Sul Passo del Santa Donna

6 Gennaio 1945

Il 6 Gennaio sul S. Donna

Nonostante  questo avvertimento, il 6 gennaio, un’altra tragedia si abbatte sulla I° Brigata Julia, avvenimento  che lascerà uno strascico profondo e causerà lacerazioni all’interno del movimento resistente borgotarese.

È il grande  rastrellamento che coinvolge tutta la zona  ovest della Provincia a cui partecipa una grossa colonna di alpini della Monterosa, valutati in 500 uomini, perfettamente equipaggiati per i combattimenti invernali., con tute mimetiche dotate  di pattuglie  di sciatori.

Le dislocazioni dei  distaccamenti della I° Brigata Julia sono: a San Pietro lo Zanrè, a Caffaraccia sede del comando di  Brigata l’Antolini, il Dallara a Casembola ed il Piscina a Tocaleto di Porcigatone.

Già da alcuni giorni i partigiani aspettavano l’attacco.

Prima di tutto la guarnigione tedesca  di stanza  a Borgotaro era stata  cambiata; anzi sembra  che il maggiore austriaco, comandante della piazza fosse stato  fucilato sotto l’accusa di  connivenza coi partigiani.

D’altro lato indicazioni erano giunte anche tramite l’interprete presso il comando tedesco Bozzia Antonio << Il Tirolo >>che  aveva  potuto notare una  insolita animazione tra gli ufficiali.

Ma la notizia precisa dell’arrivo del  grosso contingente era pervenuta la sera prima al Capo  della Polizia partigiana di Borgotaro Jack, il quale dal segretario comunale aveva avuto l’informazione che un grosso quantitativo  di paglia era stato inviato dentro la  galleria  del Borgallo dove stazionavano le truppe nemiche in attesa dell’attacco.

La sera del 5, le pattuglie della guarnigione  di  Borgotaro perlustravano il paese e  le campagna circostante.

Una di esse sale verso Brunelli, poi passando il torrente Varacola,  si  spinge  fino a Monticelli da dove scende in paese passando per la Ghina.

A Pradella viene  uccisa una donna, Mantegari  Anna, sorpresa dal coprifuoco mentre stava affrettandosi a tornare  a casa.

Dalla riva sinistra del Taro viene scorta dai tedeschi: una precisa  fucilata  la colpisce mortalmente.

Alla sera del 5, le  colonne nemiche si  attestano a Monticelli nella Valle  del Varacola ed alla Costella nella Val Vona.

Queste notizie e questi movimenti fanno prevedere un imminente attacco nemico, ma a causa di disfunzioni e fraintendimenti nei collegamenti non tutti i distaccamenti sono avvisati  del pericolo.

La notte un’abbondante  nevicata ricopre la  vallata ed il mattino seguente le  grosse colonne salgono la montagna dirigendosi verso Porcigatone, Caffaraccia e Casembola.

L’obbiettivo degli alpini è di  sorprendere il comando  di  Brigata che sanno localizzato  a Caffaraccia, mentre le altre colonne servono ad intercettare eventuali  rinforzi partigiani o a bloccare lo sganciamento.

Scrive  Dragotte nella  sua  relazione:

<< Al comando  di  Brigata si trova in quel momento il Vice Comandante Erok, io ero  a Casembola al  distaccamento di  Gomel per un giro  d’ ispezione.

Tranquillo, ad un certo momento me  ne vengo via  accompagnato dal porta ordini di  brigata e mi dirigo verso  brunelli.

Mentre noi scendiamo, a duecento metri in linea d’aria sulla  vecchia  strada che porta  a Porcigatone, una colonna tedesca sta salendo: la fitta nebbia mi nasconde questo movimento >>.

I  distaccamenti Antolini a Caffaraccia e Zanrè a San Pietro vengono investiti alle 11 del mattino  del 6 gennaio.

Il vice  comandante di  Brigata Erok, in  assenza di  Dragotte assume il comando e dà ordine di prendere posizione di  difesa coinvolgendo anche un distaccamento di  garibaldini della Val  Ceno che  si trovavano  a << Cà Grilla >>.

Il combattimento infuria per tutto il giorno; al bivio della strada di  Isola di  Coriago per impedire una manovra di  accerchiamento proveniente  da San Pietro, alla << Barbuja >> dove si respingono gli alpini che  dal Passo tentano di  risalire attraverso il canalone ed aggirare il paese, lungo la  strada che  dalla Val  Vona sale  a Caffaraccia che viene incessantemente battuta dalle mitraglie e dai mortai nemici.

I partigiani hanno un morto, Moroni  Alessandreo <<Farinacci >> ed un ferito. Zazzi Antonio.

