di Mons. Checchi, parroco di Bedonia, di libe­rare gli ostaggi di Borgota­ro. Giornata relativamente calma, ma verso le l0 di sera si sente una sparatoria  verso ponte Ingegna. Che pau­ra! Si dorme pochissimo.

Martedì 18

Padre Bracchi  celebra  la  messa alle 4 e ½ poi parte per Strela, poiché il parroco di lì gli aveva assicurato che questo paese era immune da partigiani.

Mercoledì 19

Notte di continui spari. Papà (5), Tonton e Giulianotti vanno a Frontù (6) ver­so mezzanotte, poi tornano a casa ma non possono dor­mire perché i tedeschi spa­rano con i mortai sul Pelpi.

Giornata del 19 luglio 1944 (secondo il ricordo che ne ha oggi il co-autore del diario di quell’estate).

Di prima mattina scorgia­mo una lunga fila di soldati tedeschi sulla strada inter­poderale che conduce alle nostre case: il rastrellamen­to tanto temuto e di cui si è parlato da giorni, è giunto fin qui.

Rapidamente gli uomini rimasti ( papà, zio Carlo Al­bertoni  Picenardi, Primo Costa e Giulianotti) rag­giungono il nascondiglio che avevano predisposto. Si tratta di una trincea scava­ta, sotto uno sperone roccio­so, nelle «rive» sottostanti la strada per Porcigatone, a picco sul Canal Guasto. La località, chiamata dalla tra­dizione locale «la tana del­l’uomo selvatico», appare inaccessibile, ma in realtà, come gran parte delle «ri­ve», può venir raggiunta attraverso invisibili sentieri da chi è pratico della zona. Lì gli uomini passeranno l’intera giornata, sentendo, ad una quindicina di metri sopra le loro teste, passare i tedeschi, udendone distinte e spesso comprendendone le voci.

La colonna dei tedeschi si ferma poco tempo ai Ghirar­di e prosegue poi verso Por­cigatone. I militari si stupi­scono di non trovare bestia­me (i contadini lo avevano nascosto nei boschi). So­prattutto chiedono come mai non vi sia nessun uomo, e ascoltano diffidenti le giu­stificazioni delle donne: l’u­na, che si è tolta dall’anula­re la fede, dice di non essere sposata; un’altra, assumen­do un’espressione profonda­mente addolorata, dichiara che il proprio marito è mor­to in guerra; un’altra anco­ra afferma che il marito è stato mandato a lavorare in Germania.

A questa prima colonna fa seguito una seconda. Sot­to il grande cerro accanto alla casa i tedeschi hanno messo un grammofono. Suo­nano, ridono e accarezzano alcuni cani che hanno por­tato seco, mentre a ponente si vede Strela in fiamme e giungono di là degli spari. Nostra madre, parlando con un ufficiale austriaco che funge da interprete, ha sco­perto che hanno a Roma una conoscenza comune: non so quale contessa. L’uf­ficiale, inoltre, ha molto gradito che Mammà – così chiamavamo nostra madre – gli abbia regalato una po­mata quasi introvabile con­tro la scabbia.

Ad un tratto si presenta terrorizzata Desolina Cacchioli,  figlia del  mezzadro che  ha  la  casa dietro la nostra: i tedeschi hanno trova­to nel fienile un cordone di paracadute e si apprestano ad incendiare la casa. Mam­mà si raccomanda all’uffi­ciale austriaco. Questi esce sull’aia e ordina che venga rimosso quanto era stato predisposto per appiccare il fuoco. Un milite fascista, che accompagna i tedeschi, tenta di protestare. La ri­sposta dell’ufficiale la dice lunga sul ruolo che i tede­schi  riservavano alla milizia fasciata: << Esegui o ti prendo a schiaffi.. >>

Sento che un tedesco, par­lando con un altro, accenna verso di me e colgo la parola «kind» di cui conosco il si­gnificato: «bambino». Spa­ventatissimo, nel timore as­surdo che mi portino via co­me so che fanno con gli uo­mini, corro a rifugiarmi in casa.

C’è sempre un lato comico nei momenti più tragici: ar­riva, soddisfatto di sé, uno degli asini che erano stati, nascosti nel bosco e che èriuscito a slegarsi. Vedo an­cora l’espressione di delusione e disappunto sul volto della mezzadra. Natural­mente viene subito preso dai tedeschi che se lo porta­no via proseguendo verso Porcigatone.

Poi giunge una terza ed ultima colonna L’ufficiale che la comanda è di pasta più umana E’ stanco e disil­luso: sa che la guerra è per­duta spera, ci dice, di trova­re in vita la sua famiglia in Germania. Mentre si rinfresca con l’acqua della  vasca che sta accanto alla cascina del mezzadro << Lazzeto >>, pas­sano alti, come quasi ogni giorno, degli aerei alleati. L’ufficiale si accorge che ho paura (mi immagino che gli aerei avvistino i tedeschi o scendano a mitragliare o a bombardare), mi sorride e mi rassicura: sa che non c’è pericolo, viene dal fronte dove ha vissuto ben altri ri­schi. Alcuni dei suoi soldati, prima di ripartire, abbando­nano per alleggerirsi dalle maschere antigas e alcuni elmetti, che faranno la mia gioia quando il peggio sarà passato.