Un altro partigiani è prigioniero.

Alla sera la posizione non è più difendibile; lentamente gli alpini stringono il cerchio attorno al villaggio e alle 18 viene  dato l’ordine  di  ritirata.

Ordinatamente, passando per i sentieri dello spartiacque, i partigiani si portano  a Brunelli che  raggiungono di notte e quindi piccoli gruppi s’occultano.

La situazione dopo il combattimento di  Caffaraccia è descritto da Gino Delmaestro: << Durante la  notte ci  spostammo verso Brunelli dove abbiamo nascosto le  armi.

Quattro di noi pernottarono  alla << Barzana>>. Il mattino  del 7 gennaio io, Tartan, Cavallerizzo e Angiolo,  ci mettemmo in marcia per raggiungere le  nostre case.

Appena attraversato il fiume  Varacola, nella località << Vignole >> vedemmo un’altra colonna tedesca che proseguiva  per Porcigatone. Ci fischiaro noi ed avevano le armi puntate su  di noi.

Eravamo  a 150 metri, avevamo una sola rivoltella e non potevamo certo difenderci,così abbiamo proseguito  sotto i  loro spari.

Di intralcio c’era la  neve che ci impediva  di camminare.

Nonostante tutto siamo riusciti a metterci in salvo.

Passammo per Monticelli ed avvertiamo tutte le famiglie di  cosa stava succedendo.

Dopo ore di marcia arrivammo al << Laghetto >> dove passammo la  giornata.

Non appena fece buio, di nuovo in marcia e con l’aiuto della famiglia della << Chiusa >> che  ci indicavano dove stavano i tedeschi, abbiamo attraversato il fiume Taro  nelle vicinanze di Borgotaro, arrivando così alle nostre case verso mezzanotte.

Restammo 6 giorni con i nostri genitori >>.

Il distaccamento Dall’ara è a Casembola.

Alla sera prima aveva avuto un’ispezione del Comandante di  brigata quindi Gomel, come al  solito aveva mandato pattuglie in ispezione.

Alla mattina una colonna di  alpini passa silenziosa per il villaggio percorrendo, senza fermarsi il sentiero principale e dirigendosi verso  Caffaraccia.

I partigiani, senza essere visti, riescono a risalire la costa ed a dirigersi verso il Ceredasco dove  vengono sorpresi da una pattuglia  di  sciatori tedeschi.

La reazione  dei partigiani è inadeguata: il gelo  a messo  fuori uso le armi, tuttavia il distaccamento riesce,  a sfuggire scendendo verso  Osacca e rifugiandosi  a Bardi dove viene  avvertito il Comando Unico.

L’unico ferito  è il partigiano Pisa il quale, scendendo lungo il Noveglia scivola su un masso e si frattura  una  gamba.

Nascosto in un canalone,  aspetterà la notte, quindi reagisce al gelo e strisciando  come un animale ferito  riesce a raggiungere Casembola dove  verrà nascosto  da una  famiglia  di contadini.

La  terza colonna, arriva  a Porcigatone, si  era fermata presso l’osteria, i soldati si erano scaldati, avevano verificato le armi e quindi, passando per la  strada  del  cimitero, erano saliti per  prendere posizione sul passo del Santa Donna col compito di intercettare eventuali spostamenti dei partigiani.

Il distaccamento Piscina è a Tocaleto. Avendo sentito confusamente, in mezzo alla  nebbia, gli spari prevenire da valle, e credendo che l’attacco  fosse  a Casembola, all’oscuro di informazioni, verso le 14, accorre per portare aiuto ai compagni poco prima che una staffetta inviata a Borgotaro porti informazioni sulla reale  situazione.

Precede la formazione di  circa  sessanta  uomini, comprendente anche  una  ventina di partigiani  della beretta, una pattuglia di una decina di uomini al comando  di Gherry.

Si trovava  da pochi  giorni  a Tocaleto dove era stato inviato dal distaccamento Dallara per rafforzare il comando del Piscina.

Era stato il primo ad uscire dal rifugio con l’intenzione  di accorrere in aiuto del suo vecchio distaccamento trascinando con il suo esempio l’intero gruppo di partigiani.

Il freddo è intenso, il monte coperto  da una fitta nebbia, ed i partigiani avanzavano a fatica aprendosi un sentiero nell’alta neve, puntando verso il passo per poi discendere su Casembola.

Sul passo delle  ombre filtrano attraverso la  fitta nebbia, si fanno segnalazioni pensando si tratti di un gruppo di partigiani.

Improvvisamente la pattuglia di alpini, appostati  apre il fuoco. I partigiani tentano inutilmente di  reagire, il gelo  ha inceppato le armi.

Le scariche falciano sette uomini della pattuglia avanzata e per la restante parte della formazione non rimane che la fuga  lungo il canalone della Val Noveglia.

I partigiani sbandati, dispersi in piccoli gruppi, con una marcia di parecchie  ore, riescono a salvarsi mentre sulla neve rimangono i corpi di Castagnoli nino << Michele >>, Ferrai Gaspare  <Gaspà >>, Ferrai  Guido << Guido >> Quotasti Gino << Manza >>, Tedaldi Armando << Bubba >>, Terroni  Domenico << Gherry >> e Catinella Vittorio << Ratà >>.

Sono tutti borgotaresi ad eccezione di Ratà, un  seminarista napoletano che  deportato in Germania, dopo l’8 settembre ed arruolatosi nella Monterosa, era arrivato in Italia nell’agosto del’44, aveva disertato e si era unito  ai partigiani.

La pattuglia nemica scende su luogo  dove giacciono i corpi: alcuni sono morti, altri, feriti, vengono finiti con il calci dei  fucili; i corpi verranno trovato  alcuni gironi dopo dai contadini del luogo: portano i segni della violenza fascista. Il corpo  di  Gherry verrà trovato dopo qualche  settimana sepolto sotto uno  spesso strato di neve ammucchiata dalla tormenta.

Pure feriti nello scontro Catozzi Umberto e Ruggeri Maurizio; aiutati  dai  compagni riescono a salvarsi.

Quest’ultimo, portato sulle spalle di un robusto partigiano, viene  lasciato in custodia presso una  famiglia di contadini; nel corso del rastrellamento verrà sorpreso da una pattuglia tedesca ed arrestato.

Curato in un ospedale militare, riuscirà successivamente a fuggire ed a raggiungere i suoi compagni.

Anche il gruppo di partigiani di  guardia ai prigionieri riesce  a sfuggire  al rastrellamento.

All’arrivo  degli alpini a Porcigatone, il gruppo di stanza a Cà di Gandi, riesce  a trasferirsi con i prigionieri a  Ronco  Desiderio nel comune  di  Compiano quindi incalzato  dai rastrellatori, si  sposta  a Strela, quindi successivamente a Caboara, Sidolo, Drugara.

Alla fine del  rastrellamento dopo 6 giorni di continue  marcie, ritorna a Tocaleto con un solo prigioniero perso: un alpino  della Monterosa, che ormai si era affiatato  coi partigiani e che durante i continui trasferimenti faceva servizio d’ispezione. Catturato  dai tedeschi, era stato fucilato.

Anche i distaccamento Gardelli di stanza a Pessola viene nuovamente investito  dal  rastrellamento  del 6 gennaio.

Avvistati da una staffetta che  una grossa colonna di  Bersaglieri della << Divisione Italia >> era partita  da Solignano e si stava  avvicinando, i partigiani si rifugiano alle pendici  del Monte Dosso al  riparo di una casa posta in posizione dominante.

Al pomeriggio del  giorno 7, la colonna nazifascista attacca è costretta a retrocedere dopo aver lasciato sul terreno  tre morti per la reazione dei partigiani.

Rifugiatasi nell’abitato  i Bersaglieri lanciano razzi luminosi chiedendo rinforzi.

Ma alla notte  i partigiani si eclissano.

Il grosso del distaccamento riesce a passare nella Valle del Ceno ed a sfuggire al rastrellamento ma un gruppo,sbandatosi ed occultandosi nei cascinali di  Ronco  di  Prelerna, Bottone, Bojo, viene scoperto e fatto prigioniero. I partigiani sono condotti a Fornovo insieme agli ostaggi civili rastrellati.

Dopo qualche  tempo gli ostaggi verranno rilasciati, mentre i partigiani saranno inviati  al campo di  Mathausen e tredici  di loro finiranno  nelle  camere a gas dei nazisti: Ferrari Ferruccio << Resistere >, Mussi Mario << Gemona >>, Malcotti Mario << Salto >>, Frigeri Eugenio << Tartan >>, Cabassa Bartolomeo << Alberto >>, Fochi Giuseppe << Lupo >>, Agnetti Antonio  << Guido >>, Coprini Albino << Bino >>, Bertoncini Adelmo << Picco >>, Lusardi Luigi << Antonio >>, Borratti Giudo, Malcotti Artemio << Spiga >>, Ronco Eugenio << Savona >>.

Grassi Oreste << Sillà >> verrà fucilato  a Vigatto il 20 gennaio per  rappresaglia contro un’azione  dei partigiani.