Quando anche l’ultima colonna è partita in direzione di Porcigatone e già co­mincia a farsi sera, mia so­rella ed io accompagniamo nostra madre verso la «tana dell’uomo selvatico» per di­re agli uomini che possono rientrare. Ma a metà strada scorgiamo due soldati tede­schi che tornano indietro. Nello stesso istante vedia­mo Prìmo Costa che, uscito dalla «tana» e ignaro, scen­de dal sentiero del bosco detto «Castagnola». E ine­vitabile che si incontrino perché il sentiero incrocia la strada. Non possiamo gri­dare per avvisarlo, nonpos­siamo far nulla. Viviamo at­timi di angoscia: cosa faran­no i tedeschi?

Ma Primo è, con mia ma­dre, la sola persona che io ri­cordi essere stata, durante tutti quegli anni, veramente coraggiosa (non per nulla è un pluridecorato della pri­ma guerra mondiale). Allor­ché avvista i tedeschi non fugge. Continua imperterri­to il sue cammino senza cambiare il passo, ed incro­ciando i tedeschi dice calmo e con naturalezza: <<Buona­sera >>. I due soldati rispon­dono al saluto e tirano in­nanzi, allontanandosi lungo la strada verso Costa dei Rossi. Debbono aver perdu­to un compagno perché più tardi, durante la notte, li sentiamo chiamare qualcu­no nella loro lingua. Quan­do i due tedeschi sono persi di vista, gli uomini rientra­no in fretta e si nascondono nelle case.

Giovedì 20

Veniamo a sapere da Se­gale (7) che i tedeschi hanno ammazzato a Strela il parro­co, P. Bracchi e tante altre persone. Speriamo che non sia vero. Papà manda una donna a informarsi; e quella torna confermando là noti­zia. Siamo tutti disperati.

Venerdì 21

Alle 6 e 1/2 io, Giovanna, mammà, l’Ines Bracchi (8) e la maestra Bocci (9) andia­mo a Strela per visitare la salma di P. Bracchi. Trovia­mo Strela distrutta dall’in­cendio. Per i campi sono distesi diversi morti. Lasalma di P. Bracchi insieme a quella del parroco e a quella del sagrestano sono davanti al muro del cimitero dove sono stati fucilati. Il muro è mac­chiato di sangue. I tedeschi vogliono che si sotterrino subito o che si brucino. Mamma e l’Ines fanno fare in fretta una cassa dove mettere P. Bracchi. Ritor­niamo verso l’una del pome­riggio.

Sabato 22

Piove quasi tutta la matti­na. L’Ines Bracchi, che ha passato la notte da noi, ri­torna a Borgotaro.

Spettatori e partecipi di eventi  drammatici

Antonio Marchini Camia

Ho ritrovato recentemente un diario che mia sorella Giovanna ed io allora – rispettivamente di 13 e 11 anni – scrivem­mo nell’estate del ‘44, periodo così dram­matico per la montagna parmense, mar­cato in particolare, il 19 luglio, dall’ecci­dio di Strela, in comune dì Bedonia. A Strela fu fucilato, tra molti altri, il sacer­dote padre Umberto Bracchi, il  quale fino alla vigilia era stato ospite della nostra famiglia nella casa di campagna in località ­Ghirardi di Porcigatone, dove eravamo sfollati

Ricorrendo il cinquantesimo anniver­sario di quell’ estate, la pubblicazione di queste pagine di diario mi è parsa non pri­va di interesse. In esse infatti gli autori, nel modo spontaneo ed ingenuo proprio della loro  età ma non senza drammaticità, osservano e annotano i fatti secondo una prospettiva diversa e singolare: quel­la di due fanciulli i quali, pur sorpresi  e spauriti nel trovarsi spettatori e partecipi di avvenimenti così tragici, non mancano peraltro di riferire anche circostanze che ad essi appaiono, secondo la loro perso­nale scala di valori altrettanto degne di nota: il fatto che il papà abbia trovato un fungo porcino o «selvo» (2 agosto), o la cattura di nove pesciolini (18 agosto).

Stranamente, tuttavia, alla data fatidi­ca del 19 luglio, il diario nulla dice di quan­to avvenne ai Ghirardi durante la giorna­ta, limitandosi a riferire che la notte consecutiva ad essa fu agitata per i continui spari di mortaio. Forse i suoi giovanissimi autori dimenticavano di trascrivere pur notevoli fatti perché sconvolti dai più tragici avvenimenti della vicina Strela, di cui erano stati testimoni, i quel medesimo giorno, e assai giorni successivi.

Poiché la giornata del 19 luglio ‘44 rima­ne vivida nella mia memoria anche dopo 50 anni, l’adulto ultrasessantenne ha voluto completare, su questo punto, il  suo diario di bimbo undicenne.

                                                                                                                                                           Antonio Marchini Camia

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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