Tutti i paesi e le  frazioni investite  dal rastrellamento verranno occupate  dai tedeschi, che  controlleranno per alcuni giorni tutte le  case, e le  cascine, alla  caccia di  qualche  partigiano sbandato  o ferito.

A  Caffaraccia viene  uccisa una  ragazza, Ruggeri Angela, mentre, mentre stava portando i viveri ai partigiani nascosti. I tedeschi avevano già notato i movimenti della  donna ed il pomeriggio dell’8 gennaio la  colpiscono mortalmente sparandole dal campanile della  Chiesa dove si erano messi in osservazione.

La tragedia  del Santa Donna ha largo eco tra la popolazione borgotarese e coinvolge anche il comando della I Brigata Julia.

Dragotte  e Giorgione vengono sottoposti ad una  rude inquisizione da parte dei comandanti  dei distaccamenti che li accusano di non essere stati presenti, al loro posto di  comando, al momento dell’attacco tedesco del 6 gennaio e di non aver  organizzato un efficace servizio di informazioni a tutti i distaccamenti all’approssimarsi della grossa formazione  nemica.

Per questi motivi vengono destituiti ed al loro posto vengono eletti Libero  come  Comandante e  benci  Giovanni << Lino >> come  Commissario. Mentre Giorgione accetterà l’incarico presso il Comando Unico.

Dragotte reagirà con energia  dando vita  ad una  nuova formazione partigiana:

Il  << Gruppo d’Azione Val Taro >> costituito  da circa  150 partigiani, tutti comunisti con Jack quale Commissario Politico.

La scissione della I Brigata Julia, conseguente ad una crisi militare, così come  altre scissioni, è anche motivata da contrasti politici, tra  democristiani  e comunisti.

Dragotte, infatti, già comandante del gruppo Penna, figura tra le più rappresentative della Resistenza borgotarese,ed uno dei protagonisti dei  combattimenti  partigiani  della  nostra zona, veniva travolto da un infortunio, che, anche  se carico  di tragiche  conseguenze, non poteva certo oscurare i suoi meriti  di  combattente.

Resta il fatto che  durante tutto l’inverno a seguito degli accordi coi tedeschi, ma  anche per la  stanchezza di questa   guerra che  sembrava non dovesse mai  finire,  si  era stabilito un clima  di rilassatezza, che  aveva fatto allentare la  vigilanza e trascurare le possibilità del pericolo, e di  questa situazione non era il solo Dragotte ad essere responsabile, ma più o meno tutti  i capi partigiani della Val Taro.

A  questa situazione andava scritta la  vera causa della tragedia anche  se nell’imminenza del pericolo si erano verificate delle disfunzioni nei  collegamenti e nei  servizi  di informazione di  cui certamente i comandanti erano direttamente responsabili.

Ma questo si deve aggiungere anche il fatto  che Dragotte, partito da posizioni monarchiche e badogliani, si  era gradualmente avvicinato  a posizioni comuniste e questo certamente cambiava il quadro difficile  di equilibri politici che  volevano nella Val Taro una preminenza di  formazioni non comuniste.

Ed in effetti anche la costituzione della nuova formazione, il << Gruppo d’Azione della Val Taro >>, fortemente caratterizzata dai partigiani comunisti borgotaresi, fedeli a Dragotte, era stato il motivo  di  contrasti al vertice  del Comando  Unico dove Pellizzari, nell’acconsentire al  riconoscimento del nuovo  gruppo , aveva imposto un limite massimo di  100 effettivi in modo che la  formazione non potesse assumere il rango  di  Brigata.

Si ha insomma nella vicenda la manifestazione di problemi militari e locali acutizzati da contrasti politici, che  riguardavano l’immediato ma che interessavano in prospettiva la geografia politica del dopo guerra.

All’esigenza fondamentale di  salvaguardare l’unità al vertice del movimento, necessario a condurre la lotta antifascista con la massima efficacia si soprapponevano tacite intese di spartizione territoriale in zone  di influenza.

SUL PASSO  DEL SANTA  DONNA

 Antologia

Passeggero  non sostare

che  ricordare è triste:

il nostro spirito

alleggia  ancora

in cerca del nemico

fra nebbie e la tormenta.

Segui la via sicura

verso  Valle

ma  alza lo sguardo al  cielo

per chi non ha potuto

fra il cupo rumore della guerra.

Di alla santa donna

di  non piangere

noi l’attendiamo ancora

e la calda  carezza

e la sua voce cara.

Cav. Camillo Delmaestro

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Autore: 4345Resistenza in Valtaro Val Ceno

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